Hybrĭda Tales è la rubrica di approfondimento nata da Hybrĭda, il nuovo progetto con cui Untitled Association ha individuato circa 150 tra spazi indipendenti, artist-run spaces, associazioni culturali e luoghi informali che stanno contribuendo significativamente ad ampliare gli sguardi sul Contemporaneo in Italia oggi.
Con un sistema di interviste a schema fisso, Hybrĭda Tales restituirà una panoramica delle realtà indicizzate, siano esse emergenti o ormai consolidate, e coinvolgerà artisti, operatori culturali, curatori, giornalisti, collezionisti, galleristi per dare vita a un archivio condiviso e collettaneo di riflessioni aperte sulle prospettive, attuali e future, del Contemporaneo.
Qui trovate tutte le puntate già pubblicate.
Fondato a Torino nel 2017 da Amos Cappuccio, Giulia Mengozzi, Luca Morino e Gabriele Rendina Cattani, ALMARE è un collettivo che si dedica ai linguaggi contemporanei che utilizzano il suono come mezzo espressivo. ALMARE unisce curatela, scrittura, musica, organizza mostre, conferenze e performance, senza condurre la ricerca sonora verso una posizione di stagnazione, ma al contrario, è dedito alla creazione di un dibattito musicale, artistico e curatoriale assolutamente inclusivo e da una più larga prospettiva.
Cosa unisce la vostra attività e quella del vostro spazio alla ricerca attuale sul contemporaneo?
«In un panorama mediale saturato, siamo interessati al suono come mezzo immateriale e memoriale, che ci riporta alla natura orale della comunicazione, dove l’ascolto è pratica e gesto politico».
Quali legami sentite con la città in cui operate?
«ALMARE non ha uno spazio fisso. I luoghi nei quali si svolgono gli eventi cambiano di volta in volta a seconda delle esigenze del progetto. Crediamo che questa versatilità delle condizioni di ascolto possa favorire l’accoglienza di un pubblico trasversale e polivalente.
Torino rimane comunque la città principale in cui lavoriamo in quanto sede della nostra associazione».
Cosa significa per voi sperimentazione?
«Vulnerabilità e anarchia».
Centrale Fies Art Work Space è un centro indipendente di residenza e produzione delle arti performative contemporanee fondato nel 1999 da Barbara Boninsegna e Dino Sommadossi. Il progetto, di fatto un’impresa culturale, è connotato da un modello di sostenibilità ibrido che contribuisce alla creazione di un pensiero laterale, generato dalla totale libertà di indagine all’interno di nuovi ambiti di ricerca, non collegata alla figura del solo artista, ma a tutto lo spettro delle competenze in ambito artistico.
Centrale Fies, da tempo profondamente radicato nel suo territorio d’appartenenza, fornisce inoltre diverse opportunità didattiche e formative di effettivo valore interdisciplinare per i più giovani nell’ambito della performance art, ma anche laboratori incentrati sulle diverse professioni del settore per sviluppare nuove e varie narrazioni sul territorio.
Cosa unisce la vostra attività, e quella del vostro spazio, alla ricerca attuale sul contemporaneo?
«Centrale Fies è un centro di ricerca per le pratiche performative contemporanee situato all’interno di una centrale idroelettrica di inizio Novecento, in parte ancora attiva, proprietà di Hydro Dolomiti Energia. Il progetto è di fatto una sperimentazione continua. Dal 1999 una vera e propria impresa culturale la cui attività è connotata da un modello di sostenibilità ibrido, cui concorrono contributi pubblici e privati. Centrale Fies è il primo esempio in Italia di recupero di archeologia industriale a fini artistici e culturali all’interno del quale si rinnovano le sperimentazioni su pratiche, modalità e processi produttivi legati alle residenze artistiche (anche family friendly!) e alle arti performative. Il centro ha consolidato nel tempo relazioni con numerosi centri di produzione artistica e festival di performing art in Europa e nel mondo, con i quali cura progetti pluriennali, in particolare con le reti europee APAP (dal 2011) e FIT (dal 2015), e all’attivo ha più di 150 produzioni e co-produzioni».
Quali legami sentite con la città/luogo in cui operate?
«Da anni Centrale Fies programma per le scuole del territorio un periodo di studio teorico della performance art storica, portando all’interno dell’intero ciclo delle scuole primarie sessioni di studio e di re-enactment di effettivo valore interdisciplinare in campo formativo ed educativo. Il progetto si concentra su nuovi dispositivi di ausilio all’apprendimento di un’arte poco conosciuta dai bambini, ma fondante per l’arte contemporanea che conosciamo e vediamo nei musei. Le lezioni tenute in italiano dalla mediatrice culturale Valeria Marchi e in tedesco dall’artista Hannes Egger, durante il primo lockdown hanno trovato anche una forma video gratuita e aperta a tutti e a tutte, compresi i partner d’oltralpe presenti nella rete internazionale APAP – Advancing Performing Arts Project di cui Centrale Fies è membro dal 2011.
Un altro importante progetto legato al territorio è TRENTINO BRAND NEW, finanziato e promosso dalle Politiche Giovanili della Provincia Autonoma di Trento da 5 anni. È un laboratorio in cui 30 giovani partecipano gratuitamente a un corso di formazione non convenzionale, confrontandosi con esperti di social media, turismo, narrazione, identità visiva, e ancora fotografi, antropologi, architetti e altri professionisti selezionati di volta in volta per lavorare con i partecipanti sulle nuove narrazioni del territorio. Il lab incrocia le tematiche più urgenti, politiche e filosofiche con la comunicazione turistica e il co-design thinking territoriale».
Cosa significa per voi sperimentazione?
«Crediamo che la sperimentazione nasca dalla totale libertà dell’artista per poter indagare nel suo o in nuovi ambiti di studio e di ricerca. L’artista deve poter essere libero di non dover produrre forzatamente un nuovo lavoro, ma deve essere sempre messo in grado di generare nuovi intrecci, come l’opportunità di conoscere e collaborare con reti internazionali o di potersi confrontare orizzontalmente con altri artisti provenienti da ogni parte del mondo.
Sperimentazione per Centrale Fies non ha a che vedere unicamente con la figura dell’artista, ma attraversa anche i campi della curatela, della residenza artistica e della comunicazione».
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