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I Massi Erratici di Marisa Albanese, un’opera metafisica al Bosco di Capodimonte
Arte contemporanea
Vasti campi aperti, senza confini, mai toccati da neve o pioggia o freddo o arsura, Campi Elisi fuori dal mondo concreto, abitati da immobili presenze in attesa, nell’architettura senza tempo di un eterno mondo classico: una colonna spezzata, altre, più sottili, tendono verso l’alto, tra massi di pietre precisamente squadrate. Sono i Massi erratici della compianta artista Marisa Albanese, l’oggetto della mostra inaugurata nei giorni scorsi nel Real Bosco di Capodimonte, a cura del direttore Sylvain Bellenger. Erratici perché sono andati in giro e capitati nel Bosco di Capodimonte, chissà come. Erano macerie – si è capito poi – di edifici distrutti dai bombardamenti bellici su Napoli, nel ‘1943 e 1944. Erano state ritrovate dietro la chiesetta di San Gennaro, durante i lavori di ripristino del Bosco voluti proprio da Bellenger. Che le aveva mostrate a Marisa Albanese, suggerendole di farne un monumento.
Monumentum, ovvero ricordo materializzato di quello che fu, che è ora e sempre sarà. Una storia di distruzione e di morti, di tragedie e di pianti che, placata dal tempo, è diventata una storia di guerriere che non fanno la guerra. Dimentiche della lotta contro ciò che impedisce di vivere. Non combattono. Sarebbe una inutile battaglia. Perché la morte vince sempre, non si può fare null’altro che attenderla, stando fermi, composti, come le figure di pietra che ora stanno lì e staranno lì per sempre. Vivono da morte, così, ora, anche nella mia mente.
Ero alla cerimonia della presentazione dell’opera, che era risultata vincitrice del PAC2020 – Piano per l’Arte Contemporanea, promosso dalla DGCC – Direzione Generale Creatività Contemporanea del MiC – Ministero della Cultura. Tante persone variopinte, troppe, perché ne potessi cogliere immediatamente il significato. Poi l’ho capito dalla commozione di Bellenger, che ha curato la realizzazione dell’opera e l’ha presentata alla sua inaugurazione su un prato del Bosco di Capodimonte, ricordandone l’autrice Marisa Albanese, che ha finito la sua vita due anni fa, dopo una lunga lotta contro la malattia. I giorni scorsi, nel Real Bosco di Capodimonte, c’è stata una cerimonia di ricordo, quindi, in contrasto con l’immagine di gioia che il luogo sempre ha prodotto nei suoi visitatori. Ma ora, di fronte a noi, c’erano severi cipressi che facevano da sfondo.
Dell’artista Marisa Albanese conoscevo solo il nome. Ne parlo ad alcuni amici. Un amico storico dell’arte mi confida: «Guardando quest’opera, che considero molto bella, anzi il capolavoro di Marisa, mi viene in mente Alberto Savinio». Per cercare di comprendere Marisa Albanese, cerco di ricostruire nella mia mente l’ambiente artistico di Savinio, alias Andrea de Chirico, fratello minore di Giorgio de Chirico, il padre riconosciuto della pittura metafisica (notare la “de” minuscola che suggerisce un’aristocrazia primo Novecento diventata borghese). Tra gli artisti, di quelli che credevano nell’arte, c’erano coloro che, nel 1919, s’incontrarono a Ferrara. Con Alberto Savinio c’erano Giorgio de Chirico, Carlo Carrà, che in guerra c’era andato, per poi rimanerne così scioccato da ammalarsi, e c’era anche uno degli artisti che amo di più, Filippo de Pisis (ancora il “de” con la minuscola).
Forse sono questi gli artisti che hanno poi costituito l’esperienza di Marisa Abanese? Tra loro, Carlo Carrà, che dapprima si è dovuto destreggiare tra le varie correnti artistiche dell’epoca, Divisionismo, Futurismo, Metafisica, per approdare a una sorta di Realismo magico, ammorbidito dalla sensibilità di de Pisis. Lo cito . non è un giudizio ma una suggestione – perché mi è venuto in mente un suo lavoro, al MART – Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, Le figlie di Loth. Forse per la semplificazione delle forme e delle vesti, soprattutto per la magia dell’atmosfera, Le figlie di Loth mi sembrano vicine alle donne soldato dei Massi Erratici di Marisa Albanese. Scherzi della mente, che nega le categorie e le divisioni tra scultura, architettura, pittura e letteratura e dice che tutto è disegno. D’altronde anche Bellenger ha mischiato queste definizioni, scrivendo dei Massi erratici che «È poesia di pietra».
Devo aggiungere che l’opera non è completa. Infatti Marisa Albanese pensava di completarla con una fontana della quale ci ha tramandato il disegno. Una fontana orizzontale a circuito chiuso, con sei grandi massi di pietra di varia misura. Bellenger, che ha seguito la realizzazione dei Massi Erratici, si propone di realizzare questa fontana completando il progetto. Scrive: «L’opera Massi Erratici si inserisce in un ampio piano di valorizzazione del Real Bosco di Capodimonte, giardino storico oggetto negli ultimi anni di importanti lavori di restauro, al fine di sottolineare la dimensione culturale del bosco».
Le opere realizzate negli ultimi anni in questo senso sono tante. Tra le varie, la ristrutturazione degli edifici borbonici, la rigenerazione del verde, la riapertura dalla chiesetta di San Gennaro con le decorazioni di Santiago Calatrava, la Palazzina dei Principi preparata per accogliere la Collezione d’arte contemporanea di Lia e Marcello Rumma, la Casa della Fotografia, dedicata al grande fotografo Mimmo Jodice. Anche questi ultimi due sono dei progetti in via di completamento. In attesa di capire cosa succederà alla direzione del Museo. Il mandato dell’attuale direttore è in scadenza e il bando per il successore è già aperto ma è stata lanciata una petizione online per chiedere al Ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, la nomina di Bellenger quale Commissario Straordinario di Capodimonte fino al 2025, per portare a compimento il lavoro iniziato.