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Michael Rakowitz: il contenitore universale dello scibile umano
Arte contemporanea
«C’è una parte di me che è contemporaneamente grata e davvero felice – ha dichiarato Michael Rakowitz all’assegnazione del Nasher Prize 2020 – ma poi c’è un’altra parte di me che spera, in un modo o in un altro, di potermelo un giorno guadagnare» (dal New York Times)
“Legatura imperfetta / Imperfect Binding” – fino al 19 gennaio 2020 al Castello di Rivoli (TO) – è la prima retrospettiva europea dedicata all’artista statunitense, Michael Rakowitz (Great Neck, NY, 1973, vive e lavora a Chicago). L’imponente esposizione – realizzata in collaborazione con la Whitechapel Gallery di Londra e a cura di Carolyn Christov-Bakargiev, Iwona Blazwick e Marianna Vecellio – rivela quanto tutta l’opera dell’artista si faccia veicolo di una visione umanistica universale.
Di famiglia ebrea trapiantata in America in seguito all’olocausto e di origini irachene da parte di madre, Rakowitz interpreta la condizione di dislocamento e le contraddizioni della globalizzazione in cui il mondo contemporaneo è immerso.
I fantasmi delle tradizioni irachene di cui la sua casa di bambino era intrisa e la cultura pop americana della sua formazione, convivono in una soluzione dove tutto ciò che appartiene all’arte e alla cultura si fa patrimonio dell’umanità a prescindere dai territori di provenienza.
L’estetica di Rakowitz fonde l’eredità occidentale post-performativa e post-concettuale e ingloba discipline estetiche tra le più varie, al fine di realizzare un prodotto di arte sociale e partecipativa. La sua ricerca sembra voler contenere tutto lo scibile in un contenitore universale che appartiene all’essere umano come tale e non come prodotto di un dato momento storico, sociale, politico o economico.
L’interesse di Rakowitz per la “scultura sociale”
Rakowitz si interessa all’arte sociale fin dal corso di arte pubblica del Dipartimento di Architettura del MIT di Cambridge. Quale risultato di una residenza in Giordania, il giovane artista realizza paraSITE (1997–in corso). Il progetto, definito “scultura sociale”, consiste nella realizzazione customizzata di tende di plastica per i senzatetto che, collegate ai sistemi di ventilazione degli edifici, si gonfiano e si scaldano.
Da quel momento Rakowitz non ha mai abbandonato lo studio dell’impatto che l’architettura, il design, le tradizioni decorative hanno sulla vita quotidiana e sulla costituzione del patrimonio culturale delle società. Con Dull roar (2005) l’artista riproduce un edificio popolare americano degli anni Cinquanta che, trasformatosi poi in luogo di segregazione, è stato demolito venti anni dopo: l’opera dichiara la fine del Modernismo e delle utopie sociali nell’architettura. Per la Biennale di Sydney nel 2008 realizza White man got no dreaming in cui ricostruisce, con materiali edili di scarto, provenienti da un quartiere abitato dalla comunità aborigena, il Monumento alla Terza Internazionale dell’avanguardista russo Vladimir Tatlin (progettato nel 1919, ma mai realizzato).
Il concetto di amnesia e di scenario
Rakowitz fa spesso riferimento nelle sue dichiarazioni al concetto di “amnesia”, la sua opera è quasi ossessivamente dedita alla responsabilità di preservazione del sapere. Nel video The ballad of special ops Cody (2017) un soldato-giocattolo americano dialoga con le statuette votive mesopotamiche conservate all’Istituto Orientale dell’Università di Chicago. The invisible enemy should not exist (2007-in corso) è un’imponente ricerca archivistica che riproduce tutte le 15.000 opere perse in Iraq durante la seconda guerra del Golfo. L’operazione non è semplicemente una denuncia morale, l’artista intende consegnare nuova linfa vitale alla tradizione culturale. Il manufatto, pur abitato dal fantasma dell’opera originale, racchiude significati e interpretazioni appartenenti al mondo contemporaneo. Le sculture sono realizzate esclusivamente con involucri cartacei di prodotti alimentari iracheni. Con questa scelta – che ha origine dal precedente progetto Return del 2004, in cui ricreava l’azienda di import-export di famiglia – Rakowitz denuncia l’impatto economico che l’embargo all’Iraq ha prodotto sull’economia del paese: l’esportazione alimentare era la seconda fonte di ricchezza dopo la produzione del petrolio.
Nella descrizione delle sue operazioni artistiche, Rakowitz fa riferimento all’idea di “scenario” in quanto intende ricostruire ambientazioni e processi storici e culturali. La pratica partecipativa diviene una metodologia chiave per raggiungere tale intento, dove fondamentale è lo scambio dei saperi. The flesh is yours, the bones are ours (2015) è un’opera realizzata per la Biennale di Istanbul con il contributo degli artigiani Armeni sopravvissuti al genocidio del 1915-16. In What dust will rise? (2012) realizza, in occasione di Documenta, numerosi libri in pietra di travertino estratta nella valle di Bamiyan, Afghanistan, dove nel 2001 i talebani distrussero due straordinari Buddha risalenti al VI secolo. Con l’aiuto di maestri intagliatori italiani ha riprodotto gli antichi volumi appartenenti alla Kassel’s Fridericianum Library e andati distrutti durante la Seconda Guerra Mondiale.
Un’opera dedicata al collezionista Federico Cerruti
L’opera Imperfect binding. A homage to Francesco Federico Cerruti (2019) esplicita il valore simbolico dell’idea di “ferita” presente nelle sue opere. La perdita delle tradizioni culturali è una ferita aperta, inferta al patrimonio condiviso dell’umanità e le sue opere si pongono con intento taumaturgico, senza però voler cancellarne la traccia, ma lasciando intravedere la cicatrice. Nel restaurare la rilegatura del libro è l’intervento di ripristino che deve rimanere evidente e non celato. Secondo Rakowitz nell’“imperfezione” è il valore più alto, poiché è proprio dalla pretesa di perfettibilità dell’essere umano che nascono le derive fanatiche che generano distruzione, perdita e nuove ferite.
Con la semplicità degli artisti autentici Rakowitz ci consegna quelle verità cruciali che sembrano perdersi nell’oblio delle contraddizioni della contemporaneità.