12 dicembre 2023

Il resto dell’alba: l’intervento di Patrick Tuttofuoco al MAN di Nuoro

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Cos'è un paesaggio? Quali sentimenti ci muove quando ne ammiriamo uno? Fino al 3 marzo 2024, al museo MAN di Nuoro si racconta Il resto dell'alba, un momento di dialogo fra arte e architettura, fra tempo e spazio. Un progetto in collaborazione con Pininfarina Architecture

Il resto dell'alba_MAN NUORO_Ph Alessandro Moni

Il resto dell’alba è un progetto polivocale, un’installazione site-specific che nasce dal dialogo fra l’artista Patrick Tuttofuoco, l’architetto Giovanni de Niederhäusern, vicepresidente di Pininfarina Architecture, e la curatrice museografa Maddalena d’Alfonso. Il progetto racchiude inoltre le voci, le forze e la collaborazione del Museo Archeologico Nazionale Giorgio Asproni di Nuoro, del Museo Archeologico Nazionale di Cagliari e dei molti partner tecnici. Lo spazio diviene un luogo esperienziale, di attraversamento temporale, un paesaggio esterno che si riversa, piegandosi e confrontandosi, in un luogo intimo, interno, una grotta spaziale che riflette sull’uomo e sul suo divenire. Entrando nella sala si viene catapultati in un paesaggio futuribile, in un luogo buio e sotteso tra due poli, segni tangibili del passato e del futuro.

Da una parte si trova il passato, il “da dove veniamo”, rappresentato da un piedistallo con sopra una teca che racchiude tre statuette nuragiche. Esse raccontano la storia, mostrano una cronologia ampia che si lega profondamente al territorio ed enfatizzano miti, presenze ed essenze, portando in scena segni iconici della nostra origine, del nostro retaggio arcaico.

Il resto dell’alba_MAN NUORO_Ph Alessandro Moni

In opposizione dialettica il “dove andiamo”, un doppio sole che emana una luce aurorale che si riflette e si espande sulla superficie amorfa della stanza. Come un miraggio, una scultura di luce, composta da una serie di neon colorati a mano, dispone la stanza: è un sole “quantico” piegato su sé stesso. Il tutto racconta un nuovo inizio, nuove prospettive dell’essere. Il sole che curva cambia forma crea collisioni con uno spazio quantistico dalle forme organiche, generando un panorama altro, un luogo del possibile. È un sole che mostra l’altra faccia dell’alba, quella “in procinto di”, quella col potenziale del divenire. L’intera stanza si orienta verso quel doppio sole cristallizzato, bloccato nel tempo che passa, che emana un’ampia cromia, una moltitudine di sfumature corporee che fissano quell’immagine così incorporea, un’aurora futuribile, un’epifania dell’alba.

Oltre alla scultura di luce e alle miniature nuragiche, l’ambiente è arricchito da una pelle, una lamina di alluminio naturale dalle forme plastiche e fluide. Un rivestimento progettato con strumenti di design parametrico di tipo generativo, interamente realizzato in alluminio, tagliato con una tecnica denominata mesh clustering, per ottimizzare l’uso del materiale e limitare ogni forma di spreco. La superficie amorfa, come un organismo vivente, ricopre quasi interamente la stanza e genera un paesaggio propositivo, uno scenario tecnologico. La mostra invita il visitatore ad immergersi in un dialogo tra i tempi, un dialogo sospeso tra passato e futuro, tra arte e architettura, tra spazio esterno ed interno. L’architettura che si genera è un richiamo all’immaginario digitale, un metaverso incarnato nel reale che diviene Ermes tra natura e tecnologia, delineando così un luogo circoscritto che genera sensazioni, che si propaga partendo da urgenze e visioni.

Completa la natura dell’installazione anche la sua storia, ossia quando e dove è nata l’idea del progetto. La curatrice d’Alfonso racconta che il processo creativo nasce due anni prima, quando a Milano si aprì un bando di concorso per la ristrutturazione del Museo del Novecento, che vedeva il ripensamento degli spazi interni, l’ampliamento del museo e la costruzione di un corridoio sospeso che unisse le due aree della nuova struttura. Il team, allora composto solo da Tuttofuoco e d’Alfonso, inizia a ideare paesaggi diversi, che spaziano da quello marino a quello futuristico. Sebbene il progetto non vinse il bando, fu lì che l’idea di un paesaggio a tema aurorale si fece strada, per trovare alla fine una geografia fertile su cui svilupparsi in Sardegna, al Museo MAN. Ecco allora un nuovo paesaggio, uno scorcio di tempo che invade spazi.

Il resto dell’alba_MAN NUORO_Ph Alessandro Moni

Non è forse un paesaggio anche ciò che vide Zaratustra prima di abbandonare la montagna, prima di salutare quell’ultimo tramonto? “Il resto dell’alba” riflette sull’uomo e sulle urgenze del nostro presente, conduce una riflessione su temi comuni e attuali da affrontare con premura sempre maggiore. La mostra parla di futuri possibili, che vanno oltre l’ormai diffusa visione distopica della realtà. È un invito a pensare a tempi in transito, in cui si affrontano temi riguardo al cambiamento climatico, alle nuove soluzioni progettuali, al design sostenibile che mira alla riduzione degli sprechi e alla consapevolezza delle materie prime. Essa proietta sensazioni del possibile, futuri non utopici, ricchi di connessioni e di emozioni.

Tema centrale è quello del cambiamento del paesaggio, un ribaltamento formale dell’immagine contemporanea. Vi è la proiezione di un mondo che va oltre, un mondo non immaginario ma portato avanti, che cerca di riorganizzare strutturalmente tutte quelle visioni complessissime e spesso utopiche, o distopiche, che prefigurano le cartografie del futuro. Ecco allora l’idea dell’aurora, quel momento che trasfigura quelle forme all’orizzonte, forme note che diventano miraggi. L’alba è assunta come momento del possibile, quella porzione di tempo minimo in cui avviene il passaggio dalla notte al giorno, un brevissimo momento che segna infiniti nuovi inizi. Si rimane lì, davanti a quelle pieghe del sole, a stomaco vuoto, in uno spazio sospeso ad ammirare quella placida e timida luce intenta ad albeggiare. Noi, cristallizzati nel tempo, attraversati da cronologie, proiettiamo lo sguardo verso un’alba di sussistenze.

«Il sole è un astro che segna il cammino verso uno sviluppo equo e sostenibile».
Harald Szeemann

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