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Gillo Dorfles, L’imprevedibile disarmonia dell’arte – Galleria Aleandri
Arte contemporanea
Campione di eclettismo – inteso come caratteristica di chi per scelta o per necessità non si specializza in un campo specifico ma sparge le sue energie intellettuali, creative, passionali in più campi – Gillo Dorfles divise la sua esistenza tra interessi diversi che lo portarono a essere neuropsichiatra, critico d’arte e pittore. E proprio trentuno lavori di pittura e grafica occupano in questi giorni la Galleria Aleandri, fornendo una nuova prospettiva sull’attività artistica di Dorfles, troppo spesso oscurata dalla popolarità raggiunta con la critica d’arte dall’intellettuale triestino.
![](https://www.exibart.com/repository/media/2022/02/Gillo-Dorfles-Guanto-e-spirale-1940-284x300.jpg)
Le opere esposte attraversano un arco di tempo che va dagli anni quaranta al 2011. Se alcune opere sono decisamente celebri, è il caso del quasi bretoniano Guanto e spirale (1940), altre pur meno conosciute destano altrettanta meraviglia per freschezza e urgenza, ed è il caso della cartella di disegni 1986, traccie di inconscio disegnate automaticamente fino al ritrovamento di suggestioni formali variamente e vagamente riconoscibili, proprio secondo un classico modus operandi dei surrealisti. E del resto il terreno su cui si forma Dorfles, ed il suo interesse per i processi psichici, come spiega il raffinato ed efficace testo di Giulia Tulino in catalogo, è il milieu triestino di Arturo Nathan, di Leonor Fini, di Umberto Saba e di Italo Svevo, in cui è probabile che le idee di Freud circolassero in anticipo sulle prime traduzioni italiane delle sue opere. Dorfles poi si sposterà a Milano, prevalentemente, dove sarà il teorico del MAC, Movimento Arte Concreta, fondato nel 1948.
![](https://www.exibart.com/repository/media/2022/02/Gillo-Dorfles-tempere-su-cartone-pressato-1944-217x300.jpg)
È sorprendente la spontaneità giocosa con cui molti dei disegni di Dorfles – i cui andamenti ricordano ora le fantasie di Licini, ora i circuiti della Struttura al neon di Fontana (che pure aveva partecipato al MAC), ora i ritmi filiformi dei ballerini di Giacomo Balla per il TicTac – nella loro mutabilità e sfuggevolezza semantica lasciano emergere spesso e volentieri riferimenti al proprio autoritratto, alla rappresentazione di se stesso. In questo corre in aiuto dell’artista il mezzo prescelto, ovvero il pennarello colorato, strumento veloce, scorrevole, e dunque ideale per non perdere il senso di immediatezza del flusso psichico.