Giovanni Anselmo, naufrago all’orizzonte: l’ultima mostra al MAXXI di Roma

di - 10 Luglio 2024

Durante un’intervista a fine dicembre 2023, un passato recente ma relativamente lontano se si considera la follia dei nostri ritmi frenetici e forsennati, Anna Imponente mi ha aperto una piccola feritoia per poter osservare e comprendere meglio Giovanni Anselmo. Vi riporto una parte del racconto dolce che emergeva dalle parole di chi, in un certo qual modo, si era immerso a fondo nella poetica del maestro, appena scomparso: «Aveva questa capacità di trasformare la natura, l’indicare il particolare, l’infinito. Era indimenticabile come, nella sua casa francescana a Stromboli, c’era una serpe in un pozzo con cui lui aveva costruito un dialogo: non l’ha cacciata ma ci conviveva, con la razionalità del saggio orientale. È la grandiosità dell’universo, vista da un uomo che, andando in cima allo Stromboli, si era avvicinato un po’ di più alle stelle, e ne sentiva il peso insostenibile. Questo è il dono dell’arte: trasformare e dare un esempio di trasformazione». La percezione di un vuoto intimo ma profondamente sconfinato.

Ricco di epigoni minori che non riescono, in alcun modo, a pareggiarne la poesia, il suo potente retaggio emerge nell’ultima mostra concepita in collaborazione con l’artista: Giovanni Anselmo. Oltre l’orizzonte. Curata da Gloria Moure e organizzata dal MAXXI di Roma in collaborazione con il Guggenheim Museum di Bilbao, la mostra ricostruisce un’analisi completa della ricerca di Anselmo. Dall’infinito e l’immenso, al microscopico e all’invisibile, il lontano ed il vicino, il panorama e il dettaglio, tutti questi elementi si combinano in un’unità poetica e concettuale ricca, commovente.

Giovanni Anselmo, Dissolvenza, 1970. Ferro, proiettore, diapositiva con la scritta “dissolvenza”. Collezione dell’artista / Archivio Giovanni Anselmo ETS. Foto: Giorgio Benni. Courtesy: Fondazione MAXXI, 2024

Durante la mia visita, accanto a Mentre verso l’oltremare il colore solleva la pietra (1995-2023), una madre ha chiesto a suo figlio: «Nicolò, lo vedi l’infinito?». Il bambino non ha risposto, ha soltanto pianto. Come questo bambino estremamente sensibile, lo spettatore si perde in questa immensità. Si immerge in questo oceano senza confini, ma per cercare cosa? Forse, semplicemente la propria scomparsa; l’annullamento, romantico, in qualcosa di cui non possiamo avere il controllo; la ricerca, spasmodica, di contenere l’infinito sul palmo di una mano. Anselmo, in questo, ci ha indicato una via: per riuscire a disvelare quelle forse misteriose, che si annidano sotto la superficie apparentemente visibile del reale, occorre un gesto semplice, immediato, che possa squarciare il velo sottilissimo, quasi impalpabile, delle nostre certezze. È un infinito visibile, percepibile, che ci spaventa e ci inquieta. È la scomparsa dell’individuo all’interno di tutto ciò che gli è sempre sembrato importante. Il crollo delle proprie precognizioni, del proprio potere, per via della nostra, fondamentale, irrilevanza.

Giovanni Anselmo, Particolare di infinito, 1969-1979. Particolare visibile e misurabile di infinito come scritta ingrandita a matita su carta, 16 disegni. Collezione dell’artista / Archivio Giovanni Anselmo ETS. Foto: Giorgio Benni. Courtesy: Fondazione MAXXI, 2024

Cosa conta? Che cosa è importante? Non ho saputo rispondere a queste domande, se non con un sorriso osservando la bellezza senza confini, la poesia racchiusa nella fragilità, l’effimerità che si trasforma in eternità. Ciò che non possiamo comprendere, ciò che va oltre i limiti dei nostri preconcetti, non è altro che il cosmico: l’incontro impossibile tra il tutto e il niente, la dissolvenza delle cose nel mondo. Nel cosmico, non esiste un tempo. Per citare Carlo Rovelli, ne L’ordine del tempo, esiste «Un tempo diverso per ogni punto dello spazio. Non c’è un solo tempo. Ce ne sono tantissimi».

Giovanni Anselmo, Il panorama con mano che lo indica, 1982-1984. Disegno a matita su carta intelata, pietra. Collezione CGAC — Centro Galego de Arte Contemporánea, Santiago de Compostela. Foto: Giorgio Benni. Courtesy: Fondazione MAXXI, 2024

Le opere di Anselmo sono vera poesia, il che implica una certa predisposizione all’ascolto – oggi rara ma costantemente ribadita. Penso all’insegnamento di Joseph Beuys alla Kunstakademie di Düsseldorf: il maestro esortava gli studenti a «Comprendere cosa avviene sulla terra» per poter creare arte. Creare, e non produrre. Una critica fortemente militante, anticapitalistica, ma propriamente collocabile non solo in quanto spirito di quel tempo: l’arte che riesce a superare le barriere spaventose del tempo vive dacché è, certamente, espressione dello zeitgeist, ma anche, fondamentalmente, l’eco ancestrale del canto di una storia sepolta che l’artista deve riscoprire.

Giovanni Anselmo, Nicola De Maria, Giuseppe Penone, “Identitè Italienne. L’art en Italie depuis 1959”, 1981, Parigi, Centre Pompidou. Foto: Nanda Lanfranco, Centro Archivi MAXXI Arte, Fondo Incontri Internazionali d’Arte. Courtesy: Fondazione MAXXI, 2024

Anselmo è uno sciamano o un sacerdote che, compiendo quel rituale laico che è il gesto del pensiero, riflette sulla realtà e comunica le sue intuizioni attraverso l’opera d’arte – di cui non è pienamente consapevole. Una chiamata votata alla bellezza stessa. «L’estetica è madre dell’etica», per citare Iosif Brodskij; non c’è politica nella verità, c’è solo politica nella sua manipolazione e nel suo abuso (quanto più presente in quest’epoca d’incertezze e violenze). Che cosa resta, con Anselmo? Semplicemente, la grandezza dell’infinito, che non è altro che un piccolo blocco di piombo di qualche centimetro, inciso…e il naufragar m’è dolce in questo mare.

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