âUn tempo sapevamo il mondo a menadito:
era cosĂŹ piccolo da stare fra due mani,
cosĂŹ facile che per descriverlo bastava un sorriso,
semplice come lâeco di antiche veritĂ nella preghiera.â
Questi primi straordinari versi di WisĹava Szymborska riecheggiano nella mente quando penso alla storia del corpo e al nostro essere corpi oggi.
Se stavamo dimenticando il suo sentire antico e il âvivere il mondo a menaditoâ, è arrivata la pandemia a rammentarci grevemente lâimportanza dei nostri corpi e del loro domani. Siamo stati catapultati nellâincertezza, vivendo il paradosso di una realtĂ fatta piĂš di comunicazione a distanza che di presenza, scoprendo poi quanto anche i mondi digitali possono diventare alla lunga delle gabbie se fisicamente siamo confinati dentro dei veri recinti chiamati distanziamento, lockdown, isolamento.
Come orientarci in un un mondo frammentato dove il tempo e lo spazio sono soggetti a confinamenti continui mentre le nostre aure digitali viaggiano senza apparenti limiti, entrano ed escono dai luoghi alleggeriti dal peso della materia e della realtĂ ?
E cosa rimane del nostro sentire fisico, quellâintelligenza organica che ci ha guidati fino ad oggi nellâesplorazione e nella conoscenza del mondo?
Riflettere sui significati dellâessere corpo e sul suo immaginario collettivo in questo momento storico, nel quale sta cambiando rapidamente la natura delle nostre relazioni con i luoghi e gli spazi del vivere, è il fulcro del progetto âORIZZONTI DEL CORPO. Arte / Danza / RealtĂ Virtualeâ, ideato e curato da Marina Dacci in collaborazione con la Fondazione Nazionale della Danza/Aterballetto. Unâesposizione ricca di suggestioni sui temi dellâindividualitĂ , dellâindefinitezza esistenziale, della trasformazione del corpo in rapporto al suo essere luogo â sia fisico che virtuale â esplorando la presenza e lâassenza fisica, la telepresenza, la smaterializzazione digitale attraverso lâincursione e il dialogo tra linguaggi eterogenei quali le arti visive, la danza, la tecnologia dei visori di realtĂ virtuale, che aprono ad un futuro e diverso dominio del corpo.
Allestita al piano nobile di Palazzo da Mosto a Reggio Emilia, la mostra coinvolge il pubblico in unâesperienza sensoriale inedita grazie ad un display espositivo originale capace di restituire la prospettiva artistica e coreutica del corpo in uno spazio-tempo amplificato, differente per ogni sala della mostra. Marina Dacci scrive a tale proposito: âNon è inusuale lâabbinamento tra danza e arte ma in questo progetto si innestano ulteriori nuovi elementi in cui la fisicitĂ dei danzatori e la materia dellâarte si affiancano a una tecnologia virtuale immersiva che consente di affrontare, con strumenti differenti, la prossemica tra danzatore e spettatore.â
Fondamento dellâesperienza umana sulla terra, il corpo viene anche rappresentato nel suo carattere di soglia tra lâinterioritĂ e il mondo che vive fuori da esso, grazie ad una concertazione raffinata tra le opere di Leonardo Ankel Vandal, Bianco Valente, Fabrizio Cotognini, Toni Fiorentino, Silvia Giambrone, Gianluca Malgeri, Matteo Montani, Mustafa Sabbagh, Vincenzo Schillaci, Namsal Sedlecki, Sissi e Giovanni Termini e i corpi in movimento delle sei MicroDanze create dai coreografi Saul Daniele Ardillo, Philippe Kratz, Ina Lesnanowski, Angelin Preljocai, Diego Tortelli.
Ognuna delle otto sale del percorso espositivo presenta una sua temperatura speciale. Nel primo ambiente, caratterizzato dagli affreschi con le fatiche di Ercole, la memoria del corpo si confronta con il suo essere frammentato e con le sue trasformazioni materico-simboliche attraverso le sculture di Ankel Vandal, Fiorentino, Giambrone, Sissi e la fotografia di Sabbagh; percezione enfatizzata dallâimpiego di materiali polisemici come la ceramica, lo zinco, il tessuto e dallâesibizione energica, vibrante, di una ballerina il cui corpo cerca spazio e azione dentro una struttura luminosa che ricorda una gabbia â la performance Shelter, coreografata da Saul Daniele Ardillo.
La seconda sala accoglie lo spettatore con un grande lavoro pittorico di Montani, allestito da soffitto a pavimento, coinvolgendolo in unâesperienza metafisica. Lâevocazione di un paesaggio onirico senza limiti è potenziata dalla performance Near Life Experience ideata da Angelin Preljocai: i due ballerini sembrano âmisurareâ lâambiente e la loro relazione attraverso il linguaggio dei corpi che sâincontrano, sâintrecciano, si allontanano per poi ricongiungersi. La seduzione dei movimenti entra in risonanza con la forza trascendentale della pittura che pervade lo spazio.
A tale proposito, il curatore delle MicroDanze Gigi Cristoforetti afferma come siano state ideate âcoreografie non frontali e non rigide, ma permeabili al contesto spaziale, capaci di dialogare con universi disciplinari differenti per promuovere lâintimitĂ tra danzatore e spettatore.â
Nella terza sala questa permeabilità è resa particolarmente palpabile grazie alla visione eterea dei corpi leggeri, flessuosi di due ballerine che librano attorno allo spettatore fondendo simbolicamente i limiti tra i corpi e lo spazio: una danza in Cinematic VR dal titolo Meridiana, creata da Diego Tortelli, che potenzia il senso di leggerezza, di volo libero degli uccelli rappresentati da Cotognini, figure dal carattere mistico e messaggeri divini nellâiconologia dellâartista.
Una levitĂ resa giocosa dalle strutture aeree del corridoio esterno e dalle immagini patafisiche di navicelle spaziali di Malgeri, che dialogano nella quarta sala con la visione della danza Kepler di Diego Tortelli mediante gli oculos: i performer si muovono in un mondo immaginario, asettico, fantascientifico alla ricerca di nuove forme per abitare e sopravvivere ai cambiamenti dello spazio. Accanto, la grande installazione Intervallo di Giovanni Termini riporta lâuomo alla realtĂ del costruire attraverso il respiro del corpo, la possenza della materia, lâabilitĂ umana di creare mondi e, insieme, i suoi fallimenti: la grande installazione a ponteggio edile accoglie la natura (le tavole in legno appese verticalmente come se fossero dei teli) e le tracce dellâuomo (le scarpe da lavoro appese, una bottiglia dâacqua).
Nella quinta e settimana sala le opere installative di Anker Vandal parlano di deprivazione e di ricerca di una stabilitĂ interiore: le sue ampie tasche paiono dei nidi che abbracciano metaforicamente lo spettatore cullandolo nel tentativo di superare il senso di vuoto esistenziale. Condizione esperita anche dal danzatore in Platform02 (coreografia di Ina Lesnakowski), che si muove in bilico su una piattaforma a scalini: mentre lo spazio si riduce, il corpo si adatta, cerca di resistere, trova nuovi assetti fisici e interiori.
La precarietĂ corporea e psicologica è esplorata in continuitĂ nella sesta sala con Afterimage, coreografia di Philippe Kratz, la cui forza visiva è potenziata dalla contrapposizione del corpo del danzatore con il luogo dellâazione â un set di tre pareti bianche che ne limitano i movimenti â e dalla proiezione di colori che stridono con lo spazio ma rendono piĂš fluida, onirica, la visione dei movimenti. Una sensazione di temporalitĂ sospesa e di profonditĂ emanate contemporaneamente dai dipinti astratti di Schillaci, che circondano lo spettatore e comunicano il senso di mistero del tempo â il tempo della vita come il tempo della materia dellâarte, che si sovrappone sulle opere sotto forma di polveri, impasti, stucchi.
Lâanima dellâIo piĂš profondo si confronta con la sua dimensione relazionale e collettiva nelle opere di Bianco-Valente, che chiudono il percorso. Una sala speciale dove la geografia interiore fatta di pensieri, storie, relazioni è rappresentata dai due artisti nelle immagini di mappe ritagliate e intrecciate tra loro â le opere video e fotografiche Illimite e Tu sei qui â tese a creare un simbolico tessuto connettivo, come quello di cui è fatto il nostro corpo. Territori reali e psicologici cuciti tra di loro dalla mano degli artisti in un atto di ridefinizione della nostra identitĂ , di sutura delle fragilitĂ come gesto di rigenerazione e di estensione delle facoltĂ mente-corpo grazie alle protesi tecnologiche dellâoggi (ben rappresentate nellâopera Deep in my mind).
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