Camminando nel verde degli splendidi giardini dell’Hotel Cipriani testimoni delle scorribande amorose di Giacomo Casanova, lo sguardo viene attratto dallo scintillio di una costruzione: è una piccola casa disegnata come la disegnano i bambini, l’archetipo della casa. Realizzata però non in legno o cioccolata, bensì con quattro tonnellate di vecchissime pentole e utensili da cucina di alluminio, provenienti dall’India.
Sulla soglia di questa casa, ad accogliere gli ospiti c’è proprio lui, un sorridente, affabile Subodh Gupta (1964, Khagaul, India) con il grembiule da chef che – insieme ai suoi collaboratori – invita le persone ad accomodarsi intorno alla tavola.
All’interno della sua installazione, ha inizio la performance incentrata sul rito dell’accoglienza e della condivisione del cibo preparato dall’artista per essere goduto dallo “spettatore”.
“Gli oggetti che ci circondano e oggi ci offrono un confortevole riparo, un tetto sotto il quale riunirci – racconta Gupta ai commensali -, hanno avuto una lunga vita. Migliaia di persone hanno mangiato servendosi di questi utensili che stavano per essere rottamati e ai quali, invece, ho dato una seconda vita. Ora sono loro i testimoni del ripetersi del rito ancestrale della condivisione del cibo”. Gli utensili quindi, come testimoni prima di destini individuali, ora di destini cosmologici comuni, creano un nuovo spazio rituale collettivo.
Gupta descrive ogni delizioso piatto che offre ai suoi ospiti e precisa che è cucinato con ingredienti sani e semplici. Si tratta di piatti tipici della tradizione tanto del nord, quanto del sud dell’India, cucinati con passione. Non ricette speciali, ma cibo – come il bhel puri o il daal – che l’artista prepara anche per sé e per gli amici in India, perché per lui cucinare è un rito quotidiano attraverso il quale esplorare gli aspetti socio-politici del mangiare.
Il lavoro di Subodh Gupta sui rituali e sul simbolismo della preparazione e del consumo del cibo ha acquisito un significato crescente nel corso degli anni (la prima rappresentazione di Cooking the World risale ad Art Basel 2017), tanto più in un’epoca così divisiva come quella in cui viviamo: se infatti per le culture occidentali riunirsi intorno alla tavola indica un senso di legame familiare, di amicizia e di intimità, nelle comunità indiane questo rito assume valori ancora più alti perché convivono molti gruppi religiosi e culturali diversi ed ognuno si riconosce nelle proprie abitudini alimentari, da ciò che mangia (o non mangia): il cibo in India è un importantissimo gesto di inclusività e di appartenenza.
Del resto il titolo di questa performance è stato preso in prestito dal saggio dello storico delle religioni, orientalista e indologo francese Charles Malamoud (“Cooking the World: Ritual and Thought in Ancient India”, 1987) un riferimento per l’artista indiano, che riconosce alla cultura e alla filosofia del Subcontinente la grande capacità di “pensare attraverso il rito”.
La performance di Subodh Gupta è tra gli eventi che hanno inaugurato questa 59° Biennale di Venezia e la scelta dell’Hotel Cipriani non è casuale: come ha annunciato Lorenzo Fiaschi – uno dei tre fondatori della Galleria Continua con cui da più di vent’anni Gupta collabora – questa performance inaugura un progetto tra la prestigiosa e inarrestabile galleria d’arte contemporanea Continua e la catena alberghiera Belmond: quattro tra i più affascinanti hotel d’Italia diventeranno spazio espositivo per installazioni e performance i altrettanti artisit. Un progetto che prende il nome di MITICO e che vedrà coinvolti – oltre, appunto, a Gupta a Venezia -, Leandro Erlich a Villa San Michele a Firenze, Michelangelo Pistoletto al Castello di Casole in Toscana e Pascale Marthine Tayou al Grand Hotel Timeo a Taormina.
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Gupta sembre bravo e geniale !!