-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Il “Grand Opening” di Galleria Anselmi
Arte contemporanea
La Galleria Anselmi, il 15 ottobre, ha rinnovato e ampliato il proprio spazio espositivo a Roma. In questa occasione è stata presentata al pubblico anche una mostra dal titolo “Grand Opening”, visitabile fino al 20 dicembre 2020. Sedici artisti, italiani e stranieri, raccontano l’identità della galleria.
A ridosso di Villa Ada, uno dei polmoni verdi della capitale, sorge la Galleria Anselmi, fondata nel 2013 a Berlino da Rolando Anselmi e poi cresciuta grazie ad una piccola project-room, aperta nel 2016 a Roma. Oggi quella piccola project-room è stata trasformata in una galleria bilivello di 500 metri quadrati che merita senza dubbio una visita. La struttura architettonica – costruita utilizzando materiali di pregio come il marmo, per esempio – ruota attorno al bianco e nero, laddove a quest’ultimo è affidata per lo più la definizione dei dettagli. Il risultato che ne deriva è altamente positivo: l’ambiente dai tratti moderni risulta assai piacevole a livello estetico e non interferisce con la corretta fruizione delle opere da parte degli spettatori.
In questo contesto ha preso avvio un progetto espositivo degno di un contenitore così importante. La mostra collettiva si intitola per l’appunto “Grand Opening” e mira a raccontare il passato, il presente ed il futuro della galleria. Il passato è rappresentato da quegli artisti che oggi come allora hanno continuato a dimostrare fiducia al fondatore; il presente è rappresentato, invece, dallo spazio appena inaugurato, mentre il futuro dalle più recenti acquisizioni in termini di collaborazioni professionali. Luca Vitone, per esempio, è entrato a far parte della “scuderia” da poco più di un mese.
In definitiva, gli artisti rappresentati dalla galleria e dei quali è possibile trovare almeno un esemplare in mostra sono Giorgio Andreotta Calò (1979, Italia), Gianni Caravaggio (1968, Italia), Jodie Carey (1981, Inghilterra), Guglielmo Castelli (1987, Italia), Li Gang (1986, Cina), Valerie Krause (1976, Germania), Asger Dybvad Larsen (1990, Danimarca), Dominik Lejman (1969, Polonia), Moris (Israel Meza Moreno, 1978, Messico), Gianni Pellegrini (1953, Italia), Arcangelo Sassolino (1967, Italia), Vincenzo Schillaci (1984, Italia), Santiago Taccetti (1974, Argentina), Ignacio Uriarte (1972, Spagna), Luca Vitone (1964, Italia), Johannes Wald (1980, Germania). Alcuni lavori sono stati creati appositamente per l’occasione.
Nella sala all’ingresso ci si imbatte in due opere realizzate da altrettanti autori italiani e stranieri. Li Gang riesce perfettamente nell’ardua impresa di coniugare la storia e la tradizione della Cina con la contemporaneità. Infatti, con Vowel egli fissa un vaso cinese al muro grazie ad una struttura in ferro che assomiglia ad un sistema di amplificazione moderno, suggerendo tra l’altro una relazione con i concetti di suono e ascolto. Invece, Arcangelo Sassolino propone Piegare il tempo, una lastra di vetro piegata al limite delle sue possibilità, sfidando la resistenza della materia e contemplando il rischio di una sua frantumazione.
Nella parte opposta della sala sono esposte tre opere che hanno a che fare con il tema dell’assenza e dell’immaginazione, laddove l’immaterialità occupa lo stesso spazio dell’oggetto e ne completa il significato. Sul pavimento La nebbia dissolta dalla pioggia di Gianni Caravaggio, una scultura in alabastro bianco in cui forme prevalentemente tonde si alternano in un gioco di pieni e vuoti. Quel materiale è stato scelto per rimarcare il contrasto tra la sua pesantezza e la totale levità dello spazio invisibile che il marmo stesso va a definire. Sulla parete, il dipinto di Gianni Pellegrini è costituito da una sovrapposizione di strati di pittura impercettibili. L’assenza di segni porta lo sguardo a perdersi in una struttura di luci e profondità che si alternano in un supporto le cui caratteristiche fisiche appaiono al limite dell’evanescenza. Questa ambigua materialità è messa a confronto con la vicina Untitled (Hessian and Canvas) di Jodie Carey, in cui lunghi lembi di tessuto intrecciato vanno a creare un oggetto scultoreo che sfida la permanenza e la solidità di solito ad esso associate.
Dall’altro lato della stanza, anche Giorgio Andreotta Calò, con Annunciazione, interpreta la poetica dell’assenza, offrendone un punto di vista del tutto personale. Si tratta di una stampa che fa parte di un insieme di lavori realizzati ponendo la carta fotosensibile a contatto con una vetrata storica della monumentale Oude Kerk di Amsterdam. L’immagine negativa, generata dall’impatto dei sali d’argento con la luce solare filtrata dalla finestra, rivela così il processo del tempo registrato sulla materia, traendo la sua forma dall’ambiente e dalle energie sprigionate al suo interno. Proseguendo nel percorso espositivo, si giunge a Restless Tension di Valerie Krause, opera in cui l’artista tedesca definisce la propria esistenza nello spazio. Il suo lavoro è il risultato di una profonda indagine sull’occupazione spaziale, la transitorietà ed il dinamismo intrinseco delle strutture fisiche, coprendo così una dimensione materiale ed emotiva al tempo stesso.
Al piano inferiore non poteva mancare un dipinto di Guglielmo Castelli, giovane e talentuoso artista di Torino tra i protagonisti dell’ultima edizione della Quadriennale di Roma. Qui le figure plasmano uno spazio personale e interiore, evocando atmosfere fluide in cui bellezza, sensualità e malinconia si mescolano fino a confondersi e fino a generare un ossimorico “caos composto”. La permanenza e la scomparsa della memoria caratterizzano Calliope, parte della serie Corteggiamento di Luca Vitone, un gruppo di installazioni dedicate alle Muse, ciascuna composta da tre elementi: un oggetto di arredo popolare, luci e uno strumento musicale la cui pratica esecutiva è andata perduta. Come spesso avviene nella sua ricerca, Vitone propone una riflessione a proposito del concetto di identità dei luoghi e del patrimonio. Moris (Israel Meza Moreno) costruisce registrazioni delle dinamiche sociali della sua area urbana d’origine, caratterizzata da un’elevata complessità sociale e culturale. In Ciudad de tumbas abiertas, le contraddizioni del tessuto urbano sono associate alle Carceri di Giovanni Battista Piranesi. Il carcere diventa emblema dell’esistenza, condizione per individuare la lotta tra interiorità soggettiva e realtà collettiva.
Tuttavia, ripetizione e metodo caratterizzano il disegno di Ignacio Uriarte, dove un agglomerato di linee vibranti forma una sorta di tessuto testuale. Quelle linee, da spesse e riconoscibili nei bordi, si schiariscono verso il centro, creando un campo monocromatico quasi sospeso nel tempo. È possibile trovare una struttura temporale simile nei dipinti di Vincenzo Schillaci, in cui, grazie a strati di pittura e stucco, viene analizzato il linguaggio del medium pittorico. Il paziente processo di stratificazione al quale l’artista si sottopone non è soltanto un modo per scandire il tempo, ma anche una regola per costruire una grammatica in grado di circoscrivere lo sconfinato campo in cui si muove la pittura. Untitled (model for a self) di Johannes Wald incarna, come suggerisce il titolo, le riflessioni sull’immagine di sé come artista. Il suo lavoro si muove nell’ambito della materia, spingendo al limite la stessa idea di scultura, con la volontà contraddittoria di tradurre in forma qualcosa di instabile e perennemente mutevole che è al di là della materialità stessa.
Dominik Lejman spazia tra video e pittura, laddove materia e immagine risultano fuse in un unico elemento. Afterparty è una tela monocromatica che improvvisamente si trasforma in un palcoscenico in cui una ballerina è ritratta come una presenza spettrale. Poco più avanti è possibile distinguere Untitled di Asger Dybvad Larsen, una tela caratterizzata da forme geometriche ricavate da ritagli di tele immerse nel colore e cucite insieme. L’opera invita ad essere toccata per forma, composizione, struttura e materialità. Infine, Untitled (Einsatzbereich Innen – Außen) in cui l’autore, Santiago Taccetti, esplora la tecnica e la superficie. La ricerca dell’artista argentino si basa su una tensione continua tra elementi pianificati ed elementi determinati dalla casualità che possono verificarsi durante il processo creativo. Le tele non dichiarano alcuna teoria o figurazione, ma il processo della loro creazione, fissando i parametri fisici e concettuali per l’opera d’arte.