Dove inizia e dove finisce la pittura? Chi decide cos’è e, soprattutto, quando è? Fino al 2 aprile la Galleria P420 di Bologna ospita, dopo il successo del 2014, la seconda personale dell’artista croato Goran Trbuljak: “45 Years of Non-Painting”. Come l’immagine speculare – identica e opposta allo stesso tempo – di una tradizionale mostra di pittura, P420 raccoglie stavolta gli innumerevoli tentativi dell’artista di non dipingere. Aldilà delle principali tendenze occidentali, Trbuljak sceglie sin dagli anni ‘60 un concettualismo tinto di autoironia, sfociato poi negli anni ’80 in un atteggiamento quasi disilluso, consapevole che talvolta l’artista sia considerato tale “più per quello che non fa che per quello che fa”.
Se è vero che tutti creano per cercare di affermare qualcosa, 45 Years of Non-Painting si costruisce piuttosto attorno a molteplici dubbi e interrogativi sulla natura della pittura, rimanendo un corpus aperto di tentativi di risposta.
Nel corso degli anni Trbuljak ha indagato, con l’ironia e l’essenzialità delle sue opere, le funzioni base del fare artistico contemporaneo: da ciò che rende un’opera tale fino al ruolo dell’artista e delle Gallerie, generando impercettibili crepe direttamente nella tassonomia dell’arte e spingendoci a ripensarne gli assunti teorici. Ben oltre il prescindere dalla figuratività, i dubbi sollevati dagli esercizi di Trbuljak costituiscono una sorta di bozza visiva di ridefinizione grammaticale, nel significato e nel significante, del concetto stesso di pittura. Percorrere la mostra vuol dire allora camminare parallelamente al processo di creazione e a quello di sabotaggio dell’opera d’arte: eccoci davanti alle più storiche tele incompiute come i Monday Painting o ai Painted from side, in cui ad essere dipinto è il retro e non più il fronte del quadro. Dal capovolgimento del supporto si passa poi al capovolgimento dei ruoli: da Hand-held painting, dove tela e tavolozza si fondono in un primo grado di contaminazione, ai A place on the palette where there is no color, dove la tavolozza diventa direttamente il supporto pittorico.
Accade infatti, ad un certo punto della ricerca di Trbuljak, che pennelli, tavolozze, imbuti e tele vengano sollevati dal loro ruolo funzionale per diventare soggetti e non più strumenti, sostituendo e costituendo l’opera come avviene nelle composizioni scultoree Small composition e Sketch for sculpture. Chiude l’esposizione la selezione delle Sentences: semplici frasi battute a macchina su fogli A4 come Se questo foglio viene appeso in una galleria non è più un foglio ma un dipinto, che rappresentano il punto di saturazione concettuale maggiore della mostra.
Con la sua ricerca sottile e provocatoria, “45 Years of Non-Painting” indaga verosimilmente quella che in grammatica è nota come riflessività metalinguistica: la capacità del linguaggio di parlare di sé attraverso sé, qui diventata la capacità della non pittura di parlare, paradossalmente, della pittura. Aldilà di ogni accomodante verità, tuttavia, gli esperimenti di Trbuljak sfidano l’arte come tante micro-constatazioni in equilibrio temporaneo, la cui esistenza stessa sta nell’attesa di essere confermate o confutate dal pubblico.
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