Gianni Lucchesi, (Pisa, 1965) è il protagonista della mostra “OUT THERE”, che aperto lo scorso 2 settembre a Scalo Lambrate, a Milano. Lo abbiamo intervistato, per approfondire luci, ombre e ispirazioni di un “iperogetto”.
Come nasce la mostra “OUT THERE” che stai preparando insieme a Davide Groppi e che si inaugurata il 3 settembre negli spazi di Scalo Lambrate?
“OUT THERE” nasce dal desiderio di Sandra Bozzarelli, ex direttrice della galleria Il Lepre di Piacenza, chiusa nel 2019, di farmi incontrare con Davide Groppi, light designer, convinta che la nostra collaborazione potesse produrre un progetto interessante. Con Davide ci siamo confrontati su un mio progetto di esposizione e da quel momento “OUT THERE” ha iniziato a prendere forma. Occorreva uno spazio, un curatore e soprattutto un’organizzazione. Collaboravo già con la Galleria IPERCUBO e l’idea di questa mostra è stata accolta con entusiasmo. Attraverso IPERCUBO sono venuto a conoscenza del concetto di “iperoggetto” di Timothy Morton, una idea che rimane un punto di svolta nel mio lavoro. Con Nicolas Ballario, curatore di “OUT THERE”, avevo già lavorato nel 2019 per il testo critico della mostra “In the box” e lui è risultato fondamentale per trovare lo spazio, lo Scalo Lambrate a Milano.
In quale modo il concetto di iperoggetto di Timothy Morton ha cambiato il tuo lavoro?
Questa filosofia mi ha dato la possibilità di pensare alle mie opere in una prospettiva diversa dal solito e in questo senso la mostra rappresenta un cambio rotta. Da sempre ho lavorato sugli aspetti psicologici dell’uomo, un’interpretazione della realtà in apparenza antropocentrica, mentre “OUT THERE” sposta lo sguardo fuori. Mi sono appassionato alla definizione di iperogetto, al modo con il quale Timothy Morton tratta l’aspetto psicologico dell’approccio che l’uomo ha con i grandi problemi. Iperoggetto inteso come qualcosa che l’uomo sa definire, di cui riesce a parlare e prevedere le conseguenze proiettando persino scenari futuri allarmanti ma che per una sorta di autodifesa tiene a distanza senza riuscire a percepire realmente la portata di ciò che sta affrontando. Morton utilizza una serie di metafore e di parallelismi con la fisica quantistica per spiegare come l’uomo possa teorizzare una condizione e uno stato della materia senza però riuscire a percepirla. L’iperogetto si apre a una quarta dimensione che noi possiamo concepire ma non riusciamo a percepire. In “OUT THERE” affronto il rapporto che c’è tra l’uomo e la sua conoscenza dell’ambiente, dello spazio. Si tratta dell’impossibilità di riuscire ad afferrare realmente quelli che sono i problemi enormi di cui fa parte e talvolta ne è la causa, ma di cui non riesce a liberarsi.
Cosa ci puoi raccontare sulle opere che sono esposte?
Nella mostra porto una serie di sculture inedite in bronzo e ferro e due quadri, grandi campiture bianche che dipingo adoperando il bitume come un acquarello. A differenza dei progetti precedenti il focus della mostra non sarà i sentimenti umani. Sarà un invito a guardare l’uomo, che raffiguro comunque attraverso la miniatura, in rapporto dimensionale rispetto all’ambiente in cui è inserito. Utilizzerò dei personaggi, sempre in giacca e cravatta, e li installerò in contesti un po’ surreali.
Come si inserisce in “OUT THERE” il lavoro di Davide Groppi come lighting designer?
La luce verrà utilizzata in chiave drammaturgica. Mi interessa lavorare più con l’ombra che non con la luce perché l’ombra rivela una fisicità. Nella mostra ci sarà un gioco di attenzioni-tensioni diverse: alcuni personaggi, insieme agli animali, guarderanno verso la propria ombra, più in sintonia con l’ambiente che li circonda. Invece altre miniature che raffigurano l’uomo guarderanno in direzione opposta.
Nelle tue sculture precedenti c’è la ricorrenza del cervo…
Sì vero, il cervo… Prima di lasciarmi conquistare dalla sua simbologia, legata alla spiritualità, sono stato da sempre rapito dall’eleganza di questo animale. Il cervo compare nel mio lavoro soprattutto per questa eleganza e mi consente inoltre di mettere l’accento sull’istinto, mentre l’umanità sposta lo sguardo altrove.
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