Fino al 7 aprile 2024, le sei rampe spirale dell’edificio di Frank Lloyd Wright del Guggenheim a New York ospitano la mostra collettiva di 28 artisti e oltre 100 opere intitolata Going Dark: The Contemporary Figure at the Edge of Visibility. Il progetto esplora il significato dell’essere visti o non visti o cancellati. Il corpo nei ritratti è nascosto o ritratto di spalle o intravisto solo parzialmente.
Oppure è la tecnica stessa che rende la visione difficile, come nel celebre quadro Black Painting di Kerry James Marshall, che apre la serie: la scena dipinta nero su nero descrive le ore attorno a un fatto importante nella storia politica americana, l’assassinio del leader delle Pantere Nere Fred Hampton, nel 1969, mentre dormiva accanto alla sua ragazza incinta nella loro camera da letto di Chicago. La scena di Marshall è oscura: il nero delle figure dipinte si fonde con il nero dell’ambientazione. Da un lato, Marshall mobilita l’oscurità come gesto protettivo, una privacy estesa a una coppia in uno spazio intimo; dall’altro, questo offuscamento attiva lo spettatore, che è costretto a compiere uno sforzo per esaminare l’immagine, per assorbire e interiorizzare un momento critico della storia. Attraverso questo lavoro monocromatico, Marshall sfuma ulteriormente il confine tra astrazione e figurazione, così come tra la sfera politica e quella sociale.
Un’altra opera che da fotografi ci ha colpito è la serie di 39 stampe di Carrie Mae Weems intitolata Ripetere l’ovvio. L’autrice attinge al simbolo fortissimo nell’immaginario americano dell’hoodie, la felpa con cappuccio, simbolo della violenza razziale. Ogni stampa dell’opera presenta l’immagine dello (stesso) giovane con una felpa con cappuccio, riprodotta in scale diverse e destinata ad essere appesa su più pareti. Nella loro ripetizione e proliferazione, i ritratti ad ampio raggio di Weems imitano e, quindi, mettono in discussione cosa significhi per un’immagine o un evento “diventare virale”, cosa che spesso si verifica con episodi di violenza a sfondo razziale. Inoltre, mentre l’immagine sfuocata potrebbe essere interpretata come un gesto protettivo, potrebbe anche illustrare come le persone emarginate (nere) possano essere facilmente ridotte a simboli o significanti, privi di ogni sostanza, specialmente nell’era postdigitale.
Una terza opera che ci è piaciuta è Mani newyorkesi di Glenn Ligon. Il dittico fa parte di una serie di opere che sfruttano l’oscurità per considerare la costruzione e il significato della storia (maschilista). Nell’opera, il pannello di sinistra presenta una fotografia scattata alla Million Man March del 1995 a Washington, D.C. – una manifestazione per l’emancipazione degli uomini neri all’interno di una società oppressiva – che è notevolmente ingrandita e ritagliata per inquadrare un mare di mani alzate. Il pannello destro è nero monocromatico. Collocando un’immagine di lotta collettiva accanto a un vuoto nero, Ligon mette in discussione le prospettive e le voci che mancavano quel giorno, così come quelle assenti dal discorso generale sulla liberazione degli uomini neri, presumibilmente cisgender ed etero. Al di là della sua critica sociale, l’impegno di Ligon con il monocromo nero colloca quest’opera nella storia dell’astrazione e nel suo legame con la politica.
Ecco la lista degli artisti in mostra: American Artist, Kevin Beasley, Rebecca Belmore, Dawoud Bey, John Edmonds, Ellen Gallagher, David Hammons, Lyle Ashton Harris, Tomashi Jackson, Titus Kaphar, Glenn Ligon, Kerry James Marshall, Tiona Nekkia McClodden, Joiri Minaya, Sandra Mujinga, Chris Ofili, Sondra Perry, Farah Al Qasimi, Faith Ringgold, Doris Salcedo, Lorna Simpson, Ming Smith, Sable Elyse Smith, Stephanie Syjuco, Hank Willis Thomas, WangShui, Carrie Mae Weems, Charles White.
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