Ă lo sradicamento a essere illegittimo, non lâappartenenza.
Di questa Biennale curata da Cecilia Alemani non ho trovato radici nel suolo compatto e umido di Castello. Se la Biennale è alla Laguna, la Laguna non è alla Biennale. La situatednees dellâistituzione non si trova. Probabilmente è ingiusto aspettarsi che nella preparazione della mostra in tempi di pandemia si coltivassero rapporti con un territorio che, di fatto, non era quasi accessibile. Ma questa condiziona si traduce, nella gran parte dei lavori presentati, in una rinunciataria mancanza di concretezza rispetto al che fare e al come farlo.
A scanso di equivoci: lâoperazione è accurata e intellettualmente affascinante. Le sezioni (capsule) di approfondimento storico sono una risorsa di sapere probabilmente vitale oggi: la âculla della stregaâ è un viaggio catartico; la âiconologia dei recipientiâ offre un efficace esempio di narrazione alternativa rispetto alle idee dominanti, alla base di molti dei problemi che oggi ci attanagliano. Queste istanze, credo, sarebbe opportuno che fossero alla base di ogni operazione culturale contemporanea. Dunque, questa ritrovata normalitĂ ci consegna a una biennale dâarte assolutamente da vedereâŚe assolutamente insufficiente. PerchĂŠ nelle biennali di cui abbiamo bisogno, secondo me, câè altro.
Cosa manca allora in questo latte dei sogni? Il caglio. Il caglio, cioè pratiche di cambiamento concreto della realtĂ in cui viviamo o in cui vivono gli artisti che tali pratiche esercitano insieme alle persone e alle organizzazioni con cui convivono. Câera da aspettarselo da parte mia, visto che dal 2000 vivo a Cittadellarte, che appunto è una scuola di queste pratiche, con la esplicita missione di contribuire fattivamente a riequilibrare gli squilibri che lacerano il tessuto sociale e il nostro rapporto col mondo.
Critique is not enough.
Basti pensare che giĂ nel 2002 e 2003 con la mostra La nuova agorĂ : critique is not enough, presentiamo ââŚventisette lavori che vanno al di lĂ della pura critica delle istituzioni sociali cercando nuove collaborazioni o nuovi modi di reagireâ. Da allora addirittura il Turner Prize premia gli Assemble e nomina i Cooking Sections, la cui pratica appunto si cimenta direttamente nel cambiare le cose. Anche Documenta 14 invita progetti come Row House di Rick Lowe.
Sono almeno trentâanni che lâarte lascia il proprio campo e diventa visibile come parte di qualcosâaltro, implicandosi nellâaffrontare direttamente le questioni sociali, senza limitarsi al livello simbolico. Senza scomodare Beuys o lâArte Povera, basti ricordare la New Genre Public Art di Suzanne Lacy e la mostra di Mary Jane Jacob âArt in Actionâ. Oltre ai numerosissimi progetti artistici che si sono sviluppati a tutte le latitudini (dallâArte Util di Tania Bruguera o allâesperienza di Creative Time), dispositivi come Les Nouveaux commanditaires addirittura anticipano evoluzioni del diritto come i Patti di Collaborazione.
Invece, la stessa Cecilia Alemani spiega che âLâarte lavora nel dominio del metaforico e del simbolico e ha la forza di mostrarci il mondo in cui viviamo con occhi e lenti diverseâ.
La pornomiseria della modernitĂ .
Negli anni â70 in Colombia si sviluppa un decennio di attivitĂ documentaristiche di denuncia sociale, si è parlato a proposito di alcuni lavori di quel contesto di âpornomiseriaâ, termine che evidenzia lâambiguitĂ di una produzione critica essenzialmente opportunistica rispetto alla povertĂ di cui si occupa. In questa biennale mi è parso di incontrare un atteggiamento nei confronti della miseria della modernitĂ occidentale capitalista patriarcale antropocentrica antropocenica per certi versi analogo. Il fugace richiamo a una âprospettiva da cui agireâ sembra troppo evanescente per poter davvero fungere da motore immobile di unâoperazione tanto complessa e ricca di intelligenza come questa Biennale di Venezia.
Fievole come le lucciole del Padiglione Italia.
Qui la delusione si aggiunge allâamarezza. PerchĂŠ attribuirci lâimmagine di Paese dalle fabbriche vuote? Ă vero che la Biennale Arte non è unâExpo, ma di fabbriche attive (tessili, per restare alla lettera dellâinstallazione di Gian Maria Tosatti) ce ne sono ancora molte in Italia. Forse, altrove, altre voci sapranno raccontare questa realtĂ , addentrandosi al di lĂ del sogno (o dellâincubo) verso gli spazi del progetto.
Il potere delle pratiche.
In conclusione, lâevocazione della Carrington apre un vaso di Pandora che pesca nel surrealismo (da Hieronymus Bosch al milieu Dada) un afflato emancipatore di cui câè bisogno, ma lâimmaginazione al potere non basta, come non basta il potere allâimmaginazione: serve anche una buona dose di pratiche, metodi, prototipi e i loro effettivi risultati. Che peraltro sono giĂ qui, nelle nostre cittĂ , nellâoccidente come nel global south.
Il lavoro sul simbolico e sullâimmaginario che accuratamente e profondamente fa questa Biennale manca del suo correlato pragmatico sul piano delle azioni, delle risposte e â sĂŹ, diciamolo perchĂŠ ce ne sono â delle soluzioni. Immaginario sociale e pratiche socialmente impegnate â opportunamente connesse tra loro â possono operare lâarco voltaico della cui energia abbiamo bisogno.
A mio personale parere, serve un caglio per i sogni e questo caglio sono le pratiche.
Paolo Naldini è Direttore Cittadellarte-Fondazione Pistoletto, Biella.
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