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I can’t breathe: le ultime parole di George Floyd volano sulle città americane
Arte contemporanea
L’artista Jammie Holmes ha voluto rendere omaggio a George Floyd facendo volare, sulle città americane, degli aeroplano con striscioni che riportano la frase “I can’t breathe”, le ultime parole di George Floyd, pronunciate prima di essere ucciso dalla polizia, diventate uno dei manifesti del movimento Black Lives Matter.
Il razzismo di sistema
Il 25 maggio a Minneapolis si è consumato un atroce atto di violenza non solo contro un uomo ma nei confronti di un’intera comunità afroamericana che è rimasta nuovamente vittima di sopruso da parte del potere bianco statunitense. C’è rabbia, c’è frustrazione, c’è sbigottimento di fronte all’ennesimo atto discriminatorio dovuto da una mentalità razzista che l’ideologia americana sembra incapace di abbandonare.
All’inizio del diciassettesimo secolo, gli europei e gli europei americani che controllavano lo sviluppo del Paese, che poi sarebbe diventato gli Stati Uniti, posizionarono l’oppressione degli africani e degli afroamericani al centro della nuova società. Nel corso della storia del Nuovo Mondo, questa oppressione ha incluso diverse pratiche di sfruttamento da parte dei bianchi, sia a livello politico che economico e sociale. In poche parole, si potrebbe dire che la storia americana si sia costruita sull’essenzialità del colore della pelle come croce e spartiacque.
Oggi, come in passato, si parla di razzismo sistemico ossia un razzismo fortemente impiantato in una vasta gamma di dimensioni: nell’ideologia, nelle attitudini, nelle emozioni, nelle abitudini, nelle azioni e nelle istituzioni dei bianchi in questa società. Così il razzismo si dimostra essere molto di più che una semplice questione di pregiudizio o fanatismo. È una realtà materiale, concreta ben integrata nel pensiero e nelle principali istituzioni statunitensi e anche per i musei ha rappresentato una questione spinosa.
Il messaggio di riflessione, dall’alto
Per questi motivi, l’opera d’arte creata da Holmes non si presenta come un attacco né una ribellione nei confronti delle forze dell’ordine americane. Il suo manifesto dal titolo They’re Going to Kill Me vuole essere uno specchio su cui riflettere e fare i conti con le proprie coscienze, con il proprio modo di pensare ed agire. È un messaggio che si rivolge a tutti e ci invita a prendere consapevolezza dei comportamenti brutali di cui troppo spesso siamo capaci.
Il 30 maggio sopra Detroit è volato lo striscione con la frase Please I can’t breathe (per favore, non riesco a respirare), a Dallas, My neck hurts (mi fa male il collo), a Los Angeles, My stomach hurts (mi fa malo lo stomaco), a Miami, Everithing hurts (mi fa male tutto), a New York, They’re going to kill me (mi stanno per uccidere): questo sono state le frasi pronunciate da George Floyd pochi prima di morire sotto il ginocchio dell’ufficiale di polizia di Minneapolis Derek Chauvin, dopo oltre otto minuti di pressione.
Jammie Holmes ha pianificato e realizzato il progetto in meno di 48 ore: con il sostegno del Collective Library Street di Detroit è riuscito a noleggiare gli aerei e a fare in modo che sorvolassero sopra le varie città dalle 11.30 alle 21.00.
L’effetto è stato immediato e sorprendente, soprattutto se si pensa che solitamente le bandiere degli aeroplani vengono utilizzate da grandi aziende per promuovere i loro prodotti o per dichiarazioni d’amore plateali. «Viene usato raramente per scopi politici o sociali – per esercitare la libertà di parola – perché è un mezzo non disponibile per i poveri e gli emarginati», ha spiegato Holmes. «Spero che alla gente venga ricordato il potere che possiamo avere di essere ascoltati e che riunirsi dietro un messaggio unificato è la chiave per un vero cambiamento».