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Gli animali nella scultura contemporanea. A Parigi
Arte contemporanea
Dalla bellezza selvaggia alla bestia che dorme in noi, dall’agnello al leone, reale o fantastico, l’animale e l’animalità sono temi ricorrenti nell’arte di ogni tempo e cultura. La mostra “Bêtes de scène” ce ne fornisce uno spaccato attraverso 29 artisti contemporanei e 57 sculture provenienti dalla Fondazione Villa Datris presso il suo spazio parigino Monte-Cristo. Voluta da Danièle Kapel-Marcovici e Tristan Fourtine, la fondazione ha sede su L’Isle-sur-la-Sorgue nel sud della Francia dal 2011 dove organizza esposizioni che accolgono ogni anno oltre 40mila visitatori. La collezione riunisce solo sculture d’Arte Contemporanea, una scelta originale che richiede spazio e misure straordinarie per organizzare mostre che la fondazione allestisce in collaborazione con gallerie private e pubbliche. “Bêtes de scène” è stata già presentata nella sede meridionale della fondazione ma in versione più ampliata grazie a prestiti come The Juggler di Barry Flanagan della galleria Lelong, così come Sirens di Kiki Smith, o Water Fawl di Mark Dion dalla collezione Raja Art.
L’edificio parigino di due piani sfrutta ogni angolo per calare sculture di animali come piovre, zebre, leoni o albatros, realizzati con vetro, ceramica, legno o tecniche miste, che si dislocano lungo tematiche quali Riconosciamo l’uccello dal suo canto, Il pesce grande mangia il piccolo e Lo specchio per allodole, offrendo una proposta artistica variegata che apre nuovi dialoghi intorno al concetto di animalità. Curata da Pauline Ruiz e Jules Fourtine, “Bestie da scena” si presta a diverse letture, l’animale incarna qui le inquietudini sociali e ambientali odierne, vedi la biodiversità e l’emarginazione, come nella coloratissima Plastic Elephant (2018), realizzata con rifiuti di plastica di Bordalo II, lo street artist lisbonese crea per lo più giganteschi animali multicolori realizzati con materiali riciclati, o Farm Set Piglets (1997) di Pascal Bernier sull’assurdità della sovrapproduzione alimentare. Dell’artista francese troviamo anche Accident de chasse-Renard (2018, una tassidermia con bendaggio e acrilico), dove una volpe impagliata con testa e zampe bendate posa lo sguardo sul pubblico entrante. La creazione esprime la crudeltà della caccia, la morte dell’animale e il sangue versato non rappresentano più un trofeo da esibire ma un atto disumano. Il mito è trattato dalla serie Arche de Noé di Evert Lindfors o Sono una lupa di Katia Bourdarel, ma anche in Paradox II (2019) di Kate MccGwire, che vede un magnifico serpente a piume ritorto su se stesso che ricorda il quetzalcoatl, una divinità pan-mesoamericana.
L’identità femminile è messa in discussione dall’artista indiana Rina Banerjee attraverso una scimmietta eccessivamente agghindata, e in Krishna (2014) di Joana Vasconcelos, che ricopre di merletto blu una ranocchia in maiolica disegnata da Rafael Bordalo Pinheiro, come imprigionata dalla tessitura domestica. Troviamo nomi noti dell’arte come César, Tinguely, Richard Di Rosa, Wang Keping, o artisti mid career come Samuel Rousseau. Artista selezionato al Prix Duchamp nel 2011, qui presenta Paysage Rupestre (2017), un’incantevole animazione sugli affreschi delle grotte di Lascaux e Pont Arco proiettata su roccia. Il patio accoglie Sentinelle aux aguets di Françoise Pétrovitch, e Mononoké ou l’esprit des choses di Laurent Perbos, l’artista francese a cui è stata data Carte Blanche e che qui ha installato una ventina di opere. Tratte dalle sue ricerche sull’uccello – rimando alla collettività e alla libertà – Perbos propone volatili impagliati posati su trespoli e adornati con occhiali e baffi o da una gorgiera e poi racchiusi in campane di vetro, usualmente usate per le statue di santi, qui si trasformano in futuri cabinets de curiosité di vecchi cimeli.
Ispirata alla storia di una donna di Shanghai, che ha perso tutti i suoi risparmi a causa delle formiche mangiatrici di carta, Tausend (2014) di Ursula Palla, presenta in dodici schermi il processo di distruzione di una banconota di mille franchi svizzeri da formiche che le trasportano per creare un terriccio. Queste belve, fiere, o bestie che in senso figurativo acquistano il senso di rozzo, stupido e violento, ossia prive di qualità spirituali, fanno qui vacillare la nostra razionalità perché sono loro che qui rappresentano quelle caratteristiche di solidarietà e di comprensione ‘di norma’ attribuite all’essere umano. “Bêtes de scène” si aggiunge a quella ristretta lista di eventi artistici dedicati solo alle specie non umane, tra queste va ricordata la magnifica mostra collettiva sonora e visiva del 2016 “Le Grand Orchestre des Animaux” presso la Fondazione Cartier. Situato in una zona popolare, l’Espace Monte-Cristo, a ingresso gratuito, è diventato un luogo di incontro sull’arte frequentato dai giovani del quartiere, ma non solo. La mostra, inizialmente aperta fino al 12 luglio, è stata riprogrammata di nuovo tra poche settimane, dal 2 settembre fino al 20 dicembre.