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Hybrida Tales by Untitled Association #53: intervista a Diego Bergamaschi, collezionista
Arte contemporanea
di redazione
Hybrĭda Tales è la rubrica di approfondimento nata da Hybrĭda, il progetto lanciato lo scorso anno da Untitled Association. Con l’intento di raccontare storie molteplici e prospettive plurali, Hybrĭda Tales costruisce uno spazio di dialogo, articolato e aperto su più livelli. Coinvolgendo alcune personalità legate a vario titolo al sistema dell’arte contemporanea, Hybrĭda Tales intende fornire un racconto, corale e variegato, a partire dalla prospettiva del narratore. Le interviste e i racconti di artisti, operatori culturali, curatori, giornalisti, collezionisti, galleristi andranno così a costituire un archivio condiviso e collettaneo di riflessioni aperte sulle prospettive future del Contemporaneo. Oggi abbiamo raggiunto Diego Bergamaschi, collezionista e appassionato d’arte. Qui trovate tutte le puntate già pubblicate.
Biografia di un collezionista
Diego Bergamaschi (Verona, 1968) è un collezionista e appassionato d’arte contemporanea da oltre un ventennio. Colleziona opere di giovani artisti italiani ed internazionali, prevalentemente fotografie, disegni, carte e collages nell’ambito di una ricerca concettuale. Ha ricoperto il ruolo di vicepresidente del Club GaMeC dal 2014 al 2020, attualmente membro del Comitato d’indirizzo della Fiera di ArtVerona e membro di comitato del Forum dell’Arte Contemporanea Italiana, ruoli che ricopre rispettivamente dal 2017 e dal 2018.
Ha fondato inoltre Seven Gravity Collection, una collezione di video-arte condivisa, CoC – Collection of Collections, una piattaforma on-line per l’archiviazione di opere d’arte, ed Eddy Merckx Curating, una piattaforma curatoriale.
Diego Bergamaschi x Hybrida Tales
Cos’è per te l’arte? Qual è il tuo ruolo nel mondo dell’arte contemporanea?
«L’Arte è il sale della vita. L’arte anticipa sempre i temi umani, sociali ed economici del futuro ed è l’ancora di salvezza nei momenti di crisi di identità dell’umanità. Il mio ruolo è stato per anni quello di fruitore passivo dei fenomeni dell’arte. La mia voglia di fare e di fare cose insieme ad altri mi ha portato ad essere protagonista attivo di tanti piccoli progetti a mio avviso di discreta qualità. Collaboro in particolare negli ultimi anni con i giovani artisti, a volte esordienti, dando loro una mano a realizzare progetti artistico editoriale; insieme ad altri sei collezionisti ho fondato una collezione condivisa di videoarte; sempre in network con un critico ed un altro collezionista ho fondato una piattaforma curatoriale che si occupa prevalentemente di editoria indipendente oltre ad altri piccoli progetti più marginali».
In quale direzione vorresti che l’arte contemporanea si muovesse?
«Vorrei che tornasse alle origini, che si desse l’obiettivo di spostare l’attenzione, di far riflettere, di illuminare le menti. Il mio sogno utopico è che l’arte non venga normalizzata come tutti i processi economici dalla dittatura tecno-finanziaria che pervade ogni cosa».
L’arte contemporanea ha un valore narrativo per te, ossia serve a raccontare? E cosa?
«Assolutamente sì. Ci racconta del presente da punti di vista differenti rispetto a quello che i media offrono come informazione omogeneizzata. E ci narra gli scenari futuri, sociali/relazionali ma anche urbanistici, economici ecc…»
Quali pensi siano i difetti principali nella comunicazione dell’arte? Quali aspetti che ripenseresti all’interno della comunicazione legata all’arte contemporanea? Perchè?
«Tanto è vero che l’arte rappresenta la divisione RICERCA & SVILUPPO del settore culturale con una forte propensione a produrre costantemente innovazione di pensiero tanto si perde in rigagnoli elitari ed intellettuali quando comunica se stessa al mondo. Non esiste nell’economia in generale un settore come l’arte con un’altissima incidenza di profili professionali superskillati e ipercolti, un indotto tra privato e pubblico che farebbe invidia a qualunque altro settore economico ordinario, che non sappia, non riesca e spesso non voglia comunicare il proprio peso economico ed il proprio ruolo fondamentale alla società, alla politica ecc…».
Come credi sia possibile avvicinare un pubblico nuovo all’arte? Quali idee hai per l’arte nella città?
«Per avvicinare le persone all’arte va stimolata in primis la loro curiosità (bene diciamo non troppo diffuso …), andrebbe presentato ai nuovi appassionati uno spaccato coerente e di qualità tra tutti gli operatori, spazi indipendenti, studi d’artista, gallerie privati, fondazioni e musei. L’arte pubblica ha in primis il dovere di evitare di banalizzare il concetto stesso di arte pubblica portando nelle piazze e sulle rotonde “le opere del cognato dell’assessore”. Andrebbe stilato un piano strategico triennale almeno da parte dei comuni per contaminare aree pubbliche sia degradate ma anche centrali con interventi artistico/urbanistici di veri professionisti selezionati da giurie scientifiche che scelgano in un panel di qualità assodata tra giovani esordienti ed artisti affermati».
Trovi che il concetto di ibridazione sia importante nell’ambito dell’arte? E in che senso?
«L’ibridazione con altre discipline quali teatro, poesia, filosofia, letteratura, scienze, ecologia … penso sia la chiave di lettura più interessante che contraddistingue l’arte contemporanea ma anche moderna rispetto all’arte del passato. Oggi l’artista vive e si radica nella globalità e come tale respira ogni ambito che tocca la società e pertanto non può restare indifferente alla contaminazione di cui la società stessa è intrisa».
Che responsabilità abbiamo del nostro ruolo, e delle nostre azioni, all’interno del circuito di scambio e di relazioni attivato dal sistema dell’arte contemporaneo? Senti di averne? Quale?
«Sì, torno al concetto di qualità ed introduco quello che in economia si chiama diversificazione e che qui potremmo definire diversità. Ogni nostra azione deve garantire che emerga la qualità dei progetti, delle persone, delle idee e al tempo stesso deve garantire che riescano ad emergere anche ricerche diverse dal mainstream o dalla moda “figurativa” o “neo-materialista” di una fase o di un’altra».
Cosa significa fare ricerca oggi? Esiste uno spazio, una realtà, una associazione, che si occupa di ricerca e che vorresti raccontarci?
«Fare ricerca oggi vuol dire fare arte tout court. Certamente laddove l’assillo della sopravvivenza economica o di un modello di business con le sue coerenti aspettative di profitto costringe ad una produzione più seriale e più brandizzata è evidente che il tasso di ricerca ed innovazione viene meno. Ecco perché l’intero settore dovrebbe tutelare, favorire ed aiutare i cosiddetti spazi indipendenti che vivendo di fundraising senza aspettative di profitto possono permettersi il lusso di sperimentare dando spesso e volentieri voce e spazio alle nuove generazioni di artisti…anche perché chi meglio di loro ci può raccontare il nostro futuro?».