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Habitat, il minimo nella natura. Intervista a Gola Hundun
Arte contemporanea
Gola Hundun, pittore classe ’82, concentra il suo lavoro sul rapporto tra l’uomo e la biosfera, esplorando temi come la comunicazione tra le specie, lo sciamanesimo, il ritorno alla terra e la spiritualità. L’universo da lui creato ha sempre un’interpretazione allegorica ed è valorizzato da molte influenze – recepite anche durante i numerosi viaggi intorno al mondo – come la cultura post umana, l’arte sacra, la zoologia e l’arte psichedelica. Gola Hundun crea, inoltre, installazioni pubbliche che incorporano fibre, piante vive, musica e performance dal vivo.
Di seguito, l’intervista in occasione del lancio del suo nuovo progetto HABITAT.
Cos’è HABITAT?
«HABITAT è un nuovo progetto che parte da una ricerca etologica e metafisica – prima che estetica – sulle strutture originariamente costruite per le esigenze abitative dell’uomo (edilizia residenziale e/o ricettiva), abbandonate e successivamente ri-colonizzate da nuovi esseri viventi come piante e animali e funghi, i quali – pur trasformandone lo spazio e generando una nuova affascinante forma ibrida – non ne mutano comunque la funzione originaria di habitat».
Come, quando e con che obiettivi nasce questo progetto?
«Il mondo antropico è pieno di esempi di costruzioni in stato di semiabbandono. Tecnicamente molto spesso l’abbattimento e lo smaltimento degli edifici dismessi richiede un impiego di risorse notevoli e così il tempo passa e la Natura si riappropria di uno spazio che le appartiene. L’attenzione verso questo processo inizia con Abitare nel 2017 e si evolve ora con HABITAT, il cui obiettivo è l’indagine, la mappatura, lo studio e la ricerca formale di tale fenomeno, letto come processo artistico naturale al quale si accompagnano alcuni miei interventi minimali, che hanno lo scopo di porre l’accento su ciò che, di fatto, è un ready-made della Natura».
Da dove scaturisce la fascinazione per le ‘architetture in rovina’ che ibridano le rigorose geometrie delle costruzioni alle forme organiche della natura?
«Queste architetture ibride coesistono molto spesso con gli edifici funzionanti all’interno delle città o dei paesaggi che abitiamo, ma la maggior parte delle volte sono invisibili al nostro sguardo distratto dal ritmo rapido della vita. I dintorni della riviera romagnola, dove vivo ora, ne ospitano molti, sia nelle periferie che all’interno dei paesi. La saturazione delle forme e del verde è stata sempre un grosso richiamo per i miei occhi, specie se decontestualizzata dalla forma del bosco; trovo che queste strutture assomiglino molto al mio modo di costruire un’immagine: un impulso apparentemente caotico di rinverdire uno spazio, la stessa sensazione che provo davanti a una tela bianca. Le rigorose linee ortogonali delle costruzioni, plasmate da muschi, piante e nidi di animali, dalle forme morbide della natura, costituiscono di per sé una nuova creazione. Queste due realtà così in contrasto, che trovano inaspettatamente un’armonia nuova generando uno spazio altro, sono state quindi lo spunto della riflessione da cui è nato HABITAT».
Se e quali aspetti del Postumanesimo è possibile rintracciare in HABITAT?
«Il progetto mira a descrivere una visione della vita nello spazio antropico dopo la fine dell’Antropocene, il mondo dopo l’era quaternaria, una nuova epoca affascinante e conturbante in cui la Natura si riappropria dei suoi spazi e gli esseri viventi diversi dall’uomo vi tornano a ricoprire il ruolo che spetta loro. A volte, soprattutto nelle installazioni, immagino e lascio comparire suggestioni di animali e di “esseri” che ancora non esistono, ma che immagino possano popolare HABITAT».
Dal punto di vista artistico come si concretizza questa ricerca?
«Prima di tutto con l’esplorazione in tutte le sue accezioni. I campi d’indagine partono da un’analisi estetica supportata da documentazione fotografica e video continua nel tempo, che non si arresta nel momento dell’intervento artistico e che procede in concomitanza alla crescita spontanea degli elementi faunistici e vegetativi. Contestualmente ad essa, una mappatura periodicamente aggiornata permette l’individuazione delle diverse casistiche HABITAT. Negli interventi outdoor – nel ready-made a larga scala – appongo un elemento dorato, che fin ora è stato pittorico o tessile, per sottolineare ed enfatizzare il carattere sublime e divinatorio che questi luoghi esercitano sulla mia sensibilità´ e di cui il colore oro è simbolo e portavoce. Di fatto questi luoghi sono per me dei piccoli templi della vita. Il carattere formale e concettuale degli interventi all’esterno diventa la linea guida della creazione in studio. La produzione più recente riferita al progetto HABITAT è la serie HABITAT_Ecomonsters che si concentra sulla tecnica dell’ecoprinting applicata al prospetto architettonico di un edificio classificato come” ecomostro” pressato nella carta e inchiostrato con colori naturali ricavati dai tannini e dai caroteni delle stesse foglie impresse. L’ecoprinting è concepito come gesto creativo sin dalla scelta del fogliame da applicare. Attraverso la sovrapposizione degli elementi naturali sul prospetto dell’edificio si compie l’azione simbolica di restituire alla natura il ruolo primario che essa svolgeva prima della costruzione».