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Il Circuito del Contemporaneo torna in Puglia. Parla Giusy Caroppo
Arte contemporanea
L’arte contemporanea torna a Barletta, nel castello, dove, a partire dal 18 luglio, è possibile visitare la mostra “Inhuman”, a cura di Giusy Caroppo, con opere di Kendell Geers (Johannesburg, 1960), Oleg Kulik (Kiev, 1961) e Andres Serrano (New York, 1950). Con effetti da pugno nello stomaco, il percorso, articolato negli ampi sotterranei del maniero, racconterà la tortura, la sopraffazione, l’ingiustizia, il degrado morale, a testimonianza di quanto la disumanità sia davvero “una delle qualità caratteristiche dell’essere umano”, come sosteneva oltre un secolo fa, con drammatica lucidità, lo scrittore statunitense Ambrose Bierce. Allestita a due anni esatti dalla grande personale di Andrei Molodkin, la mostra rientra nel Circuito del Contemporaneo, progetto con cui la Regione Puglia, in collaborazione con il Teatro Pubblico Pugliese, si pone l’obiettivo di costituire stabilmente una rete d’eccellenza per la produzione e fruizione di arte contemporanea. Ideato dalla stessa Caroppo, il Circuito è inserito tra i progetti strategici del PIIIL Cultura Puglia. Abbiamo chiesto alla curatrice di anticiparci problematiche e aspettative a breve termine di un progetto così ambizioso.
Riparte il Circuito del Contemporaneo, un‘idea in cui hai investito tante energie e in cui credi fortemente da più di dieci anni. Ma con quali sostegni si muove?
«È dal 2009 che cerco di promuovere questa proposta di sistema regionale che ha già visto episodi embrionali e di successo ma non riesce a decollare per mancanza di finanziamenti: in effetti è tra i progetti strategici del PIIIL Cultura Puglia ma non gli corrisponde un budget per la sua piena realizzazione. Il progetto non vuol essere semplicemente un calendario di “eventi”, che comunque richiedono sostegno adeguato, ma intende mirare alla creazione di un’infrastruttura immateriale: una rete di luoghi su tutto il territorio regionale, vocati al contemporaneo, la costituzione di un gruppo di lavoro che possa incidere sui diversi aspetti della produzione, della fruizione, dell’accessibilità dell’arte visiva e performativa, che provveda alla giusta “confezione” di una mostra o di un progetto culturale. Sono tanti in Puglia gli operatori pubblici e privati – singoli o riuniti in associazioni, cooperative, società di servizi, realtà come il Museo Pino Pascali, i poli biblio-museali, laboratori urbani, il Mibact, gli enti locali – che “reggono“ il comparto della produzione di arte contemporanea. L’idea del Circuito, peraltro, è trasferibile in altre regioni perché si basa su criteri flessibili ma codificati, forti anche del know-how dei miei vent’anni di esperienza; tant’è che alcuni anni fa si palesò l’idea di un Circuito del Contemporaneo esteso al Sud Italia. Solo così si potrà fare massa critica e contare qualcosa in un sistema globale».
Cosa prevede il Circuito del Contemporaneo nel 2020?
«La stasi provocata dal Covid ha soppresso in culla l’idea iniziale del Circuito 2020. Ad un mio incarico come direttore artistico non è corrisposto un impegno finanziario per l’idea complessiva. Pertanto molti dei progetti proposti da Comuni, curatori o organizzazioni private non sono stati cofinanziati e pertanto non si potranno svolgere, almeno per ora: uno per tutti, la mostra di Maurizio Mochetti pensata insieme al curatore Gaetano Centrone per la riapertura del Torrione Passari a Molfetta che spero possa realizzarsi in autunno. Ho salvato, in questa prima fase, relazioni importanti strette all’inizio dell’anno: ad esempio, quella con il MArTA di Taranto e il direttore Eva degli Innocenti, con cui ci siamo confrontati su un progetto partecipato, “Taranto Voices” del sound artist Piero Mottola che cercheremo di far partire con tutta le cautele del momento, e una mostra di produzione della scultrice pugliese Claudia Giannuli, un’artista “cattiva” che si relazionerà con alcune figure femminili emblematiche dell’antichità che rimanderemo a fine anno. Si realizzerà “The life of things” a cura di Marco Petroni, nella meravigliosa Lecce: qui l’attenzione è rivolta a processi di rigenerazione urbana e sociale con il collettivo Parasite 2.0. Ma ci sarebbe potuto essere tanto altro, come ad esempio il bando “Outside(r)” per la promozione extraregionale di artisti del territorio o misure per la costituzione e riorganizzazione di collezioni, per l’acquisizione o circuitazione di opere d’arte contemporanea di artisti viventi, un archivio vivente di artisti, organizzazioni, rassegne. Spero che con la prossima amministrazione regionale, a prescindere da quale sia il suo schieramento politico, che sia confermata quella uscente o se ne formi una nuova, si possa finalmente dare una svolta concreta al Circuito».
La mostra “Inhuman” ha aperto i battenti. Per i temi trattati l’hai definita “un pugno nello stomaco”. Come questa scelta si coniuga con il particolare momento storico che stiamo vivendo?
«La terribile esperienza che tutti abbiamo vissuto credo ci abbia fatto apprezzare la libertà, il rispetto per la vita, l’importanza delle relazioni sociali e dei valori comuni, tutti temi che, anche velatamente, si incontrano nel percorso della mostra, ma senza intenti didascalici, ma attraverso una forte carica provocatoria. Sono contenta che tre artisti di primo piano abbiano accettato di convivere in questo progetto che li mette in dialogo senza che abbiano mai lavorato insieme. Al suo interno, come progetto speciale, la mostra ospita “Heimat” dell’artista pugliese Jasmine Pignatelli che raccoglie – non solo simbolicamente – le terre di luoghi della memoria italiani; un progetto nato per Matera e che ora approda in Puglia per la prima volta. Un progetto di speranza, di fiducia nella collettività, uno stimolo alla riflessione».
Il Circuito, dicevi, mira anche a mettere in rete gli operatori: che futuro vedi per i professionisti che hanno scelto questo mestiere?
«Prima di tutto mi preoccuperei di quelli che, come me, hanno già intrapreso questa carriera da liberi professionisti. Se non rendiamo stabile la professione come possiamo pensare di donare stabilità a quanti la intraprenderanno? All’estero le figure del curatore, del progettista, del manager culturale, sono rispettate e retribuite adeguatamente. In Italia invece siamo penalizzati anche nei concorsi pubblici dove per diventare direttore di un museo magari devi avere alle spalle un percorso in ascesa da funzionario pubblico, senza alcuna vera esperienza di gestione e produzione culturale, quindi senza conoscere il rischio della gestione di un budget o la complessità della stesura di una candidatura ad un bando europeo, solo per fare degli esempi. Ecco perché poi, nei momenti di difficoltà, vengono fuori le falle di un sistema che premia i burocrati anziché i liberi professionisti strutturati».