In un avvicendarsi ciclico che riecheggia geometrie cosmiche, l’opera di Giorgio Andreotta Calò è punteggiata da motivi ricorrenti: fra questi, la volontà d’indagare i meccanismi di trasformazione della materia e il desiderio di portare in superficie lo scarto residuale – metaforico e materiale – dell’esistenza, in connessione con una sfera simbolica che, in questo caso, ridisegna i confini del mito. In occasione della mostra “ΊΚΑΡΟΣ (Icarus)”, l’omonimo mediometraggio realizzato dall’artista per la Biennale Into Nature nel 2021 è sviluppato nell’allestimento presso ZERO…. Lavorando sulla struttura a due livelli dell’edificio, Calò concepisce un ambiente sospeso tra orizzonti ontologici antitetici, delineando un percorso immersivo che sconfina nei territori dell’onirico.
Ci si confronta dapprima con uno spazio labirintico, frutto della scomposizione e dislocazione di una voliera del Padiglione delle farfalle di Rensenpark a Emmen, Paesi Bassi. Da tempo dismessa e prossima alla demolizione, nel 2020 l’architettura si fa teatro del suo ultimo atto: in un gesto poetico, l’esperto entomologo Enzo Moretto e l’autodidatta Bart Coppens rianimano il sito, ristabilendovi una colonia di falene.
Nel 2022, questi lepidotteri trovano dimora nello spazio dell’esposizione. Adagiati ai pannelli della struttura rilocata, bozzoli di Argema Mimosae si accompagnano alle proprie microfusioni in argento. Come già in Senza titolo (2016), dove un ramo di legno combusto era disposto specularmente al suo doppio in bronzo, la collocazione delle crisalidi di falena accanto a loro individui adulti rappresenta un passaggio di stato figurato: la trasmutazione alchemica della materia nel processo artistico.
Nozioni di spostamento, doppio e mutamento irradiano la poetica dell’artista così come il progetto espositivo, che alterna continuamente piano materiale e simbolico. A connettere i due livelli dello spazio e della narrazione è un montacarichi le cui pareti sono costellate di falene Samia Ricini. Spazio di soglia, si configura, in potenza, come un bozzolo in attesa di dischiudere una nuova metamorfosi.
La dissolvenza dalla luce naturale del livello superiore della galleria all’oscurità del piano inferiore segna l’accesso a una dimensione che sfuma definitivamente la separazione fra reale e immaginario. Nel video ΊΚΑΡΟΣ (Icarus) (2020/21) si ritrova il Padiglione delle farfalle; in esso, i due entomologhi si sovrappongono alle figure di Dedalo e Icaro, padre e figlio che, nel mito ovidiano Le metamorfosi, tentano di evadere da Creta, costretti sull’isola da Minosse. Alle ali ricavate da Dedalo per la fuga, una coltre di falene si sostituisce a rivestire gli arti di Coppens, la cui trasformazione in uomo-lepidottero segue a un percorso di cura e dedizione verso questi insetti, riconfigurando la tradizionale associazione di Icaro alla hybris greca, ossia, quella tracotanza umana che osa sfidare gli dèi. Traccia dell’avvenuta simbiosi e sorta di cuticola residuale della muta è l’indumento, indossato da Coppens nelle riprese e ora esposto in un angolo dello spazio, adorno di esoscheletri di Samia Ricini.
Come le falene, animali notturni, sono fatalmente attratte da fonti luminose artificiali, così Icaro è fatalmente attratto dal Sole. Nell’avvicinarvisi, in un volo fra mare e cielo che rievoca il viaggio in sospensione aerea su Milano compiuto dallo stesso Calò all’interno di una barca (Volver, 2008), Icaro sfida i limiti in cui è costretto, in un anelito di libertà e scoperta che, forse, insegna a non rimanere prigionieri nell’immobilismo dello status quo, ricercando un equilibrio fra le dicotomie della vita.
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