-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Il balcone di Atelier Alifuoco, spazio di coazione a Napoli
Arte contemporanea
Un gruppo di pittori e intellettuali anticonformisti, attivissimi nei primi decenni del Novecento, tra le due Guerre. Un appartamento abitato da due sorelle, Dora e Fausta. Un quartiere a ridosso del centro storico di Napoli, periferia cittadina, cerniera tra suggestioni e angosce, territorio di nobiltà e di carbone, confine tra culture autoctone e migranti, modelli di urbanizzazione e ipotesi di sviluppo. Insomma, le premesse per una storia da seguire lungo miriadi di diramazioni ci sono tutte e a raccoglierne le tracce è un altro collettivo di artisti. Lo spazio di Atelier Alifuoco si apre su più luoghi e tempi diversi, assorbe l’antica e sempre pulsante vita del quartiere per rilanciarla attraverso i linguaggi della contemporaneità.
Mostre, presentazioni, studio visit, residenze, coworking, riconversioni, esperimenti di rivoluzione o, almeno, inviti alla coazione, il vocabolario dell’Atelier è ampio e molte voci saranno ancora da aggiungere. Abbiamo raggiunto Nicola Piscopo, artista e componente di Atelier Alifuoco, per farci raccontare di più, a margine del nuovo progetto espositivo che coinvolge tre artisti – Clarissa Baldassarri, Paolo La Motta, Gabriella Siciliano – presentato oggi, nell’ambito della rassegna diffusa Art Days – Napoli e Campania (di cui scrivevamo anche qui).
Casa, studio, luogo espositivo. Cos’è – o cosa non è – Atelier Alifuoco, chi lo anima e com’è nata e si è sviluppata l’idea di aprire al pubblico e alle collaborazioni uno spazio solitamente privato?
«Atelier Alifuoco è un insieme di studi d’artista nati nell’esigenza di avere un luogo privato in cui condurre le proprie ricerche. Il fatto di trovarsi tutti a tessere relazioni, nell’incontro quotidiano, ha portato inevitabilmente alla voglia di unire le forze in numerosi tentativi che, insieme a nuove relazioni con il mondo esterno, hanno dato l’occasione all’atelier di evolversi, di fare meglio, di sognare più intensamente. AA è nato nel 2016 per volontà di Francesco Maria Sabatini, poi sono entrate Maria Teresa Palladino e Lucia Schettino, e infine il sottoscritto, Nicola Vincenzo Piscopo. È una storia molto simile a quella del Quartiere Latino del 1928».
Il balcone di Atelier Alifuoco affaccia su un’area stratificata, ricca di sfumature e di linguaggi, multietnica per usare un eufemismo, nei pressi del Museo Madre, non distante dall’ex Lanificio. Voi cosa ci avete trovato? E cosa vorreste trovare, che però ancora non c’è?
«È un Quartiere difficile ma anche molto strategico: è a due passi dalla Sanità e dalla Stazione Centrale. Oltre al Madre e l’ex Lanificio abbiamo il Museo Diocesano, il Liceo Artistico e la Chiesa di San Giovanni a Carbonara, tra le poche rinascimentali non corrotte dal Barocco. Quindi, nonostante le problematiche, ci sembra un terreno fertile in cui seminare e che, essendo molto esteso, necessita di coraggio, determinazione e soprattutto coazione a produrre. Ciò che vorremmo trovare, umanamente, è l’entusiasmo degli abitanti di un quartiere che oramai è scoraggiato e vive come se niente potesse cambiare. Ciò che ci auguriamo come artisti, è che, vista anche la prossimità del Madre, il quartiere diventi un polo per l’arte contemporanea integrato con la vita della città. A tal proposito posso dire di aver visto un gallerista cercare uno spazio qui in zona, forse è anche merito delle visioni di Atelier Alifuoco. Un nostro anziano condomino afferma testualmente: “voi volete dare un vestito buono ad uno che non si lava”, il fatto è che noi crediamo che vestendolo bene gli venga voglia di curarsi».
Dopo vari progetti espositivi, “Quartiere Latino” rappresenta una sorta di passo laterale-avanti: un programma per costruire le fondamenta di un “museo condominiale a Km 0”. Potete raccontarci di cosa si tratta e quali necessità, volontà e speranze vengono affrontate con questo progetto?
«Quartiere Latino è nato con i primi Art Days a Napoli, nel segno di una rinascita, per offrire alla città un museo autentico e “autoctono” fatto da artisti che vivono il territorio e che come stelle nell’inquinamento luminoso, brillano senza che nessuno se ne accorga. Ne abbiamo contati una ventina, noi compresi. Praticamente siamo una squadra! Abbiamo già incontrato alcuni dei prossimi artisti che hanno accolto con grande entusiasmo la nostra proposta.
Mi lego alla risposta precedente nel dirti che stiamo spingendo in avanti, oltre le porte del nostro Atelier, la voglia di cambiare lo stato delle cose. Da quando noi artisti abbiamo iniziato a parlare del sogno di integrarci alla città, abbiamo capito sempre più di quanto la città ne abbia bisogno.
Così abbiamo conosciuto il nostro primo sponsor, Francesco Sepe di Antica Cantina Sepe, che non ci ha soltanto aiutato in una raccolta fondi e, quindi, a realizzare le opere degli artisti, ma ha investito con noi tutto il suo entusiasmo, sognando oltre il presente. Questo per noi è un evento simbolico, sappiamo di poterci legare così a una città che ha qualcosa da offrire e desidera essere rappresentata.
Circa un secolo fa, non distante da Atelier Alifuoco, c’era uno studio di artisti associati sotto il titolo Quartiere Latino. Vorrei invitare i tuoi lettori a fare una ricerca su Google, perché scoprirebbero una storia analoga alla nostra. Purtroppo vivevano in tempi più difficili dei nostri».
Clarissa Baldassarri, Gabriella Siciliano e Paolo La Motta sono i tre artisti invitati per questa prima tappa, che rientra anche nel calendario degli “Art Days – Napoli, Campania”. Cosa vedremo?
«A proposito di guardare oltre il presente e coazione a produrre, penso proprio all’opera che Paolo La Motta ha presentato in questa occasione: una grande Arca di Noé, un centinaio di forme di animali in terracotta realizzati dai bambini del Quartiere Sanità (7 – 9 anni) in un laboratorio che lui gestisce da circa 20 anni, Laboratorio Cagnazzi. A questa affianca un’antica incisione del Palizzi: Dopo il diluvio. Che simbolo!
Anche Gabriella Siciliano fa un richiamo all’infanzia, al sogno e alla spensieratezza, installando la sua opera telescopicamente lungo i 5 piani del palazzo. Titolo: Jump. Ecco quindi una cosa che interessa molto al condominio, che comincia a prendere una forma che prima non aveva, un po’ come la metro dell’arte. Arriviamo così a Clarissa Baldassarri, che non a caso occupa lo spazio dell’edicola votiva del palazzo e presenta Sindone, un’opera sull’iconoclastia e sul valore dell’immagine che, come simulacro, spesso si sostituisce alla verità».