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Gian Maria Tosatti, tra Biennale e Quadriennale: l’intervista
Arte contemporanea
Oggi è nell’occhio del ciclone, dopo aver ricevuto lo stesso giorno una doppia carica: unico rappresentante del nostro Paese al Padiglione Italia per la Biennale Arte nel 2022 e direttore artistico della Quadriennale. Per Gian Maria Tosatti è un momento d’oro, anche se due nomine in contemporanea hanno fatto scattare subito le polemiche da parte del mondo dell’arte, non abituato a tsunami di questa portata.
Vale la pena, quindi, approfondire una figura come Tosatti, non facile da raccontare: romano, classe 1980, dopo una formazione liceale scientifica e poi performativa presso il Centro di Sperimentazione e Ricerca Teatrale di Pontedera, comincia un’attività di critico teatrale nel 1999, e un anno dopo inizia a collaborare con il quotidiano Il Tempo, dove si occupa delle pagine dedicate al teatro e alla danza contemporanea. Nel frattempo fonda la rivista settimanale LifeGate Teatro (2002-2005) e il progetto di ricerca sugli elementi fondamentali del corpo performativo e sulla drammaturgia dello spettatore Hôtel de la Lune (2002) che si sposta tra Pontedera, Pisa, Bologna e Modena fino ad arrivare a Roma nel 2005.
Nella capitale Tosatti aderisce al direttivo del centro culturale Angelo Mai e porta a termine il progetto, orientando la sua ricerca in un territorio di confine tra teatro, performance e arti visive, ispirandosi alle sperimentazioni di Jerzy Grotowski e alla Tragedia Endogonidia della Socìetas Raffaello Sanzio, un’opera in undici episodi, ognuno sviluppato in una città diversa, dal 2002 al 2004. «Ho visto tutte le tappe di questo progetto straordinario, che ha profondamente cambiato il mio modo di immaginare il rapporto con l’arte» racconta.
A partire dal 2005 la sua ricerca vira verso l’arte contemporanea, e l’artista avvia due nuovi cicli di lavoro: Devozioni (2005-2011), che riunisce dieci interventi per altrettanti edifici-archetipi a Roma e il progetto di arte pubblica Landscapes (2006-2009). Tra il 2007 e il 2009 fonda e dirige il settimanale culturale La Differenza (in redazione e tra i collaboratori figure come Attilio Scarpellini, Marc Augé, Ascanio Celestini). Nel frattempo, tra il 2008 e il 2018 si trasferisce a New York dove porta avanti la propria ricerca artistica presso diverse strutture tra cui il Center for Curatorial Studies del Bard College, il Lower Manhattan Cultural Council e l’Artists Alliance, mantenendo però un legame molto stretto con la scena artistica italiana.
Tosatti si dedica, infatti, in maniera sempre più assidua a riflessioni sul ruolo dell’artista nella società, animando progetti come La costruzione di una cosmologia (che coinvolse quindici artisti italiani – da Kounellis ad Andrea Mastrovito – in una serie fitta di confronti durata circa due anni) e Brooklyn Cyrcle negli Stati Uniti. A ciò ha affiancato scritti dedicati a temi come l’individuazione degli archetipi nel mondo contemporaneo e letture di contesto sull’arte italiana confluite nella teoria sul “Neorealismo visivo” (2014). Nel 2011 cura RELOAD, prototipo di intervento culturale urbano sul riuso temporaneo di spazi improduttivi che coinvolse la maggioranza dei giovani curatori romani e degli spazi no-profit allora attivi.
Nel 2013 inizia a Napoli Sette Stagioni dello Spirito (2013-2016), un’opera in sette parti, ambientata in altrettanti luoghi abbandonati – spesso riaperti per l’occasione dopo decenni – all’interno della città partenopea, reinterpretati dall’artista come una sorta di percorso spirituale ispirato a Il Castello Interiore (1577), un testo mistico di Teresa d’Avila. Grande lettore di Anna Maria Ortese, Pier Paolo Pasolini e Antonio Gramsci, Tosatti viene sostenuto nell’impresa dalla Fondazione Morra e dalla Galleria Lia Rumma, che attualmente lo rappresenta. Il ciclo, curato da Eugenio Viola, si conclude con la mostra Sette Stagioni dello Spirito (2013-2016) al museo Madre di Napoli, accompagnato da un corposo catalogo in due volumi edito da Electa.
In questi anni ArtReview lo segnala tra i 30 artisti internazionali più interessanti della sua generazione e Domus inserisce l’intervento permanente a Castel Sant’Elmo My dreams, they’ll never surrender, opera dedicata a figure rivoluzionarie come Luisa Sanfelice, Nelson Mandela e Antonio Gramsci, tra le dieci mostre migliori al mondo per il 2014. «Credo in un ruolo attivo e intellettuale dell’artista, in grado di strutturare il proprio pensiero non solo attraverso le proprie opere ma anche con la produzione di scritti teorici», dichiara Tosatti, che è editorialista del Corriere della Sera e collabora con la rivista Opera Viva.
Dal 2018 l’artista comincia il ciclo Il mio cuore è vuoto come uno specchio, un progetto articolato ispirato alla crisi della democrazia e la conseguente scomparsa della civiltà occidentale, nata nell’Atene di Pericle. Nel 2021 il progetto è arrivato alla quinta tappa nel quartiere curdo di Istanbul, dopo il palazzo Biscari a Catania, l’ex fabbrica tessile Boļševička di Riga, la A4 Foundation di Città del Capo e il lago Kuyalnyk a Odessa.
«Interpreto l’antico genius loci, lo spirito dei luoghi, attraverso interventi che mettano a terra le mie riflessioni sul tempo che abbiamo di fronte» sottolinea l’artista, che nel corso del 2021 ha vinto sia il premio Taverna con la performance Concerto vietato allo Spazio Taverna che il premio Artisti per Frescobaldi con l’installazione Cattività nella tenuta di Castelgiocondo in Toscana. Le prossime sfide lo vedono impegnato su un doppio fronte, come artista alla Biennale di Venezia e come direttore artistico alla Quadriennale.
Cosa farà? Lo abbiamo chiesto a lui: ecco le risposte.
Sei stato nominato alla Quadriennale con l’intento di rimettere l’artista al centro: ci puoi raccontare quale è la tua visione dell’artista?
«È una domanda difficilissima. La figura dell’artista è qualcosa di enormemente sfaccettato e cambia a seconda dei tempi e dei luoghi. Posso dire che l’Italia ha una sua tradizione particolare che tende a contraddire il vecchio adagio francese «bête comme un peintre» per proporre figure trasversali nel loro impegno formale e intellettuale. E’ una tradizione nata nel nostro Umanesimo e che ha costituito la spina dorsale della storia dell’arte italiana e quindi della storia d’Italia. La si ritrova costante nei secoli attraverso figure come Leonardo, poliedrico per eccellenza, Michelangelo, scrittore, pittore e architetto, Bernini, artista e autore di alcuni veri e propri miracoli teatrali, fino a Pasolini, regista, poeta, narratore e giornalista. Ma a parte questi numi irraggiungibili, troviamo la stessa attitudine alla trasversalità in moltissime esperienze di grandi artisti del presente del passato, basti pensare semplicemente alle avanguardie del ‘900».
Come pensi di far dialogare la Quadriennale con il mondo esterno all’arte? (industria, cultura, sociale…)
«La Quadriennale non è una mostra. È un ente scientifico per la ricerca sull’arte italiana e la sua la promozione. E’ molto importante che il nuovo corso di questa istituzione punti la sua massima attenzione sul fatto che la mostra è un momento in cui, semplicemente, si dà lettura pubblica di un lavoro scientifico e capillare da svolgersi nei 4 anni precedenti. E questo lavoro consiste appunto nell’alimentare il più vivace e funzionale dialogo di sistema possibile».
Che cosa significa guidare un’organizzazione dal punto di vista di un artista? Cosa ha di diverso rispetto ad un curatore?
«Un direttore artistico e un curatore sono due ruoli del tutto differenti. Io non sono un curatore. E non intendo curare nulla. Però sono stato direttore di riviste, di giornali, di strutture. Questa volta, ovviamente l’istituzione è decisamente tra le più importanti del nostro paese ed è una grande responsabilità. Fortunatamente, però, a me tocca il ruolo di direttore artistico, il che significa che potrò contare sull’esperienza del direttore generale Ilaria Della Torre per tutto ciò che riguarda gli aspetti più delicati e complessi nel portare avanti la grande macchina di Quadriennale. Questo mi aiuterà a poter rimanere concentrato sull’orchestrazione dei contenuti che altri artisti e curatori porteranno nell’avventura che ci apprestiamo a cominciare».
Saranno collegate le due esperienze: Biennale e Quadriennale?
«Questi progetti hanno due elementi importanti in comune. In primo luogo l’urgenza di dare una lettura del nostro presente storico attraverso l’arte. In secondo luogo essere elementi capaci di rappresentare la scena italiana agli occhi del paese e del mondo. In entrambe queste sfide avrò un ruolo, ma direi che sono piuttosto indipendenti».