Visibile a partire da maggio 2021, tra la West 30th Street e la 10th Avenue, Untitled (drone) è la nuova e spiazzante opera di Sam Durant, commissionata dalla High Line Art di New York, associazione che gestisce il parco d’arte costruito su una storica linea ferroviaria sopraelevata di Manhattan e diretto da Cecilia Alemani. Il lavoro rappresenta un promemoria sulle atrocità commesse dall’uomo attraverso il mezzo tecnologico, è la possibilità di animare un dibattito rendendo noto al grande pubblico dell’attualissima, perpetuata e intenzionalmente oscurata guerra dei droni nel mondo.
Modellata sul drone General Atomics MQ-1 Predator – utilizzato dalle forze armate statunitensi a partire dal 1995 per condurre ricognizioni e attacchi aerei in paesi come Afghanistan, Iraq, Libia, Pakistan, Siria, Somalia e Yemen – Untitled (drone) si presenta come una scultura a grandezza naturale in vetro resina, privata di telecamere, armi e carrello di atterraggio per apparire come un uccello modernista che si libra nel cielo. Un’opera d’arte cinetica, emblema del contesto politico, fluttuante come il vento, e in grado persino di confondersi con le nuvole.
Correva l’anno 2012 quando, in occasione di Documenta 13, Sam Durant presentò una “macabra impalcatura in legno” simbolo delle esecuzioni capitali avvenute negli Stati Uniti tra Otto e Novecento. L’opera, rinominata Scaffold, che generò un vero e proprio caso mediatico, era stata concepita dall’artista come metafora sociale e di denuncia contro la pena di morte e le discriminazioni razziali. Eppure l’artista di quella macchina celibe – che non mirava alla creazione di un memoriale, piuttosto a un avvertimento contro l’oblio del passato – non tenne conto della sensibilità di chi voleva tutelare. Un cosiddetto errore “creativo” che diede il via a sabotaggi da parte di leader politici, polemiche dal mondo artistico e all’indignazione generale.
L’artista infatti, appropriandosi di un simbolo saturo di reminiscenze storiche, si trovò a fare i conti con le prese di posizione dei rappresentanti della comunità locale del Dakota, per i quali l’opera non suonava come evocazione allegorica di un nodo storico e politico degli USA, piuttosto come un oltraggio verso quei nativi americani sulla cui memoria pesano storie di genocidi, di emarginazione e di violenza razziale. «Un monumento all’orrore» fu definito, una messa in scena della violenza che generò un’irreparabile offesa.
Destinata a morire giovane, l’opera, acquistata nel 2017 dal Walker Art Center di Minneapolis, fu smantellata e poi bruciata con l’impegno solenne di non riprodurla mai più. La mancata comunicazione con la comunità, la cui storia dolorosa era al centro del progetto artistico, si rivelò il punto debole di un lavoro complesso, formalmente e concettualmente rigoroso, che intendeva tramutare la testimonianza in denuncia.
Emotivamente segnato e cambiato da quel controverso episodio, Durant è tornato oggi a raccontare della struttura politico sociale americana in una chiave più attenta e sensibile, senza perdere però quel fare critico intento a veicolare ciò che spesso viene nascosto, censurato o dimenticato.
I riflettori questa volta vengono puntati su un’America che pratica finta diplomazia, che sembra aver innovato le regole dello “ius ad bellum”, rendendo possibili esecuzioni più capillari e allo stesso tempo più silenziose, un’America che si fa forte del controllo sociale, del condurre operazioni militari e di sorveglianza attraverso l’utilizzo di droni, in contesti tra loro eterogenei, caratterizzati da conflitti armati, internazionali e non, ma anche da situazioni di grave instabilità, al punto da caratterizzare la stessa strategia di contrasto condotta dal governo statunitense (in particolare sotto la Presidenza di Barack Obama e di Donald Trump) nei confronti di gruppi terroristici di matrice fondamentalista.
L’arte contemporanea si mostra ancora una volta un’arma potentissima, in grado di raccontare mondi lontani, di mostrare ciò che rimane spesso precluso o proprietà di pochi, di far emergere conflitti provando a sanarli, costruire consapevolezze e coltivare sensibilità nuove, lasciando allo spettatore la responsabilità di situarsi in rapporto all’artefatto e scegliere da che parte stare.
Al Museo Nazionale di Monaco, la mostra dedicata all’artista portoghese Francisco Tropa indaga il desiderio recondito dell’arte, tra sculture, proiezioni…
Alle Gallerie d'Italia di Vicenza, in mostra la scultura del Settecento di Francesco Bertos in dialogo con il capolavoro "Caduta…
La capitale coreana si prepara alla quinta edizione della Seoul Biennale of Architecture and Urbanism. In che modo questa manifestazione…
Giulia Cavaliere ricostruisce la storia di Francesca Alinovi attraverso un breve viaggio che parte e finisce nella sua abitazione bolognese,…
Due "scugnizzi" si imbarcano per l'America per sfuggire alla povertà. La recensione del nuovo (e particolarmente riuscito) film di Salvatores,…
Il collezionista Francesco Galvagno ci racconta come nasce e si sviluppa una raccolta d’arte, a margine di un’ampia mostra di…