Visitabile fino al 24 aprile 2022, nello STUDIO della Kunsthalle di Mannheim, “Imbalance” è il progetto espositivo di Giulia Dall’Olio, a cura di Mathias Listl. Nata a Bologna, nel 1983, Giulia Dall’Olio ha incentrato la sua ricerca artistica sul rapporto tra uomo e natura. I suoi dipinti e disegni, tra resa realistica e astrazione, mostrano infiniti paesaggi di foreste che sembrano impenetrabili e attirano lo spettatore nella rappresentazione, attraverso la ricchezza di dettagli. La completa assenza dell’uomo stimola così la riflessione su un futuro possibile, in cui solo la natura agisce come forza creatrice. Nei disegni a carboncino creati appositamente per la mostra nello STUDIO della Kunsthalle, Dall’Olio affronta il tema centrale del suo lavoro e, nello specifico, lo sfruttamento della natura come risorsa ipoteticamente infinita. Abbiamo raggiunto l’artista per farci dire di più.
Da quale idea nasce il progetto “Imbalance” realizzato per il Kunsthalle Mannheim?
«Imbalance è una mostra curata da Mathias Listl ed è stata possibile grazie alla collaborazione con l’associazione Artgenossen che ha finanziato parte del progetto e la Galleria Isabelle Lesmeister di Ratisbona con cui ormai collaboro da sei anni.
La realizzazione di questo progetto mi ha dato l’opportunità di rivelare come la natura appaia oggi nel suo insieme frammentata. Niente come l’osservare la mia terra da un finestrino di un treno, mi ha dato la consapevolezza di quanto sia raro poter apprezzare un paesaggio privo di artifici umani, artifici che percepisco spesso solo come interferenze. Coltivando i sentimenti prodotti dall’osservare e le emozioni suscitate dal vivere un paesaggio o una natura incontaminata, si imparerebbe a prendersi cura di ciò che ci circonda nella misura necessaria alla vita. Per questo motivo, nella mia ricerca, la totale assenza figurativa dell’essere umano e animale è necessaria per non dare la natura per scontata e per riporla al centro della nostra esistenza.
Il mondo vegetale non ha bisogno dell’uomo, mentre l’uomo ha assolutamente bisogno di quella natura che tratta come se fosse una materia sfruttabile per ogni sua necessità, alla stregua di una risorsa infinita. Inutile citare in questo frangente le conseguenze a cui ha portato tutto ciò e con cui dovremo confrontarci negli anni a venire.
L’idea dell’installazione principale del progetto è nata dalla metafora dall’avere tra le mani un pezzo di carta che continuiamo a strappare fino a quando non troviamo la dimensione giusta per poterlo utilizzare, sul tavolo non rimane altro che una miriade di pezzi che, come quel paesaggio visto dal finestrino di un treno, mai potranno tornare alla loro integrità».
Quali opere vi sono esposte?
«La mostra è composta da quattro corpi principali di opere, tre si trovano all’interno della stanza/studio e la quarta è un site specific sul muro esterno all’ingresso della stessa. All’interno troviamo l’installazione principale che si basa sulla frammentazione e sull’idea di perdita di integrità. L’opera misura cinque metri per sei, ed è composta da un insieme di cinquantadue disegni a carboncino raffiguranti diversi tipi di vegetazione; i disegni sono nati da disegni più grandi che sono stati successivamente frammentati, sagomati e infine disposti a muro in maniera casuale, in modo da togliere ogni possibilità di riconduzione al “disegno madre”. Sul lato opposto, con lo stesso principio, ho realizzato 14 piccoli disegni su cui sono poi ulteriormente intervenuta con pastelli, colori ad olio e acrilici. A chiudere il progetto due opere apparentemente incomplete dove lascio allo spettatore il compito di ultimare con la sua immaginazione l’evoluzione dell’architettura naturale: un piccolo olio su tela e un grande disegno fatto direttamente a parete».
La tua ricerca più recente è contraddistinta da un intervento più marcato del colore: che significato attribuisci a tale nuova inclinazione?
«È un momento in cui sono molto affascinata dal colore e dalle varie tracce che lascia a seconda della superficie che utilizzo. Trovo costruttivo per i lavori a venire lavorare in maniera molto libera senza forzature di contenuti, per aprire quelle porte sul disegno che per me sono ancora chiuse. Mi è venuto naturale innescare un dialogo immaginario tra l’utilizzo del colore, traghettatore di emozioni, e quello del carboncino, come fossero opinioni differenti che nel tempo cercano di correggersi a vicenda allo scopo di trovare la loro verità. Un pretesto, forse, per avvicinare e creare un legame tra due facce diverse del disegno che nasce dalla stessa mano».
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