Hybrĭda Tales è la rubrica di approfondimento nata da Hybrĭda, il nuovo progetto con cui Untitled Association ha individuato circa 150 tra spazi indipendenti, artist-run spaces, associazioni culturali e luoghi informali che stanno contribuendo significativamente ad ampliare gli sguardi sul contemporaneo in Italia oggi.
Con un sistema di interviste a schema fisso, Hybrĭda Tales restituirà una panoramica delle realtà indicizzate, siano esse emergenti o ormai consolidate, e coinvolgerà artisti, operatori culturali, curatori, giornalisti, collezionisti, galleristi per dare vita a un archivio condiviso e collettaneo di riflessioni aperte sulle prospettive, attuali e future, del contemporaneo.
Prendendo il proprio nome dall’omonimo romanzo di Dumas, Montecristo Project nasce nel 2016 da Enrico Piras e Alessandro Sau come un’evoluzione del loro progetto “Occhio Riflesso”. Spazio espositivo, ufficio artistico e curatoriale, Montecristo Project lega la propria esperienza allo svolgimento di attività su un’isola deserta – che rimane segreta – al largo della costa sarda, e all’estero. Per ogni nuova mostra vengono progettati, appositamente, un design e un allestimento che radicano ciascun progetto al suo luogo, sottolineando il legame di autenticità con il territorio. L’isola e le mostre sono visibili unicamente agli artisti e ai collaboratori invitati, precluse a uno sguardo esterno ma rese accessibili attraverso il filtro narrativo e fotografico.
Cosa unisce la vostra attività, e quella del vostro spazio, alla ricerca attuale sul contemporaneo?
«A unire la nostra pratica alla ricerca attuale sul contemporaneo è quello scarto geografico che ci rende inattuali e anacronistici, costantemente decentrati rispetto ai tempi correnti».
Quali legami sentite con la città/luogo in cui operate?
«Un legame assoluto senza il quale non esisterebbe e non potrebbe avere senso la nostra ricerca».
Cosa significa per voi sperimentazione?
«Nulla, non è un termine che ci appartiene».
Fondato nel 2018 e co-diretto da Stefano Non e Beatrice Dellavalle, Spazio Gamma è uno spazio espositivo per l’arte contemporanea e un bookshop trasversale che sorge nel quartiere milanese Isola, all’interno di un vecchio edificio artigianale, interamente riprogettato. Legato a un approccio cross-mediale, ospita mostre personali e collettive, di artisti italiani e internazionali, e porta avanti un palinsesto di talk – per la serie dei GAMMATALK – booklaunch e presentazioni pubbliche attraverso cui si confronta con studiosi e ricercatori, saggisti e scrittori. Il bookshop, con una selezione accurata di testi suddivisi in tre macro-categorie – Fiction, Non Fiction e Art Books – costituisce un’estensione dell’attività dello spazio, fornendo degli utili strumenti di lettura e approfondimento. Occupandosi, tra gli altri temi, di bi-politica, comunicazione mediatica, tecnologia, tardo capitalismo e nuove forme di controllo, Spazio Gamma rimane refrattario a un incasellamento univoco portando avanti un approccio disciplinare anarchico.
Cosa unisce la vostra attività, e quella del vostro spazio, alla ricerca attuale sul contemporaneo?
«La questione è piuttosto complessa e meriterebbe una riflessione molto più ampia, poiché nel fare arte il rapporto tra qui ed ora, storia e opera intesa come frammento di immortalità – cioè qualcosa che eccede i limiti del tempo – è centrale, e i tre nodi del filo sono spesso difficilmente predicabili rendendo i quesiti che ruotano intorno alla riflessione decisamente stimolanti. Vorremmo solo soffermarci su due peculiarità nello spettro di significati del concetto di ‘contemporaneo’. Il primo è di carattere logico, il secondo di carattere storico. Paradossalmente per fare buona arte è necessario non essere contemporanei, perché il contemporaneo è strettamente interpretabile come “quello che già c’è”, quindi attenendosi a una produzione precisamente vincolata a matrici di cronaca del proprio tempo si consegna poco o nulla agli altri due piani. Questa considerazione è tanto più vera quanto la si fa coincidere con il “nostro” contemporaneo, ovvero uno spazio/tempo dove la tecnica applicata nell’industria culturale e al disegno industriale ha raggiunto livelli di sviluppo incredibili: al singolo si dispongono una “infinità” di mezzi per produrre delle estetiche estremamente interessanti, accattivanti e di facile diffusione il cui rovescio della medaglia è una obsolescenza quasi istantanea. Interagire in forma dialettica – cioè prelevando elementi di un circuito merce/consumo per riconfigurarli in un nuovo senso completamente diverso, elitario nel senso migliore del termine – pensiamo sia interessante, quindi la sperimentazione con media nuovi, il recupero di quelli resi obsoleti dal mercato o potenzialmente eterodossi è un approccio soddisfacente per i presupposti descritti sopra. La considerazione storica riguarda delle traiettorie facilmente riassumibili in un assioma di una semplicità disarmante: nessuno di Spazio Gamma è, è mai stato, né mai sarà borghese. Ora, lungi da noi qualsiasi forma di apologia di una classe in quanto tale, però non possiamo fare a meno di notare di essere circondati nel mondo dell’arte contemporanea da slogan completamente insensati rispetto ad un ipotetico abbattimento del capitalismo, non si sa in quali modi e per sostituirlo con cosa. Slogan copiati e spesso completamente decontestualizzati – con tecniche proprie del marketing – dal movimento operaio internazionalista, che è finito e non tornerà, punto. L’alienazione di energie e senso critico prodotti da questa tiritera sta diventando insopportabile e rispecchia solo il bigottismo intellettuale di molti dei suoi agitatori. La rappresentazione del conflitto non è conflitto, non ha nessuna reale presa sull’esistente, anzi a maggior ragione queste ipotetiche levate di scudi non intaccano minimamente le contraddizioni più prossime al sistema dell’arte, producono spesso un effetto confusionario, tristemente sensazionalistico. Autoreferenzialità allo stato puro, non resterà nulla di tutto questo e ne prendiamo felicemente le distanze per concentrarci su una serie di possibilità della vita nella sua forma più ampia e pionieristica, di affinità diretta, di esperienza comune e meno vincolata ad un pedagogismo di maniera. Come abbiamo già avuto modo di dire: strateghe e strateghi del fantastico».
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