«L’arte è un dono e ha valore solo quando viene condivisa», asserisce Antony Gormley nel docu-film The Ability to Dream che celera i trent’anni di attività della Galleria Continua presentato il 24 settembre, nella sua storica sede a San Gimignano. Ad accompagnare l’evento una grande mostra (visitabile fino al 30 ottobre) diffusa negli spazi della galleria nel cuore del paese – la cisterna, l’Arco dei Becci, gli appartamenti al Leon Bianco e la torre – con un’opera per ciascuno dei sessantasei artisti della galleria, una ricognizione di tutti progetti conclusi dell’Associazioni Arte Continua sul territorio e la presentazione di quelli futuri.
Il documentario, prodotto da Sky Arte e TIWI, parte dal 1990, anno in cui Mario Cristiani, Lorenzo Fiaschi e Maurizio Rigillo danno inizio all’avventura che li poterà da un piccolo spazio a San Gimignano alle otto sedi di oggi, tra Toscana, Pechino, Los Moulins, L’Avana, Roma, San Paolo, Parigi e Dubai. Settanta minuti di interviste appositamente realizzate, fotografie e filmati d’archivio che si intrecciano ripercorrendo la storia della galleria soprattutto come “storia vissuta” di un’utopia divenuta oggi unicum assoluto nel panorama del sistema dell’arte internazionale.
Il racconto è affidato alle voci dei fondatori intrecciate a quelle di Silvia Pichini, Angela Vettese, Marisa Borghi, e vari artisti, tra cui Michelangelo Pistoletto, Giovanni Ozzola, Antony Gormley, Anish Kapoor, Pascale Marthine Tayou, passando per un omaggio a Chen Zehn.
La narrazione esula dalla ricostruzione didascalica di tappe ed eventi per portare allo spettatore la forza dell’utopia, l’accettazione del rischio, l’adrenalina e i timori di buttarsi a capofitto in progetti che – come ricordano i galleristi – da business plan sembrano votati al fallimento e invece scrivono pagine nuove nella storia dell’arte contemporanea e in quella degli artisti.
Il documentario è costellato della narrazione di episodi raccontati dai fondatori, come la prima ammissione ad ArtBasel che lasciò increduli i fondatori della galleria o l’apertura della sede in Cina, che nell’immediato non porta il successo di vendite atteso, ma pone la galleria in una nuova dimensione intercontinentale.
Per tutta la durata del docu-film il racconto si muove tra la sua straordinarietà resa evidente da progetti, testimonianze degli artisti e l’evidenza dei risultati, ma si mantiene distante dalla celebrazione tuot court grazie allo spazio dedicato agli aspetti della costruzione quotidiana del percorso, ai suoi rischi, all’impossibilità di prevedere i risultati di determinate scelte, alle paure insite in esse, di un’avventura la cui particolarità si legge con maggior lucidità a posteriori, ma che nel suo divenire ha fatto i conti anche con tutti gli aspetti prosaici del navigare a vista.
Il documentario trova ampio respiro nel ricercare vari fattori con cui la storia della galleria si è interfacciata, in un intreccio di fatti e casualità che ne ha definito il percorso: dalla figura di Luciano Pistoi, con cui i tre fondatori, giovanissimi, stringono amicizia, ne assorbono la mentalità rispetto alla creazione artista e al rapporto con il territorio, e entrano nel suo mondo popolato di artisti ai massimi livelli. In un certo momento lo ereditano – in senso lato – e quel punto sta a loro scommettere tutto su questo modo di intendere l’arte contemporanea, tentare l’intentato oppure no. E loro accolgo questa sfida, dai confini labili, dalle prospettive incerte, che richiede istinto, tenacia e una buona dose di visionarietà, come loro stessi ricordano a più riprese nel documentario.
Agli esordi tanti sono gli stimoli anche gli ostacoli per cui è necessario pensare soluzioni non convenzionali. Da un lato ci sono l’arte contemporanea e la voglia di fare, dall’altra un territorio meraviglioso, ma lontano dai circuiti del sistema dell’arte e già fortemente caratterizzato dalla storia dell’arte rinascimentale, con cui tutto il mondo lo identifica. Così, a piccoli passi, i fondatori danno vita a iniziative che grazie all’impegno diretto e generoso di artisti di levatura internazionale riscrivono il rapporto tra testimonianze dell’arte dei secoli precedenti e la contemporaneità.
Sono anche gli anni dell’arte che scende nelle strade, che – come ricorda Angela Vettese – coinvolge il pubblico nelle piazze e nelle vie, e la galleria – quasi per istinto, grazie alla voglia di condividere e coinvolgere il territorio – idea progetti innovativi per il periodo, capaci di inserirsi nel dibattito sperimentale più vivace.
Fin dall’inizio è presente anche, sottolinea Mario Cristiani, una rilettura del colonialismo divenuta oggi molto attuale, che nel tempo si è strutturata e espressa attraverso la scelta di artisti e sedi.
Alla fine del documentario l’aura di mistero rimane, emerge la sensazione che la storia della Galleria Continua si possa ripercorrere, raccontare, ma non racchiudere in un modello standardizzabile. Chi lo guarda per scoprire “il segreto del suo successo” – parafrasando il titolo di un noto film degli anni Ottanta – non troverà formule magiche, semplicemente perché non ci sono. L’unica possibilità è proseguire in una “follia continua”, come ricordano con ironia i fondatori, “motto” che ha dato il titolo anche al volume dedicato ai venticinque anni della galleria. La storia della galleria fa parte dell’arte stessa, di quel qualcosa che si può vivere e raccontare, ma mai completamente spiegare e, soprattutto, replicare. Il suo futuro è tutto da scrivere.
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