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Francesco De Prezzo, Al limite del visibile – Loom Gallery
Arte contemporanea
Sulle pareti del luminoso spazio della galleria LOOM, che fu sede della storica galleria Christian Stein, sono posizionate su una linea ordinata tele di varie dimensioni, alcune apparentemente monocrome, altre esplicitamente figurative che, se osservate dal centro della sala, non sembrano riconducibili a un’unica narrazione ma parte di due differenti cicli pittorici. Avvicinandosi alle opere però si nota che i monocromi astratti nascondono sotto la superficie delle immagini di cui sono visibili solo frammenti e forme ai margini della tela, in quei pochi centimetri che lo scotch ha salvato dalle mani di pittura finali. Ogni opera di Francesco De Prezzo (Lecce 1994), infatti, nasce come figurativa, e in seguito è coperta dall’artista con strati di pittura bianca o nera che lasciano intravedere le nature morte sottostanti nei punti in cui le pennellate sono più leggere. Eseguendo queste schermature De Prezzo crea un cortocircuito, è come se stendesse l’imprimitura (la base di colore che prepara la tela a ospitare la pittura) sulla superficie finta dell’opera per ripartire da capo, per dipingere la sua quotidianità di nuovo e poi ancora e ancora.
“Al limite del visibile”, però, ci permette non solo di interrogarci sul processo pittorico che l’artista manda in tilt, ma sulle potenzialità dell’immagine come dispositivo che può mostrare e celare. L’immagine figurativa, nonostante sia in larga parte annullata, resta presente nella sua assenza, nel vuoto narrativo al centro della tela, che è un nascondere invece che un non-rappresentare.
Le poche nature morte che si salvano dalla copertura, e che mantengono un carattere figurativo, presentano con colori neutri e toni chiari le mattonelle del pavimento dello studio dell’artista su cui si stagliano sedie impilate, camici da lavoro e opere intelaiate che, parte di composizioni ben studiate, invadono l’intera superficie delle tele. Le sedie e i tessuti assemblati e poi ritratti ricordano impalcature instabili, ruderi di ferro e stoffa e sono descritti con pennellate che scolpiscono le ombre e le luci posate sulla materia; di spicco è la cromatura delle sedie, che prende vita con sottili riflessi magenta catturati facendo da specchio all’ambiente circostante.