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Hic sunt dracones: intervista a Francesco Bertelé
Arte contemporanea
L’opera inedita, Hic sunt dracones, ora parte della collezione del Museo Madre di Napoli, è un’installazione ambientale immersiva e interagente che apre a* player uno spazio virtuale, attraverso tecnologie e devices di ultima generazione, per un’esplorazione crudelmente reale. Ce ne parla l’artista Francesco Bertelé.
Hic sunt dracones è il progetto con il quale hai vinto la quarta edizione di Italian Council nel 2018 e che ha origine da un’azione esplorativa, una scalata in orizzontale della costa di un’isola nel Mediterraneo (Chiara Pirozzi), condotta da te e il tuo team. Un’azione che mette in campo diversi temi tra geopolitica, tecnologie digitali e ricerca artistica, incentrata sul fenomeno della ‘spettacolarizzazione del confine’ in riferimento al testo Lo spettacolo del confine di Paolo Cuttitta. In che senso un’isola può essere trasformata in un confine e come questo fenomeno ha influito sulla tua azione esplorativo-performativa e la sua ideazione?
Un’isola è un luogo perfetto per essere trasformato “nel palcoscenico privilegiato” (Paolo Cutitta) della messa in scena dello spettacolo delle politiche di accoglienza e controllo. La condizione dell’essere un luogo isolato ma al tempo stesso parte di quella linea immaginaria che traccia il confine della frontiera, fa sì che si possa ridefinirne continuamente la posizione amplificandone lo spazio di azione di quelle politiche ben prima e dopo l’effettiva linea cartografica.Osservando il fenomeno della migrazione e di geopolitica contemporanea ho individuato in questa Isola la metafora perfetta per una mia azione che divenisse poi strumento agente per potermi addentrare dietro le quinte di quel palcoscenico per sfogliarne i non detti e ribaltare ogni mia posizione precostituita. Ho cercato un mio modo, per portare lì il mio corpo. Mi son pensato in grado di affrontare quel muro che, “da un lembo del continente africano penetrato nel corpo politico e culturale europeo” (Luca Rota) si affaccia oltre la frontiera e da lì partire per affrontare i miei ‘draghi’. Per cui l’azione arrampicatoria, nella sua estrema realtà è divenuta essa stessa una figura retorica incarnata, perchè ogni gesto di progressione che con il passare del tempo è divenuto confidente e ‘normale’, ha generato in me tracce mnestiche, in cui figure spaziali si sono associate a percorsi teorici di ricerca. Ma oltre a ciò la mia azione ha generato un immaginario condiviso con le persone che ho incontrato grazie all’isola e a cui mi sono rivolto per iniziare a capire e sapere. L’Isola da simbolo è divenuta così anche per me luogo reale, complesso e vissuto.
Tra le varie tappe del progetto, come la presentazione del video 360° VR Walking through the walls ad Amsterdam nel 2019, vi è anche la realizzazione di un’installazione ambientale che ora è parte della collezione del Museo Madre di Napoli. Di cosa si tratta?
Hsd è un’installazione bioipermediale interagente immersiva. Consiste in un computer e un sistema VR wireless indossabile. L’enormità dei dati raccolti durante la spedizione sono stati utilizzati nella fase di produzione, grazie alla casa di produzione Recipient.cc, per creare questo ambiente caratterizzato da una narrativa non lineare e la cui sequenzialità è determinata dalla interazione tra spettatrice/ore (player) e sistema (piramide). È costituita da 21 scene chiamate rooms. L’opera è stata progettata appositamente per la sala Re Pubblica del museo MADRE di Napoli riproducendo al centimetro l’architettura dello spazio espositivo, su una superficie di movimento di 10 per 10 metri (play area). Lo spazio fisico all’interno del quale si muove il corpo del player, tra spazio virtuale e spazio reale, diviene il teatro in cui il player agisce ed è agito. Al player è lasciata la libertà di percorrere le rooms nella loro dimensione spaziale ma anche in quella temporale in quanto solo alcune di esse sono determinate da un tempo predefinito ma altre lasciano la possibilità ad esplorazioni potenzialmente illimitate. Questa illusione di Libertà di movimento è in verità subdolamente controllata dalla piramide che determina non solo alcune qualità dell’esperienza ma interagisce anche con alcune scelte che fatte dal player inconsapevole e prelevando alcune informazioni le proietta nel cloud mettendole a disposizione di un occhio pubblico mediatico. Le rooms impongono forte pressione emotiva e propriocettiva al fruitore, che si trova a navigare all’interno di realtà differenti passando da filmati 360 registrati durante la spedizione, ad ambienti totalmente virtuali in cui ricostruzioni artefatte o scansioni digitali di oggetti e luoghi reali. Si possono incontrare così personaggi animati, interagenti e oggetti inanimati, repliche progettati per costruire “sistemi esperienziali alla continua ricerca di un legame spettatoriale diverso…dall’aptico, all’immersivo al fantasmagorico” (Simone Arcagni). “Il simulacro attraversa il piano della realtà e si fonde con essa” (Gruppo Ippolita). L’essere in bilico è pertanto una condizione endemica nell’opera emotiva, percettiva e cognitiva. Inoltre il progetto installativo prevede anche una sala d’attesa, uno spazio antistante creato appositamente sia per gestire l’afflusso degli spettatori (l’opera è fruibile da una persona alla volta) ma allo stesso tempo che serva ad indurre uno stato emotivo e cognitivo particolare negli astanti. È un procedimento barocco che si apre in un florilegio di direzioni possibili e mai uguali a sé stesse, mai definibili in un circuito chiuso ma sempre soggettive e indefinite.
Perché hai deciso di immergere lo spettatore in un’esperienza totalizzante attraverso tecnologie e devices di ultima generazione? Come questa modalità di fruizione si lega alla tua azione esplorativa e ai contenuti del progetto?
“n. 48, Il bordo è un piano sottile che si espande quando si osserva, se ci si addentra.”
“n. 21 Questo è il teatro privilegiato per la rappresentazione di discorsi securitari e umanitari” Questi sono due campioni delle oltre 100 frasi di cui è composto il voiceover ovvero una voce che segue il viaggio dello spettatore, collocata su uno spazio temporale indipendente dalla sequenza narrativa. Costruito prendendo spunto dal metodo di elaborazione del linguaggio naturale (Natural language processing) una voce femminile accompagna *l* player con frasi recitate in differenti stati emotivi. Questo è esemplificativo della mia scelta di immergere totalmente me stesso, l’opera e *l* player all’interno di un ‘episteme digitale’ che permea e pervade le nostre vite, mettendolo in contrasto alla cruda realtà della natura selvaggia esperita durante l’esplorazione. Due mondi opposti quanto contigui. Se provassimo a vederci come immersi in una melassa che ci avvolge e ci collega, si potrebbe considerare il limite di questa nostra ‘biosfera’ come nient’altro che un ‘orizzonte degli eventi’ oltre il quale anche se non è possibile affacciarsi si può immaginare insieme un fuori. Riusciremmo così a considerare che ancora “nello spazio del mare la dignità, l’uguaglianza e la solidarietà […] questi principi fondanti beccheggiano, poi vacillano, infine sprofondano negli abissi” (Paolo Cuttitta).
Anche il libro d’artista che hai realizzato in merito al progetto può essere inteso come un’espansione dell’opera. Ce ne parli?
Il libro d’artista fa parte di quella catena transmediale di cui è composta l’opera. Attraverso una tecnica di hyperlinks si generano una molteplicità di contenuti in continua evoluzione e in modalità randomiche. Il libro contiene inoltre rimandi e approfondimenti tematici su vari ambiti specifici di ricerca, saggi commissionati a varie professionalità con l’obiettivo di aprire lo spazio a molteplici orizzonti di conoscenza. Oltre a questo il libro è stato pensato per essere anche una sorta di vademecum un libretto di istruzioni utile alla navigazione dell’opera anche nel momento espositivo. All’interno di esso ci sono infine alcune infiltrazioni del mondo macchinico che agisce sul lettore inconsapevole informando la piramide che ne tiene traccia metodicamente, estraendo dall’uomo valore …”un dispositivo sapere/potere” (Antonio Caronia).