Nella sua ultima mostra personale “Il Re Mago i Predicatori e gli Strimpelli Sabatali”, visitabile fino al 31 luglio negli spazi della Galleria Simone Aleandri Arte Moderna, Enzo Cucchi presenta una serie di disegni e una scultura in bronzo, parte della sua più recente produzione. L’esposizione, a cura di Mario Finazzi, conferma il rigore della ricerca scientifica della Galleria Simone Aleandri, specializzata in disegno e incisione moderna e contemporanea.
Nelle esplorazioni di Enzo Cucchi, le epifanie materiali si comportano come corpi restituiti dai flutti, che finalmente approdano alla vista dopo un lungo e segreto navigare. Ogni forma si manifesta come una deriva, moto di quella pulsione originaria e primitiva che è il disegno, che nell’opera dell’artista marchigiano si impone come impulso antropologico indomabile.
Le sue dinamiche compositive coagulano un senso di straniamento che emerge non solo dalla giustapposizione dei soggetti, uniti in un vincolo umbratile di intesa o dissonanza, ma anche da quella dei supporti, grazie alla creazione di appendici cartacee e scarti materici che si fanno forma poetica. Quello di Enzo Cucchi è un segno storico che connette tempi e spazi dissimili, distillati in un immaginario fatto di irruzioni e fantasie, sospensioni e intervalli della medesima storia universale.
Nella sua produzione, la natura geroglifica del segno apre ad una dimensione atavica che contiene in sé letterarietà e figura, imponendosi come atto poetico e originario. Come si collocano queste riflessioni nel contesto di questa mostra?
È proprio da questi aspetti che origina il senso di questa operazione. Oggi il contemporaneo ha smesso di occuparsi del segno, ma questo rimane ancora un’arma micidiale. Gli artisti che oggi continuano a indagare il segno hanno pochissimi strumenti per comunicare con la critica, o con quella che potremmo definire la classe intellettuale di oggi.
Disegnare significa occuparsi di distanze, armonie, pesi e misure: sono questi gli strumenti con cui lavoro, e sono quelli essenziali per riuscire a immaginare qualsiasi cosa. Altrimenti ci si ferma alla mera decorazione. Il Re Mago è un’opera che abbraccia questo tipo di approccio: interagendo nello spazio con il suo volume, non si riferisce ad altro se non a sé stessa e alla sua forma.
In effetti è facile osservare come nella ricerca artistica contemporanea tutto sembra dover essere necessariamente estroverso, riferirsi a qualcosa d’altro. Risulta sempre più difficile che un’opera riesca a catalizzare tutto il discorso internamente a sé stessa.
Beh, certo che è difficile! Ma è proprio questo che vuol dire fare un’opera, altrimenti si tratta di un altro mestiere.
Nei disegni di grande e piccolo formato esposti in mostra vediamo comparire delle appendici, inserti materici che vanno a intervenire sulla fisicità del foglio creando degli scarti dimensionali in cui il disegno approda ad una nuova natura. Vuole parlarcene?
Queste opere vanno a intervenire sulla questione della cornice intesa come delimitazione dello spazio di lavoro dell’opera, o ancora dello spazio entro il quale una cosa è autorizzata. La giustapposizione dei diversi supporti è presente negli Strimpelli Sabatali e nei Predicatori. Si tratta di disegni che facevano parte di un album, ma è stato interessante pensarli in un contesto spaziale. Alcuni di questi elementi sono molto liberi, sono disegni fatti su frammenti di materiali che trovavo attorno a me. In generale, per me ogni ciclo è frutto di un continuo tentativo che si protrae fino allo stabilirsi di un nucleo che funziona e che riesce a raggiungere una sua coerenza. Il disegno naturalmente è centrale. Dietro ogni grande artista del passato c’è il disegno che, come lo intendo io, è una cosa estremamente complessa.
Non a caso, diversi artisti e pensatori nel corso dei secoli hanno identificato il disegno come forza originaria di tutte le successive manifestazioni artistiche. Mi vengono in mente Vasari, Ingres, Dalì…
È così. Il disegno è un intorno a sé che bisogna tentare di controllare: è come una bestia feroce. Così, di contrasto, per affrontare l’idea del disegno ci vuole una ferocia unica. E riuscire a recuperare il valore del disegno aprirebbe su tutto, fornirebbe un nuovo modo per vedere le cose.
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Ricorda però, il disegno, il saper fare il disegno è di pochi.
Per chi lo studia e lo insegna da più di 50 anni, è sempre viva la percezione, di quanto ancora si può esplorare e ottenere da un " semplice" tratto su un foglio.
Una matita ed un foglio bianco sono sufficienti per creare un mondo....anche Il disegno,quella bestia feroce, non accetta nessuna limitazione.
In teria potrebbero tutti in pratica pochi lasciano il segno
Il disegno è la prima e più elevata opera d'arte perché è l'ORIGINE ancestrale dell'intimo umano. Oggi viene troppo spesso sminuito e poco interpretato.