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Il Canto di Circe: a Napoli, l’arte contemporanea ricorda Giordano Bruno
Arte contemporanea
di Fabio Avella
Il 23 maggio è stata inaugurata presso la Sala delle Biblioteca del Complesso Monumentale di San Domenico Maggiore a Napoli, l’istallazione site specific Il canto di Circe dell’artista pompeiano Nello Petrucci, curata da Marina Guida. In questo periodo di chiusura forzata, ma condivisa, dovuta alle vicende tristi del Covid-19, si è fatto un omaggio a Giordano Bruno, esponente del naturalismo rinascimentale, giustiziato per le sue idee eretiche secondo l’Inquisizione della Chiesa cattolica.
E proprio il giorno d’apertura, il 23 maggio, è quello in cui nel 1592 fu arrestato a Venezia. Anche il luogo dell’esposizione, gli ampi spazi della biblioteca, sono significativi in quanto il filosofo nolano qui inizia il suo percorso formativo e struttura il suo libero pensiero che, a costo della morte, conserverà intatto per concederlo alle generazioni a venire. Questo tributo necessario, ancora di più in periodo di quarantena, è stato pensato per l’iniziativa Maggio dei Monumenti 2020 e presentato tramite i canali di comunicazione social, viste le restrizioni doverose che hanno interessato soprattutto la vita pubblica almeno fino agli inizi di giugno.
Il tributo è organizzato in un trittico che narra le vicende principali della vita del frate domenicano, paragonate a quelle che sono alcune delle restrizioni e delle censure applicate al pensiero e alle azioni culturali della nostra epoca. In un parallelismo dove la figura dell’eminente studioso viene attualizzata nell’azione di uno street artist – comparazione neanche troppo azzardata, se si valuta l’aspetto più genuino e semplice del personaggio storico, che trasse da questi tratti distintivi la forza per ergersi a pensatore efficace a discapito di una sofisticata e raffinata eloquenza priva di sostanza – che è ostacolato dai servi dell’oscurantismo, del potere, mentre svolge la sua azione di diffusione del sapere.
La narrazione prende spunto da Il Canto di Circe, opera di Giordano Bruno, dove Circe, nel Dialogo Primo, riferisce a Meri, sua ancella, degli uomini trasformati in scimmia e della loro attitudine a essere servitori dei potenti, braccio armato della censura e inutili al di fuori di questi compiti, tanto da far soltanto ridere.
L’artista, in sequenza, immagina il filosofo perquisito dalle scimmie e a cui vengono trovati simboli e sigilli che dovrebbe verosimilmente applicare come stencil. Nella seconda opera, la mano censuratrice della scimmia cerca di bloccare il sapiente mentre diffonde il suo verbo. Nella terza e ultima opera, Giordano Bruno non abiura le sue idee mentre Galileo Galilei sottoscrive la sua salvezza.
Nello Petrucci, in questo caso, apre l’orizzonte espressivo all’inserimento di figure derivanti dalla digitalizzazione dell’immagine e della relativa stampa, sovrapponendole alla stratificazione che lui stesso compone. Come in rituale, in quest’ultima conserva e unisce le testimonianze dell’uomo. L’artista, infatti, raccoglie carte per le vie del mondo – frammenti o interi fogli di carta applicati da qualcun altro sui muri delle strade, i classici formati di stampa adottati per comunicare qualcosa – strappandole dalla loro funzione e dall’inevitabile deterioramento, per ricomporli su di un’unica superfice. Così facendo, riformula un immaginario plurale costituito da segni linguistici. Le sue “lettere” vengono prese da un infinito abecedario che rielabora in immagini visive. Non sono scorticazioni ma ricuciture linguistiche di immagini che erano slegate, non comunicanti. Ricollega e rielabora ciò sarebbe stato perso in un’unica visione completa e strutturata. Ogni piccolo frammento è il processo reggente di una solida osservazione.