Flip Project ha recentemente inaugurato il suo nuovo spazio a Napoli, presentando una mostra intitolata “OUR SLICE OF TIME TOGETHER” (in corso fino al 19 febbraio) con gli artisti Giulia Cenci, Michael Dean e Jorge Peris, accompagnata da un reading di Allison Grimaldi Donahue e da una performance sonora di Vicky K. Flip Project, fondato a Napoli nel 2011, è un progetto curatoriale indipendente, una piattaforma di discussioni e collaborazioni creative legate alla pratica artistica e alla cultura contemporanea. Una tra le prime realtà di questo carattere aperte nella città partenopea, che ha ottenuto riconoscimenti e avviato collaborazioni con la Fondazione Morra Greco, il Museo MADRE, Art Metropole di Toronto, Artissima Lido, 21 Her Haus a Vienna e SPRINT Milano, oltre a essere case study per varie tesi di laurea. Abbiamo intervistato Federico Del Vecchio, fondatore e curatore di questo progetto.
In occasione di Art Days Napoli – Campania, Flip Project ha inaugurato il nuovo spazio e ha presentato una mostra intitolata “OUR SLICE OF TIME TOGETHER” in corso fino al 19 febbraio. Ti va di parlarci di questo progetto curatoriale indipendente? Come nasce l’idea della mostra?
«Flip Project è nato nel 2011 con il desiderio di condividere con la comunità locale, e non solo, le esperienze che stavo vivendo durante il mio periodo di studi a Francoforte e successivamente in altri contesti. Flip è un progetto curatoriale indipendente, una piattaforma di discussioni e collaborazioni creative in relazione alla pratica artistica e alla cultura contemporanea, rientra nella scena degli spazi indipendenti / artist-run spaces.
Iniziare questo progetto a Napoli è stato frutto della considerazione delle dinamiche culturali della città e della necessità di attivare in questo contesto una discussione diversa. In quel periodo a Napoli mancava uno spazio più alternativo e dinamico che potesse diventare un punto di riferimento per una scena giovane e creare in tal modo scambi e collaborazioni tra i creativi locali, quelli stranieri e il territorio. Con Flip ho cercato di riportare nella mia città lo stesso flusso di energia.
Il network e la forte comunità che si è creata con gli amici e i colleghi durante i miei ultimi 20 anni nomadici è parte fondamentale di questo progetto che senza di essa non sarebbe possibile. Infatti, immagino Flip come un progetto collettivo non relazionato prevalentemente ad un luogo fisico, ma come ‘materializzazione’ di dialoghi continui e collaborazioni che avvengono durante il tempo.
Il progetto inaugurale del nuovo spazio, “OUR SLICE OF TIME TOGETHER” racconta proprio di Flip Project come luogo fisico e mentale di incontri, relazioni e dialoghi inaspettati “fra” e “con” gli artisti. Il titolo proviene da un testo di Allison Grimaldi Donahue ed è un riferimento a Kathy Acker, una scrittrice che lei stima molto. Inoltre sembrava perfetto ed in linea con l’approccio di Flip, come dicevo, basato soprattutto su conversazioni e relazioni spontanee con colleghi che si conoscono bene e da tempo, quindi lontano da strategie. I lavori scelti si confrontano molto bene nello spazio ed ho voluto presentare tre artisti il cui approccio è da sempre direzionato verso una ricerca scultorea quasi organica e quasi viscerale. Hanno la porosità della materia, del corpo, della memoria e sono significativi nelle relazioni che raccontano e nelle forme di affettività che esprimono».
Il lavoro di Giulia Cenci sembra essere nato proprio nel luogo della mostra, è realizzato con materiali naturali, meccanici ed organici e assume la forma di un relitto futuristico, quasi come un’estensione dello spazio. Le opere di Michael Dean sono state realizzate a Napoli durante una residenza nel 2007 e mi sono state regalate da lui per entrare a far parte della voluminosa collezione di Flip Project. Il suo lavoro parte sempre dalla scrittura e attraverso un “diagramma informato” e influenzato dalle parole, prende forma il suo linguaggio personale. Troviamo una pietra in piperno proveniente dai Quartieri spagnoli, su cui è intervenuto pittoricamente con motivi geometri ed un esagono di vetro nero su cui ha incollato la fotocopia di una foto che riprende degli interventi a spray fatti durante una notte in giro per Napoli.
Il piccolo totem di pietre in equilibrio di Jorge Peris – tre pietre raccolte durante lunghe passeggiate sul lago El Palmar – vive di un’energia trasmessa dalle sue stesse mani e dalle vibrazioni che queste vivono/assorbono in studio.A contribuire invece con un approccio performativo al progetto è Allison Grimaldi Donahue con il testo scritto e recitato in pubblico per l’occasione, The Shapes Narcissus Sees: My Angles All Rest in Your Shadow, che crea un sottile filo narrativo mettendo in relazione le opere in mostra, lo spazio, il pubblico. InoltreVicky K. ha contribuito con una performance sonora, utilizzando come stage il negozio di Frutta da Gaetano, antistante lo spazio di Flip».
Come si articola il programma di Flip? Per quale pubblico è pensato?
«Il programma è molto libero, nel senso che asseconda il flusso continuo di discussioni e relazioni che come dicevo, avvengono con i colleghi, anche oltreoceano. Spesso alcuni prendono forma, altri si trasformano. Ci tengo a evidenziare che il progetto è possibile soprattutto grazie al generoso supporto di amici e colleghi che in occasione del lancio di un breve crowdfunding mi hanno aiutato a raggiungere una piccola somma che si è dimostrata utile ai fini dei lavori di restauro; poi ci sono altri sponsor tecnici che mi hanno aiutato, come in questo caso: London, negozio storico del centro, sempre attento alle giovani tendenze; Avantgarden, fantastico B&B che ha ospitato alcuni degli artisti; Collezione Agovino che, con la sua collezione, promuove e sostiene continue collaborazioni.
Questa esperienza riflette quindi la natura intrinseca degli spazi gestiti da artisti, i quali riescono sempre a reinventarsi nonostante la loro precarietà. La storia ci insegna, e si ripete: le realtà̀ più̀ piccole hanno sempre avuto un ruolo importante per il loro apporto in termini di libertà di visione, discussione, rendendo necessarie nuove dinamiche e nuove estetiche all’interno del sistema dell’arte, e rappresentano la reazione a momenti di crisi generalizzata.
Negli ultimi anni, inoltre, stiamo assistendo a un interesse crescente e a una maggiore apertura da parte delle fiere e delle istituzioni verso gli spazi no-profit, a dimostrazione che forse ne abbiano compreso il potenziale culturale e creativo. I nostri progetti non sono pensati per un pubblico particolare, sono pensati in quanto progetti, poi se un determinato pubblico si avvicina, che ben venga, e l’apertura di questo nuovo spazio ha le caratteristiche giuste per permettere ciò.
Infatti Flip Project avvierà un programma di eventi con artisti e creativi nazionali e internazionali invitati a interagire con lo spazio della cappella, coinvolgendo il contesto sociale circostante ed anche il negozio di frutta attiguo, Ortofrutta da Gaetano. Come in molti progetti precedenti, Flip Project intende avvicinare un pubblico vario, composto da chi è solitamente interessato alla scena artistico-culturale, ma anche dai passanti, dagli studenti, dai frequentatori abituali del centro storico e dai suoi abitanti.
Questo nuovo progetto culturale è ambientato in una suggestiva cornice: una cappella gentilizia degli anni 50. Come mai avete scelto questa sede? Come dialoga con il contesto sociale e culturale circostante?
«Ho spesso avuto la necessità di cercare un nuovo luogo “fisico” per Flip, anche se come accennavo prima, non è il core del progetto. In ogni caso, avere la possibilità di uno spazio a Napoli, e poter seguire contemporaneamente altri progetti, era una bella possibilità, in quanto questa città vive di una forte energia anarchica e gli amici sono sempre affascinati a esplorarla.
L’incontro con questo luogo è stato quasi casuale, una cappella finto-rinascimentale, in quanto edificata negli anni ’50 ha sempre suscitato l’attenzione di molti curiosi, un posto davanti al quale si passa spesso, localizzato nel cuore del centro di Napoli e anche della vita notturna, a due passi da Piazzetta Nilo. Il caso ha voluto che una cara amica artista che viveva lì, me lo abbia proposto, vedendo in Flip il potenziale per far rivivere quel luogo. Ovviamente il percorso è stato abbastanza lungo, tra burocrazia e lavori di restauro, but here we are finally!
In merito alla tua seconda domanda, come già accennato precedentemente, questo luogo è situato nel cortile di un palazzo, non un white cube tradizionale che devi andare di proposito a visitare ma un luogo di passaggio che inevitabilmente “incontra” l’abitante del condominio, l’ospite dei B&B ed i passanti. Il progetto è stato accolto favorevolmente dal vicinato, in quanto hanno visto rinascere una cappella che è stata finalmente recuperata dopo un lunghissimo periodo di abbandono. Ovviamente ci sono sempre quelle persone che bisogna riuscire a sensibilizzare, ma questo è anche il ruolo dell’arte».
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