Il Mediterraneo si colora nei dipinti di Ludovic Nkoth. Da Luce Gallery, a Torino

di - 28 Aprile 2021

“You Sea Us”, in mostra alla Luce Gallery di Torino, è composta da dipinti su tela – figurativamente concentrati sull’esperienza tragica dei migranti deceduti nel Mediterraneo – maschere, realizzate con materiali vari tra cui sabbia, fango e legno, e piccole conchiglie di ciprea ricreate ad acquerello su carta. Le conchiglie, in particolare, vogliono simboleggiare gli spiriti dell’acqua, ovvero le anime dei migranti che, secondo l’artista, risalgono dal Mediterraneo come ‘angeli caduti’ per proteggere i futuri passeggeri. Nei dipinti di Nkoth, la scelta libera dei campi di colore e la corposità del materiale stesso hanno la capacità, rara, di restituire intensità e potenza ai volumi del mare, e allo stesso modo di dotare le figure di una carica espressiva altamente magnetica, andando così a creare immagini tanto palpabili nella loro concretezza quanto eteree; come lo sono infatti gli spiriti dell’acqua, o gli angeli caduti.

Nkoth, originario del Cameroon, si è trasferito da bambino in America. Dopo aver conseguito il Bachelor of Fine Arts all’University of South Carolina, si è spostato a New York dove ora vive e lavora. L’estate scorsa, durante la pandemia, ha deciso di viaggiare in Spagna per un breve periodo con l’intento di avvicinarsi alla situazione dei migranti nel Mediterraneo, per poi poterla esplorare attraverso le opere che compongono la serie ora esposta alla galleria Luce. «La mia idea era di viaggiare in Europa e realizzare queste opere sul suolo europeo, così da mostrare tutto ciò che le autorità si rifiutano di affrontare in casa propria. Durante la pandemia ho vissuto in Spagna per un paio di mesi, perché volevo sentire come sarebbe stato anche solo camminare in quella parte del mondo come un migrante di colore» ha spiegato Nkoth nel comunicato stampa dell’esposizione.

Abbiamo incontrato Ludovic per farci raccontare delle opere esposte in “You Sea Us”, in mostra alla Luce Gallery di Torino. Il video completo dell’esibizione è ora disponibile sul profilo Vimeo di Luce.

La tua rappresentazione degli spiriti dell’acqua mi ha ricordato Atlantics, un film del 2019 diretto da Mati Diop e ambientato a Dakar. La storia si concentra su un gruppo di ragazzi che muoiono in mare – dopo essersi imbarcati su una nave di migranti – e le cui anime ritornano in città, attraverso il corpo di alcuni vivi a loro legati, per ottenere vendetta sul capo che non li aveva pagati, contribuendo a rendere necessaria la loro decisione di imbarcarsi per un futuro migliore. Con alcune ricerche, ho scoperto che in Cameroon ogni anno si festeggia una cerimonia, chiamata Ngondo, dove la popolazione duala, o i sawa, omaggiano i loro antenati – le cui anime si crede vivano sul letto dei fiumi – attraverso offerte all’acqua; per ricevere in cambio fortuna e protezione. Da quello che ho letto, questi spiriti, e la loro profonda connessione con la popolazione vivente, sono ancora molto presenti nella cultura popolare. Hai preso come riferimento una tradizione in particolare, o hai un qualsiasi ricordo o pensiero che vorresti condividere sull’argomento?

«Non ho visto il film, però sono certamente d’accordo. Quando ero in Spagna, ho cominciato a dipingere le figure con solamente la testa fuori dall’acqua, e mi sono chiesto a cosa potesse portare quest’idea se esplorata più a fondo. Pensavo a loro come passeggeri sulla via del reame degli spiriti. Mentre continuavano a ricomparire, mi sono chiesto: e se queste figure stessero tornando da me come simboli di speranza? Come un faro nel mare? Li ho immediatamente visti come angeli che tornano indietro ad aiutare la gente… la mia gente. Man mano che i lavori continuavano a svilupparsi, ho cominciato a cercare un punto comune per questi angeli. La mia domanda era, come posso dar loro una forma fisica?

È a questo punto che ho cominciato a usare conchiglie di ciprea dipinte per rappresentare gli angeli e gli spiriti dei nostri antenati. Mi riferisco anche alla tradizione Ngondo, tramite cui la mia gente comunica direttamente con gli spiriti che vivono sott’acqua. Io personalmente non vi ho mai preso parte, ma mio papà sì. Dei miei primi anni in Cameroon ricordo che la mia famiglia ci raccontava sempre storie che avevano come protagonisti acqua e spiriti, ed è ciò che sto esplorando ora con questa serie».

In tutti i tuoi dipinti amo il modo in cui usi il colore e la materialità che prende forma sulla tela. Mi sono chiesta se hai un particolare legame emotivo con i colori e con la loro forma e se sei stato particolarmente ispirato da qualcosa o qualcuno a tal proposito.

«Ho una relazione molto profonda con i colori – a volte sento che usare uno specifico colore esprime qualcosa in più che esula dalla sua  funzione originaria. Per esempio, nei miei lavori i campi di colore tra le figure che dipingo sono spesso una rappresentazione diretta dell’aura o dell’anima di quella persona. In qualche modo, provo a dipingere lo spirito che è dentro di loro.

Nei miei dipinti, la fisicità dei colori è usata come mezzo per evocare familiarità con lo spazio che sto creando. Sono costantemente alla ricerca dell’idea di casa e del significato di famiglia. Queste sono alcune idee che mi hanno portato a introdurre elementi come la sabbia, il fango e il legno – che sono i materiali più utilizzati quando si costruisce realmente una casa. Nella mia pratica artistica, usare questi materiali e giocare con la loro materialità non mi permette solo di esplorare questi temi, ma mi restituisce anche la sensazione di poter costruire la mia stessa casa e, forse, lo sto già facendo con i miei dipinti».

Cosa significa la maschera per te, in quanto a simbolo artistico ricorrente?

«Ho cominciato a lavorare con le maschere dal 2019. Per me sono riferimenti tradizionali e culturali. A mano a mano che si sono sviluppate negli anni, hanno cominciato a comportarsi come simboli rappresentanti la mia gente. Si crede che i performers che indossano le maschere siano in contatto diretto con gli spiriti, e che quindi, mentre recitano indossandole, le stesse maschere entrino in contatto con loro. La mia intenzione è di far provare allo spettatore la magnificenza di queste cerimonie, e di comunicargli la profondità del loro significato».

Sei nato in Cameroon e poi ti sei spostato da molto piccolo negli Stati Uniti. Da quello che ho letto, lo scorso anno hai vissuto in Spagna per un periodo. Come ti sei sentito, come artista, in questi tre ambienti? Che differenze hai notato?

«Direi che esistere in questi tre spazi mi ha permesso di acquisire consapevolezza sull’importanza della mia pratica artistica e della mia voce in quanto a creatore. Quando ho vissuto in Spagna per qualche mese sono entrato in contatto con le idee politiche che ci sono in Europa attorno ai black bodies, che sono molto simili a quelle degli Stati Uniti. Credo che la differenza in Europa stia nel fatto che la maggioranza sceglie di ignorare questa conversazione. In Cameroon ho la possibilità di provare sulla mia pelle il vero significato di libertà, e non solo il suo ideale astratto. In Cameroon posso esistere semplicemente in quanto a essere umano; negli altri due ambienti, invece, sono nero prima di essere un uomo».

Nata a Modena nel 1998, sta concludendo la laurea triennale in Economia e gestione dei beni culturali e dello spettacolo all’Università Cattolica del Sacro Cuore, sede di Milano. Parallelamente ha lavorato come intern alla Collezione Maramotti a Reggio Emilia, e successivamente presso il Center for Italian Modern Art (CIMA) a New York.

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