Lisbona, 25 maggio 2023. Mentre Fernando Pessoa posa immobile nella sua «corazza» di bronzo al 120 della centralissima Rua Garrett (proprio davanti allo storico Café A Brasileira), nel settecentesco edificio industriale della Cordoaria Nacional, di fronte al fiume Tago nel distretto di Belém a Lisbona, è tutto un fermento. La Fiera Internazionale di Arte Contemporanea ArcoLisboa (25-28 maggio), promossa dalle istituzioni governative del Portogallo e realizzata con la collaborazione di Ifema Madrid e Câmara Municipal de Lisboa, inaugura la sua sesta edizione con un denso programma espositivo che vede il coinvolgimento di 86 gallerie internazionali, di cui 55 selezionate all’interno del programma generale curato da Maribel López (direttrice anche di ArcoMadrid) e 31 dei due progetti speciali di quest’edizione della fiera: «Opening» a cura di Chus Martínez e Luiza Teixeira de Freitas con la collaborazione di Diogo Pinto e «Africa Em Foco», focus sull’arte contemporanea africana, curato da Paula Nascimento.
«Ho cercato di non creare una sezione esotica, ma di mettere in dialogo l’arte contemporanea africana sia con la scena locale che con quella europea in una maniera molto naturale, anche attraverso conversazioni – «Millennium Art Talks» – organizzate da Egeac e curate da Marta Mestre e Angel Calvo Ulloa con ospiti provenienti dal Mozambico ed altri paesi.» – ha spiegato Paula Nascimento, architetta e curatrice angolana che insieme a Stefano Rabolli Pansera ha curato il padiglione angolano alla 55. Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia che nel 2013 vinse il Leone d’Oro per la miglior partecipazione nazionale – «Proviamo a collegare gli artisti e le opere nel continente e per il continente, in dialogo con gli artisti della diaspora e non solo. Si tratta di un programma molto aperto che, sebbene all’interno della fiera possa sembrare quasi invisibile, è realmente presente.»
Tra gli appuntamenti consueti quello dell’editoria d’arte, nella sezione ArtsLibris è un’eccellenza, mentre tra le novità più interessanti di ArcoLisboa 2023 c’è la proposta di undici mini personali («Solo Project») con le opere in parte inedite delle artiste e degli artisti Eugénia Mussa (Maputo, Mozambico 1978, vive e lavora a Lisbona), Fidel Evora (Praia, Capo Verde 1984, vive e lavora in Portogallo), Tulío Pinto (Brasilia 1974, vive e lavora a Porto Alegre, Brasile), Ana López (Argentina, 1955), Hong Zeiss (Taipei, vive e lavora a Vienna), Mané Pacheco (Portalegre, Portogallo 1978), Sidival Fila (Brasile 1962, vive e lavora nel Convento Francescano di San Bonaventura al Palatino, Roma), Alejandra Venegas (Messico 1986), Simon Ling (Bradford, UK 1968), Nacho Criado (Spagna 1943-2010) e FOD (Francisco Olivares Díaz – nato a Puerto Lumbreras, Spagna 1973), presentati rispettivamente dalle gallerie Monitor, Movart, Nosco, W-Galería, Zeller Van Almsick, Balcony, Baró, Dürst Britt & Mayhew, Greengrassi, José de la Mano e T20. Angola, Marocco, Mozambico e Sudafrica sono i paesi più rappresentati: è mozambicana anche l’artista Eugénia Mussa nella galleria Monitor (che insieme a Madragoa, fondata da Matteo Consonni con Gonçalo Jesus, rappresenta l’«enclave» italiana nella capitale del Portogallo; tra l’altro entrambe le gallerie hanno inaugurato in concomitanza dell’inaugurazione di ArcoLisboa 2023 le loro nuove sedi, rispettivamente a Rua da Páscoa 91 e Rua dos Navegantes 53a) con una serie di dipinti su tela realizzati appositamente per l’occasione che riflettono la memoria della sua infanzia a Maputo. «Queste opere – The pool jumps, The speed boat, The octant ed altre – parlano del gioco, di leggerezza. Solitamente l’artista lavora su carta e su grandi dimensioni ma per questo progetto, in un certo senso, è stata per lei una sfida quella di dipingere su tele di dimensioni più ridotte», spiega Paola Capata direttrice di Monitor. I prezzi vanno da un minimo di € 1.500,00 ad un massimo di € 5.600,00.
Al di là di opere più o meno «fotogeniche», figurative, astratte, coloratissime o concettuali (ad esempio Carried across a plain del 2006 di Lawrence Weiner da Cristina Guerra Contemporary Art, la più importante galleria nella scena artistica portoghese) è molto interessante il modo in cui numerose artiste e artisti appartenenti a generazioni diverse scelgano di lavorare sul tema dell’archivio come territorio di tensione tra passato e presente. Tema, peraltro, centrale nella conversazione di «Millennium Art Talks» dal titolo «Archives for Other (Hi)stories?» che ha visto la partecipazione di Pedro Barbosa, Pedro Felipe Hinestrosa, Titos Pelembe e Benjamin Weil.
In particolare, l’artista multidisciplinare brasiliana Íris Helena (1987), membro anche del gruppo Vaga–Mundo: Poéticas Nômades, nell’ambito del progetto Práticas de arquivo morto – Notas, indagine critica, filosofica, estetica e poetica del paesaggio urbano, ha realizzato anche la serie di «postcards» presentate dalla galleria Portas Vilaseca di Botafogo, Rio de Janeiro in cui si appropria di immagini del quotidiano per attivare una memoria collettiva «instabile». Una pratica di decolonizzazione dell’immaginario femminile della donna nera è, invece, quella delle artiste rappresentate dalla gallerista Emilie Demon, direttrice di Afronova Modern and Contemporary Art di Johannesburg: Owanto (1953), artista multiculturale nata a Parigi ma cresciuta a Libreville (Gabon) che nel 2009 ha rappresentato la Repubblica del Gabon alla 53. Biennale di Venezia con la mostra The Lighthouse of Memory – Go Nogé Mènè e Dimakatso Mathopa (Mpumalanga, Sudafrica 1995, vive e lavora a Johannesburg). Per Owanto lavorare sulle vecchie foto d’archivio in bianco e nero che raffigurano donne africane significa rompere il silenzio sulla condizione femminile. Nella serie Flowers (2018-2021) l’inserimento di fiori colorati di «porcellana fredda», plasmati mescolando amido di mais e colla vinilica, sulla superficie di alluminio della foto stampata introduce un concetto di resilienza attraverso una protesta in cui «i fiori mascherano il dolore e simboleggiano una rinascita». Quanto a Dimakatso Mathopa è la stessa artista nel progetto Individual Beings Relocated (2017-ongoing) a mettere in scena se stessa in uno «spazio coloniale» di cui ne ridefinisce i confini, attraverso la riappropriazione di una storia che appartiene anche a lei, in quanto donna-africana-nera. Mathopa ricorre all’utilizzo di tecniche fotografiche tradizionali come la cianotipia, arrivando anche a dipingere sulla stampa fotografica per enfatizzare il colore della propria pelle.
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