Ci sono incontri elettivi che il tempo sottrae all’oblio, che paiono non estinguersi trovando invece un compimento al di là delle esistenze singolari. Incontri particolarmente felici, testimoni delle trame che l’esistenza può assumere e precursori di un avvenire.
Ci sono poi destini tortuosi che portano su di sé il peso della Storia e, forse per questo, ricercano a un certo punto il silenzio, la distanza, l’auto-confinamento. La vita dell’artista Gina Klaber Thusek (1900-1983) ricorda uno di questi: la sua è una storia costellata di possibilità, occasioni felici, stalli determinati dagli eventi geopolitici europei e confluiti in una pratica artistica eclettica; e dell’incontro speciale negli anni Settanta tra lei e la giovanissima Elisabeth Hölzl (Merano, 1962), sua allieva di disegno dal nudo nel periodo in cui frequentava con la madre la casa-studio dell’artista morava.
“Eliografie, incomplete” è la storia di questi intrecci elettivi che hanno preso la forma di una mostra e di un diario-libro d’artista intitolato Lichtpausen, progettato dall’artista meranese con scritti e fotografie della Thusek.
Il primo è tra le due artiste – di generazioni e culture lontane – che hanno condiviso per un certo periodo lo stesso spazio fisico e mentale; il secondo è tra Ursula Schnitzer, curatrice della mostra omonima al Museo Merano Arte, e il lascito di opere e documenti della Thusek, oggetto di un suo importante lavoro di archivio e di ricerca; il terzo e ultimo decisivo incontro è tra la Schnitzer e la Hölzl, autrici di un suggestivo lavoro di lettura e rappresentazione inedita dell’opera dell’artista morava, scampata allo sterminio nazista e confinata a Merano durante la Seconda guerra mondiale, luogo che non abbandonò più nonostante la tenesse lontana dalla scena artistica attiva.
La mostra restituisce sapientemente la fatalità e la poesia di questa storia raccontando i punti di contatto tra le due artiste sotto lo sguardo della curatrice, che ne ha messo in luce le assonanze, gli echi, il dialogo ritrovato. Che si colgono già nella prima sala, dove sono state rievocate le atmosfere magiche della casa-studio della Thusek durante le sedute di disegno. Qui i bozzetti, le sculture e gli oggetti intimi dell’artista catturano l’attenzione insieme al bel lavoro a parete di Elisabeth Hölzl, un lenzuolo bianco recante la frase scritta in rosso “Das Panorama wird sie nicht enttauschen” (“Il panorama non vi deluderà”), risuonando visivamente nello spazio. Una sorta di incipit che accompagna lo spettatore nella sala successiva dal titolo Incontrarsi di nuovo, dove si scoprono brani di vita della Thusek grazie all’ideazione di un display espositivo che consente rimandi temporali e percettivi tra le parole dei suoi diari, le fotografie personali (particolarmente significativo un suo ritratto mentre corre nuda nei prati) e gli autoritratti della Hölzl.
Ad ogni sala della mostra la curatrice ha abbinato un titolo evocativo: la sala Nostalgie parla dell’identità femminile, della libertà di genere, del desiderio e dell’amore attraverso le intense fotografie notturne dell’artista meranese, il disegno di un reggiseno e il readymade provocatorio Plastikpuppe und Brotkipferln Hölzl dell’artista morava, composto da una Barbie e da alcuni pezzi di pane.
Il rimando intrigante di suggestioni tra i loro lavori continua della sala intitolata Frammenti, dedicata alla produzione giovanile degli anni Novanta della Hölzl. In questo ciclo di opere l’artista esplora la relazione con lo spazio sia nelle interazioni pittoriche tra linea, colore e superficie (la serie Ohne Titel) sia nei quadri-scultura realizzati con barre di metallo e vetri. Una rarefazione minimalista enfatizzata dagli assemblage di matrice dadaista della Thusek, tra i quali spiccano i Kerzengärten, curiosi paesaggi in miniatura composti da moccoli consunti di candele colorate.
Nella stanza Osservando il silenzio le belle fotografie a colori della Hölzl di luoghi abbandonati, colti nella loro desolazione temporale, raccontano le trasformazioni urbane locali, a cui fanno eco le sculture a mezzo busto dell’artista anziana intenta a esplorare il divenire dell’identità umana.
Seguendo il percorso della mostra si scopre il talento stilistico della Thusek e la sua parentesi professionale nella moda in una sala omonima ricca di maquette, schizzi, figurini e abiti in maglieria, intitolata Gina come il nome del suo brand.
I corpi delle artiste, in particolare le mani, sono messi in relazione all’immagine della natura in un gioco di rispecchiamenti nella penultima sala (L’altro ritratto), mentre il tema della caducità umana occupa la sala finale della mostra dal titolo Attimo. Qui Elisabeth Hölzl ha creato una camera diafana, evanescente, dove gli sguardi degli amici fotografati dietro a un velo di garza – recante la frase di Goethe “Augenblick verweile doch, du bist so schön” (“Attimo, fermati, sei così bello”) – incontrano gli occhi dello spettatore evocando l’apparizione e il disvelamento di sé.
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