Hybrĭda Tales è la rubrica di approfondimento nata da Hybrĭda, il nuovo progetto con cui Untitled Association ha individuato circa 150 tra spazi indipendenti, artist-run spaces, associazioni culturali e luoghi informali che stanno contribuendo significativamente ad ampliare gli sguardi sul Contemporaneo in Italia oggi.
Con un sistema di interviste a schema fisso, Hybrĭda Tales restituirà una panoramica delle realtà indicizzate, siano esse emergenti o ormai consolidate, e coinvolgerà artisti, operatori culturali, curatori, giornalisti, collezionisti, galleristi per dare vita a un archivio condiviso e collettaneo di riflessioni aperte sulle prospettive, attuali e future, del Contemporaneo.
Qui trovate tutte le puntate già pubblicate.
Flip Project è un artist-run space (2011, Napoli), un progetto curatoriale indipendente, una piattaforma di discussioni e collaborazioni creative in relazione alla pratica artistica e alla cultura contemporanea. Le attività di Flip Project si manifestano attraverso una molteplicità’ di situazioni ‘spaziali’ dove la discussione avviene sotto forma di mostre, pubblicazioni (web, digitali e cartacee), workshops, screenings, seminari.
Cosa unisce la vostra attività, e quella del vostro spazio, alla ricerca attuale sul contemporaneo?
Flip Project nasce dal desiderio di intavolare discussioni e collaborazioni in modo molto spontaneo, iniziando dal coinvolgere in primis il nostro network di colleghi, curatori, scrittori ed artisti – della nostra generazione e di quelle immediatamente successive – incontrati durante gli anni e con i quali abbiamo condiviso stimolanti momenti di dialogo.
Flip Project è nato dieci anni fa e mi ha accompagnato durante la mia formazione ed esperienze sviluppate soprattutto all’estero grazie al supporto di borse di studio, programmi educativi, di ricerca e residenze d’artista; quindi, è per sua natura intrinsecamente nomadico e pertanto imprescindibilmente legato al nostro momento storico, alla fluidità del nostro vissuto, al “contemporaneo” per l’appunto. La sua natura è in continuo divenire e non si limita al “confezionamento” di una mostra, preferisce piuttosto indagare la nostra realtà, individuando di volta in volta, il mezzo ed il metodo più opportuno, ed utilizzando sia lo spazio espositivo che contesti diversi: quello urbano, i socials, le pubblicazioni – web, digitali e cartacee – workshops, screenings, seminari, talk, ecc.
Quali legami sentite con la città/luogo in cui operate?
Seppur l’intenzione non è mai stata quella di restare confinati a Napoli, ho sempre creduto però che questo territorio abbia giocato e giochi tuttora un ruolo fondamentale sulla progettualità.
Nonostante sia estremamente faticosa e complessa, Napoli è una città incredibilmente fertile dal punto di vista culturale e gli stimoli e l’energia che ne derivano ti riportano spesso a casa dandoti una ragione per considerarla ‘base progettuale’.
Cosa significa per voi sperimentazione?
Ciò che mi è sempre interessato, è sviluppare quella metodologia di lavoro e di quotidiano che all’estero ho vissuto continuamente e di cui ho spesso sentito qui la mancanza, ovvero poter vivere una “community” artistica, collaborativa, che coinvolga profondamente il tessuto locale e crei sinergie tra persone, luoghi e pensieri, ed infine lo scambio con altri contesti culturali.
In un momento così difficile, significa osare, e provare ‘soluzioni’ e formats – frutto di un approccio interdisciplinare – che potrebbero rivelarsi anche un fallimento; in realtà, però, difficilmente questo avviene in quanto uscire dalla comfort zone si rivela non un vano tentativo.
In ultima analisi, Flip per noi è un’estensione della propria pratica artistica.
Treti Galaxie è un art project fondato da Matteo Mottin e Ramona Ponzini. Il suo obiettivo è lavorare con gli artisti in maniera espansa, rispettandone i progetti e le idee e aiutandoli a produrre e sviluppare mostre nella maniera più completa.
Per questa ragione sceglie di non avere una sede fissa ma di cercare ogni volta lo spazio che meglio si adatta al progetto a cui sta lavorando.
Da marzo 2016 sviluppa una serie di mostre personali in cui gli artisti dialogano con il tessuto urbano nascosto di Torino, riconfigurando l’uso di siti storici della città come la Mole Antonelliana, la Sala Reale della Stazione di Torino Porta Nuova, la Fortezza Sotterranea del Pastiss e le Arcate dell’Ex-MOI, siglando collaborazioni con il Museo Nazionale del Cinema di Torino, Grandi Stazioni Rail, il Museo Civico Pietro Micca, Parcolimpico e Acer. Nel 2020 cura il progetto Endless Nostalghia, sostenuto dal bando Toscanaincontemporanea2020.
Cosa unisce la vostra attività, e quella del vostro spazio, alla ricerca attuale sul contemporaneo?
Sin dall’inizio abbiamo deciso di non avere una sede fissa, e questo perché ci stavamo chiedendo come mai progetti espositivi per loro natura diversi debbano essere allestiti e presentati nella medesima stanza dalle pareti bianche. Questa domanda sembra che nell’ultimo periodo se la siano posta anche diverse gallerie commerciali, che hanno scelto di adottare una programmazione “nomade”, così come prima di noi iniziò a fare la Fondazione Trussardi.
Quali legami sentite con la città/luogo in cui operate?
Torino è una città magnifica, che ti permette di fermarti a pensare e fare ricerca. Attraverso una serie di progetti abbiamo cercato di mostrare alcuni dei suoi lati nascosti, mettendoli in risonanza con le ricerche di artisti a noi contemporanei. È anche una città piena di contraddizioni, una su tutte la sua grande abilità nell’essere terreno fertile per la nascita di cose nuove e al contempo trasformarsi in radura favolosamente inospitale quando si tratta di sostenerne la crescita. Non ci riferiamo solo al periodo contemporaneo o al campo dell’arte. E’ un atteggiamento che alimenta e rinnova con vigore da almeno due secoli, in ogni ambito interessato dall’attività umana.
Cosa significa per voi sperimentazione?
Ha un significato etimologico. L’atto di tentare, di ricercare dentro alle cose, di conoscere provando e riprovando. Come un esperimento in laboratorio, non esiste successo o insuccesso, ma solo una continua raccolta di dati su cui basare i prossimi esperimenti. Una curiosità: c’è chi sostiene che derivi da una parola in tedesco antico, con significato di “muoversi da un luogo ad un altro”.
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