It would be about them è uno spettacolo. Ultimo atto di un progetto che ha attraversato varie temporalità. A gennaio scorso, nelle giornate di Art City Bologna in occasione di Artefiera, Biblioteca Italiana delle Donne/Centro delle Donne Bologna in collaborazione con Xing presenta Sono dentro. L’essere ciò che è chiuso in un tratto, la prima esposizione italiana dei disegni che Silvia Costa – artista, regista e performer – realizza da oltre dieci anni. Accanto ai disegni in mostra la presenza dell’artista, che, per la prima volta, apre questa sua pratica – solitaria e notturna – all’altr*.
Nei giorni in cui ha abitato la Biblioteca Italiana delle Donne, Silvia ha ascoltato frasi, pensieri, citazioni e, forse, piccoli segreti di persone che con lei hanno dialogato per poi, durante la notte, trasformarli in nuove figure. Sulla scia di questo progetto nasce il Quaderno della quarantena, in cui Silvia si è aperta nuovamente all’ascolto di voci e, insieme a chi ha voluto scriverle, ha dato vita a un diario dalle prospettive molteplici. C’è forse qualcosa di più liberatorio che consegnare un pezzetto di se a una sconosciuta? It would be about them, lo spettacolo che nasce da questo diario, torna al teatro – il teatro che non c’è, almeno nelle forme in cui lo abbiamo sempre esperito – lo fa attraverso un testo che è una drammaturgia precisa con indicazioni su luci, costumi e azioni. Uno spettacolo costruito, come la stessa Silvia scrive, in maniera non ortodossa: them – loro – non erano al corrente che sarebbero diventati protagonisti e co-autrici e co-autori di uno spettacolo, che le loro parole sarebbero state sapientemente intrecciate dalla regista per mettere in scena uno spettacolo dell’isolamento. Mentre si performa questo testo nella mente e con il corpo, mentre Ognuno si immagina allo stato selvaggio, al proprio minimo, tutti si immaginano pianta e quando allora nessuno si sente più solo, il teatro improvvisamente c’è, con tutta la potenza dei corpi in scena (e con tutta la loro assenza dei mesi che stiamo vivendo). Non c’è nulla che risulta forzato in questo atto che ha la delicatezza di una favola, un atto di dolcissima radicalità, prendo in prestito le parole che Antonio Negri usa per descrivere il libro Conversazioni di Gilles Deleuze e Claire Parnet che citerò più avanti.
Mi viene in mente il prologo del film Fanny & Alexander, un bambino gioca con un teatrino di cartone illuminato da candele che reca la scritta: Non per il solo piacere, lo abbandona e passa ad esplorare una grande casa apparentemente vuota, diventa allora quella la sua scena, in cui gli oggetti si animano e il protagonista fa inquietanti incontri nascosto sotto al tavolo, mentre la vita scorre fuori dalla finestra. Sono dentro, lo siamo tutti. E dobbiamo starci. Si sta dentro la propria casa, dentro la stanza, dentro il proprio corpo, e silenzio. Questa riduzione a noi stessi e alla nostra salvaguardia, si proietta verso un grande Fuori, verso il Mondo, che ci chiede di separarci per stare insieme. Questo l’inizio dell’invito di Silvia per il Quaderno della quarantena. Siamo state tutte e tutti dentro, obbligati a rivedere il nostro rapporto con gli enti che ci circondano sia in casa che fuori, e il valore delle cose (almeno per un attimo) si è rinegoziato e -talvolta- ribaltato, come si può accadere sulla scena, come accade nelle opere di Silvia fatte di segno e parola.
La scelta di aprire all’incontro con l’altr* una pratica individuale, e di continuare a farlo nel momento dell’isolamento, è un gesto che si porta dentro il peso del dialogo e dell’incontro. Un uso ricco della solitudine, un servirsene come se fosse mezzo d’incontro (…) un mostrare cosa significa la congiunzione E, vale a dire non una riunione, né una giustaposizione, ma il sorgere di un balbettamento (…) una sorta di linea di fuga attiva e creatrice. Queste sono parole di Deleuze su alcune conversazioni sostenute da Godard e Mieville in un programma televisivo, e, se sostituiamo solitudine con isolamento, mi sembra dicano molto di quei dialoghi sotterranei confluiti nei disegni, e nello spettacolo, di Silvia Costa.
Disegnare è tracciare i limiti, le sagome di quello che conteniamo per staccarsi da una realtà diurna e penetrare nella notte di un minimalismo dell’essere, scrive Silvia. Night drawings, il tempo del disegno per lei è quello della notte. È un tempo che Silvia aveva già esplorato sulla scena in Midnight Snack, un lavoro realizzato insieme a Claudio Rocchetti sulla figura di Amelia Rosselli, prodotto da Xing e andato in scena a Bologna nel 2018. Quando in un’intervista chiesi a Silvia perché proprio la notte mi rispose che quello che aveva in mente era quello stato di risveglio notturno, di frebbricitante insonnia in cui ti ritrovi a vagare per la casa buia, sveglio e dormiente allo stesso tempo. Lo stato che apre al sentire più che al pensiero razionale, in cui si ha l’illusione di domare il tempo, lo stato che mescola sogno e realtà, perché il tempo della notte è anche quello del sogno. Paul B. Preciado nell’introduzione al suo libro Un appartament sur Uranus scrive che per narrare o valutare una vita nella sua interezza non si può prescindere dalle esperienze oniriche, ribalta, poi, la frase di Calderòn de la Barca, e afferma che non è tanto che la vita è sogno, ma che anche i sogni sono vita.
I disegni di Silvia sono dei lampi nell’oscurità, emergono dalla notte ma sono portatori di chiarore, nascono da una pratica che è quasi rituale ma il mistero che portano in se è quello della poesia. Nell’accogliere i pensieri di altr*, nella trasformazione in immagini, Silvia accende la performatività delle parole dando spazio e creando aperture, non rappresentano ma danzano, penetrando come l’alba dalle fessure della persiana quando la notte lascia spazio al giorno.
Mentre scrivo fa capolino nella mia mente l’immagine della scrivania di Silvia Costa: penne, matite, carte dalle diverse texture, porporina, quaderni, il legno del piano dove magari col tempo è rimasto inciso qualche tratto. La disegno nella mia testa come il banco di un alchimista. È un atto d’immaginazione, il mio sguardo un po’ colpevole di indagare un privato che non mi compete è viziato dal romanzo che sto leggendo: La grande casa di Nicole Krauss, al centro della narrazione c’è una scrivania che viaggia nel tempo e nello spazio e che passa di mano in mano stabilendo connessioni, come quelle innescate dal diario corale. Una scrivania usata da scrittrici e poeti piena di cassetti, diciannove per la precisione, che hanno contenuto lettere e cartoline e che nasconde un mistero.
I disegni della quarantena saranno raccolti in una pubblicazione realizzata con Marco Callegari – Satellite Studio che sarà disponibile da fine giugno al sito: http://www.silvia-costa.com
Per lo spettacolo e i suoi materiali: http://imaginedtheatres.com/it-would-be-about-them/
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