“Cast Off”, ovvero “gettare via”. In ebraico Tashlikh, il rituale per cui si è chiamati a svuotare le proprie tasche – che sono metafora dell’anima – e a gettare oggetti personali, simbolo dei peccati commessi durante l’anno, nell’eternità di un corso d’acqua. Per una purificazione del cuore dello spirito nei “giorni più terribili” dell’espiazione. Allo stesso modo, l’artista Yael Bartana (Kfar Yehezkel, Israele, 1970) invita sia le vittime che i carnefici dell’Olocausto, del genocidio armeno e della pulizia etnica in Sudan e Eritrea a liberarsi di tutto ciò che li lega ad un evento traumatico.
Nell’opera video Tashlikh (Cast Off), scarpe, chiavi, abiti per bambini, giubbotti salvagente, foto e libri, il fantasma di una Kefiah araba e un mucchio di stelle di David ondeggiano in slow motion, per poi scomparire nell’abisso di uno sfondo tenebroso proiettato a tutta parete.
Non c’è origine, non c’è fine. Il volume e il ritmo vertiginoso dell’audio intrappolano in un viaggio nella memoria, vicina e lontana, da cui è impossibile distaccarsi.
Bartana desidera che lo spettatore “s’interroghi e rifletta sulla propria identità e storia”. Anche titolo della personale dell’artista a Modena, Cast Off “è il filo conduttore di tutte le sue opere”, spiega la curatrice Chiara Dall’Olio. Significa lasciare andare e provare a rivedere gli stessi avvenimenti sotto una luce nuova e splendente.
Yael Bartana – che vive e lavora tra Berlino, Tel Aviv e Amsterdam – è stata la prima straniera a rappresentare la Polonia nella storia della Biennale di Venezia (54ma edizione) con la trilogia …And Europe will be stunned.
Che cosa succederebbe se i 3milioni di ebrei sterminati in Polonia ritornassero nella terra d’origine? Un tragico parossismo. La pratica artistica di Bartana – la cui particolare metodologia (la “rievocazione storica in un futuro potenziale”) rimaneggia fatti e finzione, profezia e storia – include film, fotografia, video e installazione sonora.
La principale sfida della mostra è stata quella di rivoluzionare tutto lo spazio espositivo di Palazzo Santa Margherita grazie al contributo dell’architetto di fiducia di Bartana, l’israeliano Oren Sagiv. Un percorso che inizia dalla coppia di imponenti portali del primo piano, trasportandoci fino alle Sale Superiori, attraverso pareti, fenditure, scampoli di luce e penetrante oscurità. Un’arena di proiettori, immagini e sonoro.
Dai primi lavori documentari, The Recorder Player from Sheikh Jarrah (2010) – in cui una suonatrice di flauto protesta pacificamente davanti ad un cordone di militari israeliani – e di finzione cinematografica – A Declaration (2006): la bandiera israeliana su uno scoglio della baia di Jaffa viene sostituita con un albero di ulivo, simbolo di pace – Yael Bartana ha lavorato sottilmente sul cambio di paradigma, sul punto di osservazione e sulla proliferazione dei significati. Con la doppia proiezione Summer Camp/Avodah (2007), sovverte l’estetica sionista di un film anni ‘30 (Avodah di Helmar Lerski) ricollocandola in un’altra dimensione spazio-tempo. In True Finn del 2014, viene messa in scena una para-realtà. Alla maniera di un reality show, otto residenti finlandesi, diversi per etnia e credo religioso, vengono invitati a trascorrere una settimana all’interno di una casa per indagare il significato di “vera identità finlandese”. A vincere il contest sarà un giovane ragazzo di origini africane, ultra-conservatore, cattolico e pronto a sacrificarsi per la patria. Uno slittamento che rischia di scuotere in profondità il visitatore. Questo è il potere dell’arte di Yael Bartana.
Dal 15 novembre al 13 aprile 2020
Yael Bartana. Cast Off
FMAV – Palazzo Santa Margherita
Corso Canalgrande 103, Modena
orari: Mercoledì, giovedì e venerdì 11-13/16-19. Sabato, domenica e festivi 11-19
info: https://fmav.org/programma/mostre/
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