La Fondazione Ragghianti a Lucca presenta in contemporanea la mostra “L’avventura dell’Arte Nuova”, di due artisti, Cioni Carpi e Gianni Melotti, che negli stessi anni – dal Sessanta all’Ottanta – hanno operato rispettivamente a Milano e a Firenze, in diversi ambiti, ma soprattutto in quello fotografico.
La prima mostra riguarda Cioni Carpi (1923-2011), la seconda, sulla quale in particolare ci soffermeremo, quella di Gianni Melotti (1953), fotografo – che attualmente continua a produrre – nel suo primo decennio di attività.
L’intento del curatore della mostra di Melotti, Paolo Emilio Antognoli, è anche quello di sottolineare il fermento culturale che animava Firenze in quegli anni Settanta, un ambiente per nulla provinciale né chiuso al contemporaneo.
Il vento del 68 era soffiato anche sul capoluogo toscano che seppe cogliere le novità che erano nell’aria, alimentando lo sviluppo di una comunità di artisti di avanguardia, allo scopo di creare interazione tra le diverse forme d’arte, architettura, design, editoria, video, fotografia.
Melotti fu il fotografo ufficiale di Art/Tapes 22 e questa sua esperienza fu importante quando venne fondata Zona non-profit art space, spazio autogestito, perché gli permise di esordire insieme a Bill Viola con una mostra intitolata “9.30/10.30”.
Opera interessante questa perché Melotti fotografa il muro di un palazzo davanti alla Galleria d’arte alle 9 di mattina, illuminata da un raggio di sole, e poi la riproduce la sera, sempre sullo stesso muro, dodici ore dopo, attraverso un proiettore di diapositive.
Nell’Autoritratto in doppia esposizione (1975) riproduce una serie di 20 immagini, in bianco e nero, del suo viso, prima ben definito poi man mano sfocato fino a diventare un’immagine anamorfa e incomprensibile, fatta di masse bianche e nere.
Altro esperimento originale è quello intitolato L’iconografia e l’iconoclasta. Qui Melotti riproduce la sua stanza in nove scatti con sistemi di stampa inusuali (ad esempio, carta sensibile usata alla rovescia) e descrive in un quaderno dettagliatamente quanto presente nelle foto. Si crea così volutamente una sorta di contrasto tra l’immagine descritta attraverso la scrittura e quella fotografica.
Ma lo spirito caustico di Melotti non viene meno anche negli anni successivi. C’è un’opera nel 1978, intitolata Un giallo a Genova, nata come installazione site-specific e poi inserita con una serie di scatti fotografici in un libro collettivo. La scena rappresentata è un dramma che sta per scoppiare nel parcheggio di un supermercato: un taxi giallo con il motore acceso proietta i suoi fari gialli su una cucina economica, allacciata a una bombola gialla, da cui sembra fuoriesca del gas, pronto a esplodere. Ma tutti i rumori sono registrati ed è solo una messinscena.
Per finire, in una sorta di spirito preveggente, Melotti fotografa i suoi amici con una calza di rete in testa. Siamo nell’81, la mania delle persone di finire nella rete virtuale dei social media è di là da venire, ma il fotografo con il suo fiuto se n’è già accorto!
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