HybrÄda Tales è la rubrica di approfondimento nata da HybrÄda, il nuovo progetto con cui Untitled Association ha individuato circa 150 tra spazi indipendenti, artist-run spaces, associazioni culturali e luoghi informali che stanno contribuendo significativamente ad ampliare gli sguardi sul Contemporaneo in Italia oggi.
Con un sistema di interviste a schema fisso, HybrÄda Tales restituirĂ una panoramica delle realtĂ indicizzate, siano esse emergenti o ormai consolidate, e coinvolgerĂ artisti, operatori culturali, curatori, giornalisti, collezionisti, galleristi per dare vita a un archivio condiviso e collettaneo di riflessioni aperte sulle prospettive, attuali e future, del contemporaneo.
Gelateria Sogni di Ghiaccio è un artist-run space fondato da Mattia Pajè e Filippo Marzocchi nel 2016. Nato nel magazzino di un antico palazzo del XVI secolo nel cuore del centro storico di Bologna, lo spazio è dedicato allo studio, al lavoro e alla ricerca artistica, oltre che all’esposizione, alla collaborazione e alla discussione. Luogo permeabile allo scambio e alla condivisione, inclusivo e votato a un’assoluta libertà , Gelateria Sogni di Ghiaccio porta avanti un programma espositivo che presenta il lavoro di artisti, italiani e internazionali, emergenti e non. Al nome e alla fondazione di questo artist-run space si lega l’artista Roberto Fassone, il quale entrato per la prima volta nello spazio ha proposto di donare una sua opera che consisteva nel battezzare il luogo con un nome da lui scelto, ponendo la condizione di accettare senza remore qualunque fosse stato il nome scelto. Fassone ha inventato una serie di nomi con relativi loghi e brevi descrizioni e ha creato un torneo a eliminazione.
Cosa unisce la vostra attivitĂ , e quella del vostro spazio, alla ricerca attuale sul contemporaneo?
«Gelateria Sogni di Ghiaccio celebra le opere d’arte, le opere d’arte nascono spesso da esigenze, le esigenze si sviluppano dagli individui in relazione ai contesti, gli individui e i contesti sono realtà contemporanee».
Quali legami sentite con la cittĂ /luogo in cui operate?
«Gelateria Sogni di Ghiaccio è nata nel magazzino di un vecchio palazzo del XV secolo sorto sulle rive di un corso d’acqua. L’umidità si percepisce chiaramente. Gelateria Sogni di Ghiaccio è una collaborazione tra questo luogo e tutte le persone che la attraversano. Bologna è nostra amica e le vogliamo bene».
Cosa significa per voi sperimentazione?
«Ci atteniamo volentieri al suo significato etimologico, ci interessano le possibilità e la volontà ».
CampoBase è un collettivo curatoriale multidisciplinare formato da ricercatori, filosofi, curatori, mediatori, storici dell’arte e scrittori. Formato da Irene Angenica, Bianca Buccioli, Gabriella Dal Lago, Ginevra Ludovici, Federica Torgano, Stefano Volpato, CampoBase ha una natura fluida e inclusiva, accogliendo al proprio interno nuovi membri che ne diventano parte per specifici progetti in un processo di auto-istituzione permanente. Con l’intento di dare vita a una comunità temporanea di persone con cui condividere esperienze e dinamiche partecipative, stabilire una rete ramificata e fluida di collaborazioni e scambi, il collettivo fa della sua natura itinerante la propria peculiarità , concentrando la sua attenzione su alcuni temi di cui avverte tutta l’urgenza: il concetto di “displacement”, il potere trasformativo dell’affezione e le sue dinamiche, i meccanismi di formazione di comunità temporanee, la centralità di un approccio partecipativo attraverso pratiche di storytelling.
Cosa unisce la vostra attivitĂ , e quella del vostro spazio, alla ricerca attuale sul contemporaneo?
«Sicuramente alcuni dei nostri temi di ricerca, così come la nostra metodologia. Tra questi, da tempo stiamo indagando la tematica del displacement, in italiano “dislocamento”, che definisce lo spostamento di un corpo da un punto all’altro dello spazio. Negli ultimi anni il termine è stato utilizzato per descrivere una condizione complessa e stratificata, legata alle disfunzioni delle società capitaliste avanzate, sia con riferimento ai flussi turistici e migratori e ai connessi fenomeni di gentrificazione, sia nei suoi connotati psicologici e sociali di estraniazione.
Rispetto alla nostra metodologia invece, spesso attraverso l’utilizzo di pratiche discorsive tentiamo di attivare processi collettivi di conoscenza. Un esempio sono le sessioni di storytelling, realizzate nel nostro ex spazio a Torino, ad Hangar.org a Barcellona e a Villa Romana questa estate. Attraverso lo strumento dello storytelling abbiamo provato ad indagare il potere trasformativo dell’affezione: i partecipanti creano una narrazione corale partendo dalle loro narrazioni personali fino ad arrivare alla produzione di significati condivisi. In particolare, attualmente stiamo lavorando sull’affezione provata nei confronti di un luogo».
Quali legami sentite con la cittĂ /luogo in cui operate?
«Dopo il primo anno di attività a Torino, abbiamo lasciato il nostro spazio in Via Reggio 14, e siamo diventati nomadici. Da quel momento operiamo come piattaforma itinerante, situandoci temporaneamente nei luoghi e nelle città che ospitano i nostri progetti. L’anno scorso, per esempio, finché è stato possibile, siamo stati a Barcellona ospiti della residenza Hangar.org e in seguito abbiamo realizzato nella città il secondo capitolo del festival House of Displacement (che ha visto la sua prima edizione a Torino). Anche in quel caso però in contemporanea abbiamo avuto degli eventi dislocati su Madrid e Venezia. Quindi il legame con il luogo o le città in cui operiamo dipende principalmente dalle persone che incontriamo e dalle reti che costruiamo. Ogni volta che ci insediamo in un posto il nostro intento è di creare una comunità temporanea di persone con cui condividere esperienze, collaborare e imparare insieme».
Cosa significa per voi sperimentazione?
«Significa affrontare ogni progetto, ogni call, ogni richiesta ragionando fuori dai confini che normalmente vengono predisposti in partenza. Ogni progetto parte innanzitutto da una ricerca e da uno studio di tematiche che sentiamo l’urgenza di approfondire, di fare nostre o di cui parlare, e nel fare questo non partiamo mai con un fine da raggiungere. Il risultato formale di questa ricerca potrà essere visto e stabilito solo alla fine».
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