Immaginifico paroliere e instancabile ricercatore di quelle crepe della realtà che aprono spiragli sugli sconfinati orizzonti dell’invenzione giocosa. Raddoppiare dimezzando è il titolo della mostra dedicata ad Alighiero Boetti, Maestro dell’Arte Povera anni ’60. Allestita sotto l’Alto Patronato della Repubblica e inaugurata all’Accademia di San Luca, a Roma, con la curatela di Marco Tirelli e la collaborazione di Caterina Boetti, Presidente della Fondazione a lui dedicata, la rassegna, omaggia il trentennale dalla scomparsa di Boetti (Torino, 1940 – Roma, 1994). Si torna a fare luce sulle molteplici strade di ricerca battute dall’artista nell’arco della sua carriera, ove il tema del doppio e quello del tempo, giocarono un ruolo fondamentale.
La formula sdoppiante Alighiero & Boetti, visionaria invenzione battesimale, è già in sé custode di un segreto svelato, poiché la congiunzione che divide, rappresenta in realtà la chiave per la creazione di un unicum: una sequenza di sedici lettere a formare uno dei suoi innumeri quadrati magici. Un nome che raddoppia dimezzando, testimone di un’autonomina dal sapore quasi-magico e metafisico. A riecheggiare ciò che aveva fatto Andrea Francesco De Chirico, quando a Parigi, nel 1914 – iniziando a farsi conoscere quale artista poliedrico, musico e scrittore, adottò – per discostarsi da suo fratello, il “Maestro Giorgio”, il nome di Alberto Savinio.
L’esposizione è tripartita. Ad accogliere la fruizione, nel porticato borrominiano, è l’Autoritratto in bronzo del ’93. Una scultura installativa nella quale Boetti si presenta come un nuovo Leonardo, studioso di scienza, appassionato della trasformazione degli elementi, spirito errante, “mistico romantico” (nella sua definizione di 16 lettere). Un’opera che comunica al mondo la sua vicinanza a quelle forme di spiritualità primordiali, proprie di stregoni, folli e poeti, di cui Boetti andò nutrendosi in vita, spaziando tra la magia matematica di Pitagora e il sufismo islamico.
Il divertissement boettiano per liste, forme, elenchi e matrici si faceva già chiaro negli anni ’60 e ’70, quando Alighiero o l’altro, elaborava codici segreti da rintracciare nella disposizione dei francobolli e nella sequenza delle buste spedite, affidandone le sorti al tempo e al caso… poiché una lettera può anche perdersi e così ingarbugliare una successione studiata. Erano gli anni nei quali On Kawara iniziava la sua Today Series, tanto che Germano Celant accumunò i due artisti, pur conscio del fatto che non si fossero mai conosciuti. Anni nei quali Roman Opalka, meravigliosamente, iniziava l’opera 1965/1 – ∞. Anni in cui si faceva potentemente strada l’arte strabiliante e minuziosa del Date painting.
Di questo si permea il Salone d’Onore dell’Accademia di San Luca, accogliendo l’Opera postale (De bouche à oreille) di Boetti. Un lavoro colossale, summa di molte indagini, creato in collaborazione con le poste francesi e composto da 506 buste e 506 disegni a tecnica mista. Dove tra scritte ed effigi si trova anche traccia della “performance postale” boettiana, immortalata in una fotografia di Paolo Mussat Sartor, nella quale l’artista a braccia aperte, scriveva, in quel venerdì santo, con entrambe le mani, simultaneamente, e in due direzioni: Oggi è venerdì ventisette marzo millenovecentosettanta.
L’Opera postale del ’93, è anche il coronamento di un gioco che Boetti portò avanti a partire dal ’78, quando all’avvicinarsi si ogni Capodanno, realizzava Calendari da regalare agli amici, reinventandone uso e destinazione. Gesti d’incantamento e fascinazione, sortilegi d’invito ad una riflessione sulla temporalità, a proposito dei quali ragiona molto dopo Umberto Eco nel suo saggio La vertigine della lista (2009).
Oltre al grande polittico Storia naturale della moltiplicazione (1974-1975), la Sala Bianca dell’Accademia accoglie due opere iconiche del “mago” Boetti: Io che prendo il sole a Torino il 19 gennaio 1969 (1992) e Gemelli (1968). Lavori densissimi di significazione. La sagoma sdraiata in blocchetti di cemento a presa rapida, ha in nuce l’idea dell’uomo Vitruviano oltre che della scultura. E la farfalla posata sulla spalla appare quasi un anaffettivo richiamo ad una Déjeuner sur l’herbe.
Il fotomontaggio gemellare, eseguito da Mario Ponsetti su indicazione di Boetti, anticipa il Self-Portrait with Friends (1975) di Saul Steinberg, nel quale l’artista adulto prende per mano il sé stesso bambino. Al di là della predilezione per la frontalità boettiana dell’opera, qui a dominare sono i temi del doppio e della magia effimera, cui Boetti si appassiona anche per il vezzo di suo padre di creare Fleep Books con immagini di oggetti quotidiani. Impossibile non menzionare, Shaman & Showman, che, seppure non presente in mostra, è il vero anello mancante della serie che lega l’installazione con farfalla e la foto dei Gemelli. Quella foto ritoccata nello stesso anno, nella quale all’Adamo Kadmon del Solar, il Libro della Genesi del mondo, connesso con le dottrine esoteriche dell’ebraismo e della Cabala, Boetti sostituisce il proprio volto. L’uomo emerge dagli abissi e soffia sul proprio riflesso, innescando la logica boettiana del “mettere al mondo il mondo”.
Il montaggio dello sciamano e uomo dello show, informa il secondo, annunciando chi sono e dove vanno quei due gemelli che si danno la mano. Essi non sono il riflesso l’uno dell’altro, ma identità complementari. Alighiero non è Boetti: “io sono io, lui è lui”, disse l’artista nel ‘72. Sul tema del doppio, che andava dilagando anche nella nostra Neoavanguardia – basti pensare al Salto mortale di Luigi Malerba – Boetti lavorò tutta la vita. Ne completa la riflessione quell’Autoritratto in negativo (1971) realizzato per la mostra When Attitude Become Form, oggi introvabile, scomparso con lo stesso mistero in cui era apparso e di cui resta però un ricordo nel catalogo. Il volto di pietra appare accanto al volto vivo dell’artista (non a caso il sottotitolo della rassegna era Live in Your Head). Anche qui due fratelli gemelli, sdraiati a terra, rivolti al cielo. Negativo e positivo, uomo e sasso, carne e pietra, concavo e convesso, Alighiero e Boetti.
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