I mille volti di Christian Boltanski al Centre Georges Pompidou di Parigi

di - 27 Febbraio 2020

Lungo la costa nord della Patagonia, una sofisticata e imponente installazione metallica sfrutta la forza del vento per imitare il canto delle balene. Salvaguardia di un suono destinato a sparire, Misterios (2017), è una creazione di Christian Boltanski la cui proiezione video (3 schermi, formato 16:9, audio stereo, colore, 720 minuti) fa parte della retrospettiva Faire son temps accolta al Pompidou di Parigi fino al 16 marzo.

Curata da Bernard Blistène, direttore del Musée national d’art moderne Pompidou, l’esposizione ripercorre cinquant’anni di carriera di uno degli artisti francesi più rinomati.

Ricordiamo che Boltanski nel 2010 ha partecipato a Monumenta al Grand Palais con la creazione in sito Personnes, mentre l’anno seguente ha rappresentato la Francia alla Biennale d’Arte di Venezia con Chance. Nel 1984 il Centre Pompidou ha accolto una sua personale, ciò che permette oggi, a chi ha avuto la fortuna di vederla, di paragonare e analizzare l’evoluzione del suo lavoro.

Christian Boltanski, Centre Georges Pompidou, foto di Philippe Migeat

Chi è Christian Boltanski

Classe 1944, Boltanski stesso ha ridefinito il percorso espositivo, in cui ogni opera ha uno spazio proprio, creando un labirinto inquietante e immerso nell’oscurità che ci parla della vita, del suo corso e della morte.

Leitmotiv del suo lavoro è la morte, che però non segna la fine di tutto, poiché a salvarci dall’oblio subentra il ricordo che ridà nuova vita alle persone e alle cose. In Boltanski la dimensione è storica, e non religiosa.

Privo di targhette e al di là di qualche opera, come le figurine di cartone proiettate in Teatro dell’Ombra (1984-1997), il percorso è tappezzato da volti di gente qualunque e di ogni età, riportati alla luce da vecchie foto in bianco e nero, a volte accompagnate dall’anno di nascita e di morte, ciò che ci lascia liberi di immaginare le loro vite, colmando forse un vuoto che la grande storia ignora. Si tratta di foto di piccole e grandi dimensioni riprodotte ora su tessuti velati, vedi in Les Regards (2011), che come fantasmi si muovono al passaggio dei visitatori, ora piazzate sulle scatole metalliche di Réserve: Les Suisses Morts (1991), che simili a urne ci interrogano sul loro contenuto.

Christian Boltanski, Centre Georges Pompidou, foto di Philippe Migeat

L’opera come parabola: la poetica di Boltanski

Per Boltanski ogni opera è una parabola, e questa creazione esplora la caducità della vita e si presenta come una sorta di vasta necropoli composta da cassette impilate, a mo’ di torri di altezze diverse, stagliarsi sul panorama della città, grazie a una ampia vetrata. La mostra principia con L’uomo che tossisce del 1969, uno dei primi film di Boltanski, realizzato con mezzi semplici e interpretato da suo fratello, Jean-Élie. Brevissimo e proiettato in loop, questa chicca espressionista vede un uomo chino su stesso che sputa di forza sangue. Durante il vernissage, l’artista racconta che in realtà il fratello ha ingerito erroneamente dell’acrilico rosso a causa della rottura di un tubicino, ciò che rende il lavoro più diretto e spontaneo. Il film di fatto è stato vietato in una retrospettiva a Shanghai perché ritenuto forse troppo radicale. Opera emblematica è l’Album fotografico della famiglia D., 1939-1964 (150 foto, 1971), che segna inoltre l’ingresso della foto amatoriale in quanto creazione artistica. “È un album che mi è stato dato dal mio amico Michel Durand (…). Gli album fotografici sono una raccolta di riti sociali. Ci sono sempre gli stessi riti: vacanze, matrimoni o battesimi, mai morti o persone malate. È un ritratto collettivo e felice della società. Ho visto subito la bellezza di questo album, le tracce di una memoria scomparsa, il corso di una vita che va verso l’oblio (…)”, racconta Boltanski in dialogo con Blistène in un’interessante intervista pubblicata nel catalogo della mostra (Éditions du Centre Pompidou, 288 pagine).

Christian Boltanski, Centre Georges Pompidou, foto di Philippe Migeat

Le opere in mostra

La mostra presenta anche Cœur (2005), una lampadina che seguendo il ritmo del battito cardiaco si accende e si spegne, e che ha inoltre ispirato la creazione degli Archivi del cuore. Si tratta di registrazioni di battiti cardiaci provenienti da diverse parti del mondo e custoditi sull’isola di Teshima in Giappone, che sono arrivati oggi a circa 70mila. Sono lavori che ci dicono come per l’artista ogni vita sia unica, e come in una corsa contro il tempo, lui cerchi di conservare il ricordo di ciascun essere affinché rimanga vivido nella memoria collettiva. Nelle sue creazioni si avvale di foto, video, pittura, suono e luci, e via dicendo, fino a realizzare performance come Fosse, che è stata accolta con successo nel parcheggio del Pompidou in un week-end di gennaio. L’opera, che nasce da una collaborazione con il lighting designer Jean Kalman e il compositore Franck Krawczyk, ha visto la partecipazione della soprano Karen Vourc’h, ma anche di cantanti e strumentisti vari. Fosse è uno spettacolo senza inizio né fine, in cui lo spettatore è invitato a deambulare per cogliere una mescolanza di suoni e canti che, sporadici e scuciti, sgorgano qua e là in uno spazio aperto e illuminato da suggestivi fasci di luce. Il suo lavoro gira intorno all’archivio, o meglio, come lui stesso ha sottolineato “(…) Tenere traccia di ogni momento della nostra vita, di tutti gli oggetti che sono venuti in contatto con noi, di tutto ciò che abbiamo detto e ciò che è stato detto intorno a noi, questo è il mio obiettivo”.

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