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Il senso dell’arte. Intervista a Mario Pieroni e Dora Stiefelmeier
Arte contemporanea
Dall’ultima nata, la No Man’s Land Foundation a Loreto Aprutino, indietro fino all’apertura della galleria negli anni ’70 passando attraverso l’incontro con Dora, la fondazione di Zerynthia, le frequenze di RAM radioartemobile e gli amici-artisti compagni di vita e di tanti progetti appassionati: da Spalletti a Ceroli, da Alviani a Kounellis, da Merz a De Dominicis, da Fabro a Richter, da Paolini a Kosuth, fino a Pistoletto, solo per citarne alcuni, insieme a grandi artiste come Carla Accardi, Maria Nordman, Meret Oppenheim, Isa Genzken. Ecco la nostra intervista doppia a tutto tondo alla mitica coppia dell’arte contemporanea: Mario Pieroni e Dora Stiefelmeier.
Quando e come è nata l’idea di fondare No Man’s Land Foundation?
MP: È venuta fuori parlando a Parigi con Yona Friedman. Nell’incontro che abbiamo avuto con lui ci si è aperta la mente ed è nato questo progetto assolutamente non previsto prima.
DS: La Fondazione è venuta dopo, c’era un progetto che Yona aveva voglia di fare e c’era il terreno che apparteneva a Mario che diceva: “Io non voglio un’installazione privata sul mio suolo, voglio che diventi pubblica”. Da lì il ragionamento per trovare una modalità per cedere il terreno senza che venisse incorporato nelle proprietà comunali. La politica ha alti e bassi e non volevamo entrare in questa dinamica. Così è nata la Fondazione, era l’unico strumento per rendere pubblico qualcosa che fosse privata.
In cosa consiste questo vostro progetto?
MP: Per prima cosa non è un nostro progetto. No Man’s Land riguarda tutti. No Man’s Land è terra di tutti, è per tutti e richiede il coinvolgimento di tutti. Rappresenta un’idea di libertà a cui ognuno di noi anela nella propria vita. Quindi, è nato questo progetto che ospita anche lavori di grandi artisti che di volta in volta si sono aggiunti. Ma l’idea parte da Yona Friedman. È stato lui a chiamarlo No Man’s Land. Le prime installazioni sono sue insieme a Jean-Baptiste Decavèle. Yona ha sempre detto “Io sono un architetto, non un artista, organizzo lo spazio come un luogo per tutti”.
Quale scopo vi proponete?
DS: Noi perseguiamo per No Man’s Land chiaramente un’idea friedmaniana che è basata sull’autonomia delle persone, sulla decisione che ogni persona assume per se stessa su un progetto di libertà. No Man’s Land, inteso al positivo, è la terra di tutti. Allo stesso tempo, è un luogo che non è sottoposto a nessun potere, un terreno che non ha regole. E che, però, per funzionare richiede la responsabilità di tutti. Questo è un punto nodale della filosofia – se la vogliamo chiamare così – friedmaniana, una responsabilizzazione delle persone, una partecipazione delle persone ma nella totale libertà.
Come mai la scelta di Loreto Aprutino?
MP: La scelta di Loreto Aprutino è stata determinata dal fatto che questo terreno mi era stato lasciato dai miei, era parte della loro campagna.
Quali sono le caratteristiche del territorio che ospita la vostra Fondazione?
DS: Per dire la verità sono due ettari in una specie di dirupo con, al livello più alto, un bel prato di circa 6.000 metri quadrati. Poi c’è una discesa con un bosco di noci e, verso il fiume, una radura. In sé non è né panoramico né eccezionale, è il territorio che avevamo.
Come vi finanziate?
MP: Questa è una bella domanda. Essendo No Man’s Land di tutti, tutti possono partecipare. Abbiamo avuto collaborazioni con l’Amministrazione pubblica, il Comune di Loreto, abbiamo avuto degli sponsor privati che ci hanno supportato. Ci ha finanziato la prima installazione la Fondazione Aria presieduta da Elena Petruzzi che è poi entrata nel nostro CDA insieme a Gino Di Paolo, Andrea di Marsciano, Germano Del Conte e Gino Salica. Di volta in volta, troviamo dei compagni di strada che condividono l’idea di No Man’s Land.
Nelle vostre intenzioni No Man’s Land è un dono che l’arte fa a tutti. Di quale dono si tratta in particolare?
MP: Il dono che l’opera d’arte rappresenta per il mondo è l’idea della libertà. Io insisto sempre su questo tema. Questo luogo, che è aperto giorno e notte, senza controlli e veti, può essere frequentato liberamente. Non ci sono mai stati danneggiamenti, atti vandalici. Nessuno mai ha toccato niente. C’è un grande rispetto. Ci sono persone del luogo che ci vanno e che lo sentono loro, persone che noi neppure conosciamo. Ci sono le scuole con le maestre, i docenti della facoltà di architettura di Pescara che hanno fatto venire i propri studenti. Questi studenti hanno collaborato anche alle varie manifestazioni e ai progetti realizzati. Questa partecipazione per me – siamo al sesto anno di vita della Fondazione – è già un grande successo.
DS: C’è una partecipazione anche da parte dei vicini, delle persone che incontriamo nella vita quotidiana, artigiani, contadini… Loro sono fieri del fatto che lì sia nata una realtà come No Man’s Land.
MP: In un momento come il nostro, di violenza, di durezza, tutto questo è straordinario. Tempo fa, per esempio, è caduta una quercia ultracentenaria a Loreto, in una zona limitrofa a No Man’s Land. La storia di questa quercia è uscita su giornali e televisioni. Mi hanno chiamato perché andassi a vederla, cosa che ho fatto. E subito mi hanno chiesto: chi più di No Man’s Land può avere un’idea su come questa quercia possa trovare una sua seconda vita? Sono stato molto felice che si siano rivolti a noi, pensando che avremmo potuto aiutarli. Sentono No Man’s Land come un luogo vicino al loro universo.
Tra le installazioni site specific c’è l’opera del 2017 Pian de Pian Piano per No Man’s Land Foundation di Alvin Curran. Se non sbaglio si tratta di un pianoforte che suona giorno e notte nel bosco?
DS: Con Alvin Curran siamo molto amici, abbiamo fatto tante cose insieme. Gli abbiamo accennato una volta a cena del nostro terreno e gli abbiamo detto di venire a dare un’occhiata e, poi, lui esclamò: “Sapete, io ho un’idea che da tanti anni vorrei realizzare. Vorrei fare cadere un pianoforte a coda su un bosco come se fosse caduto dal cielo, e lo vorrei far suonare e vedere come man mano la natura lo assorba in sé.” E noi: “Alvin, facciamolo!”. Insieme a lui a Roma abbiamo cercato un pianoforte a coda antico, lo abbiamo portato a Loreto Aprutino. Alvin ha quindi eseguito una meravigliosa composizione che, appunto, suona giorno e notte. Quindi la musica è sempre giovane, mentre il pianoforte si sta disintegrando giorno dopo giorno. Sono già passati quasi 5 anni.
Il compianto Gianfranco Baruchello ha realizzato da voi una performance nel 2018 dal titolo ADOZIONE DELLA PECORA LEZIONE N. 1…
DS: A No Man’s Land una volta c’erano le pecore. Baruchello diceva che questo mondo era ormai finito, che non c’erano più le transumanze. Io così ho fatto delle sagome di pecore in legno. Il progetto si chiamava Adozione della Pecora. Con i ragazzini della scuola di Loreto Baruchello ha realizzato una performance, un gregge ideale di pecore.
A No Man’s Land CMi è presente con un’opera del 2019 Solid Ground un altro vostro grande amico, Jimmie Durham…
MP: Sì, Jimmie purtroppo è scomparso da poco, da noi era di casa. Con lui abbiamo avuto sempre un rapporto molto intenso. Il suo lavoro per No Man’s Land consiste in una grande porta, molto complessa. Una porta di solito è in posizione verticale, mentre da noi la sua porta a due ante è in orizzontale, poggia sul terreno.
DS: È una porta antica, napoletana, del Settecento che Jimmie aveva trovato.
MP: È stato interessante perché ho visto che qualcuno ogni tanto ha tirato le maniglie per vedere che cosa ci fosse sotto. Come tutto il resto, a No Man’s Land anche questa porta diventerà polvere e verrà riassorbita dalla natura. Jimmie l’ha chiamata Solid Ground, cioè “Terreno solido”, dando proprio valore a questa terra quasi come se la tenesse nascosta, rispettosamente. È bellissima questa idea, no? Di solito una porta chiusa nasconde, custodisce un segreto, qualcosa. Qui protegge la terra. Trovo questo lavoro davvero straordinario.
Io trovo straordinario anche il lavoro del 2020 di Alberto Garutti tutti i passi che ho fatto nella mia vita mi hanno portato qui, ora.
MP: L’abbiamo collocato all’ingresso, sulla stradina attraverso cui si arriva a No Man’s Land. “Tu sei qui ora”. È un modo di assumersi la responsabilità della propria presenza e di dare valore a un luogo.
Avete da poco inaugurato un nuovo progetto della Fondazione No Man’s Land?
MP: Sì, la scorsa domenica 18 giugno Zerynthia-Associazione per l’Arte Contemporanea OdV, in collaborazione con AWARE-Bellezza Resistente, ha presentato Cantiere Aperto, rassegna di arte contemporanea, musica e poesia a No Man’s Land. In occasione di questo evento, il museo a cielo aperto di No Man’s Land si è arricchito dell’installazione site specific permanente di Gülsün Karamustafa, artista e regista riconosciuta come “uno degli artisti più schietti e celebrati della Turchia”. Il progetto è dedicato alla tematica delle migrazioni, in sintonia col pensiero Friedmaniano che, in modo anticipatorio rispetto ai tempi, aveva previsto un mondo in continuo movimento al quale andavano adattate non solo le basi dell’architettura vigente, ma anche lo stesso modo di pensare e di agire ponendo l’accento sul coinvolgimento di tutti.
Mario Pieroni e Dora Stiefelmeier, come vi definireste?
MP: Un po’ pazzi… (ridendo)
DS: Condivido… (ridendo)
Ci tratteggiate un vostro breve profilo di coppia?
MP: Io Dora l’ho sempre cercata e ho avuto la fortuna di trovarla, quindi non l’ho lasciata più.
Avete conosciuto i grandi protagonisti dell’arte contemporanea, da Spalletti a Ceroli, da Alviani a Kounellis, da Merz a De Dominicis da Fabro a Richter, da Paolini a Kosuth fino a Pistoletto, solo per citarne alcuni, insieme a grandi artiste come Carla Accardi, Maria Nordman, Meret Oppenheim, Isa Genzken. Qual è stato il fil rouge dei rapporti che avete intrattenuto con loro?
DS: A noi è sempre piaciuta la metafora del treno, il nostro mondo è come un treno, c’è chi sale chi scende, chi rimane e poi c’è una cosa che ci lega e si fa il percorso insieme. Fai il viaggio insieme.
Siete fondatori di tante realtà, partiamo da Zerynthia. In cosa consiste?
DS: Abbiamo cominciato con la Galleria Pieroni. Mario l’aveva avviata già a Pescara, poi da Roma in poi abbiamo fatto insieme. A un certo momento – erano passati 12 anni – proprio perché ci sentivamo galleristi e non mercanti, abbiamo deciso di chiudere la galleria. Il mondo dell’arte aveva preso un’altra direzione, molto più mercantile che a noi non interessava. Abbiamo chiuso per ricominciare. Volevamo fare dei progetti più complessi. Così è nata l’Associazione per l’Arte Contemporanea Zerynthia, una struttura no-profit, oggi anche una OdV.
MP: Zerynthia oggi cura anche gli eventi della Fondazione di No Man Land di cui insieme a RAMradioartemobile è fondatrice.
Perché nel 2003 avete dato vita a RAM radioartemobile?
DS: L’idea della radio RAM radioartemobile ha visto la luce dentro Zerynthia, era uno dei progetti europei vinti. Una volta esauritosi il progetto ci siamo chiesti perché avremmo dovuto abbandonarlo. Così è nata RAM radioartemobile, una piccola società autonoma che ha poi sviluppato tutto il campo enorme, non solo della radio ma anche del sonoro. RAM è stata la prima radio su internet totalmente dedicata agli artisti. Siamo stati dei pionieri.
In cosa consiste invece D/A/C/ Denominazione Artistica Condivisa?
DS: Nasce insieme ad artisti e amici che operano in ambito economico. Avevamo capito che il tradizionale sistema della semplice sponsorizzazione non funzionava praticamente mai. Le cose s’interrompevano, ambe le parti rimanevano male. Parlando ne è uscito fuori che il vero problema era la comunicazione tra le parti. L’economia ha un linguaggio e l’arte ne ha un altro, non ci può essere una comprensione reciproca senza una mediazione. Così è nato il progetto DAC: dei tavoli per far parlare artisti e imprenditori tra di loro senza un obiettivo pratico immediato. Ne abbiamo fatti una ventina, in vari luoghi, in Italia da nord a sud, ma anche in Francia e in Belgio. Noi ogni volta facevamo da trait d’union tra i due mondi. Alcuni frutti ce ne sono stati.
MP: Per citare una frase di Michelangelo Pistoletto “l’artista è lo sponsor”, il vero sponsor è l’artista, perché è lo sponsor del pensiero.
Qual è l’ultimo progetto che avete prodotto con Zerynthia-Associazione per l’Arte Contemporanea OdV?
MP: “Arte e Calcio: contamiAMOci”. Si tratta di una nuova collaborazione con la FIGC-Federazione Italiana Giuoco Calcio che, per la prima volta, ha aperto le porte del Centro Tecnico Federale di Coverciano all’arte. Come ha affermato il presidente della FIGC, Gabriele Gravina: “Il calcio è cultura popolare, è parte integrante della formazione identitaria della coscienza civile del nostro Paese… e si offre come strumento per uno scambio di valori. Il progetto “ContaminiAMOci” rappresenta “un passo fondamentale verso il compimento di una rivoluzione culturale”. Zerynthia ha chiesto a Michelangelo Pistoletto di essere il primo protagonista di questa inedita avventura in collaborazione con Cittadellarte (fino a dicembre 2023). Con le sue cento sfere marmoree, collocate a diverse altezze nel prato d’ingresso del Centro Tecnico Federale di Coverciano a formare gli ormai inconfondibili tre cerchi del Simbolo della Creazione. Le sfere marmoree collocate da Pistoletto sono state realizzate con marmi estratti in tutto il mondo a simboleggiare l’internazionalità del gioco del calcio. Il nostro progetto per Coverciano include anche l’aspetto didattico, nell’ottica della fruizione delle varie esposizioni proposte, creando il coinvolgimento dei giovani tramite un dialogo costante con scuole, accademie e università. Seguiranno altre sorprese…
Qual è il filo della vostra ricerca e delle sue pratiche?
MP: Non c’è un filo, non c’è nessun filo, forse quello di Arianna, vedremo…
Qual è la critica più forte che sentite di fare al sistema della cultura e dell’arte di oggi?
MP: Io non faccio nessuna critica.
DS: Vorrei solo dire che il nostro mondo non è un underground – come diceva bene Gianfranco Baruchello – siamo un mondo parallelo, ma speriamo che tra i due mondi, quello dominato dalla finanza, dai meccanismi economici e le nostre idee parallele si possano verificare dei punti d’incontro. Noi attraverso l’arte offriamo un’idea della vita e una scala di valori diversi. Certamente siamo una piccola minoranza, ma siamo come il sale.
Che cosa pensate del rapporto tra l’arte contemporanea e la politica?
MP: La politica è sempre nell’arte, perché l’arte tocca la vita.
DS: L’arte fa parte della realtà.
MP: Alcuni mesi fa sono stato al Carnevale di Fano in veste di RAM, perché abbiamo partecipato con l’ESA (Agenzia Spaziale Europea), con l’ASI (Agenzia Spaziale Italiana) e con Cittadellarte all’incontro tra l’astronauta Paolo Nespoli e Michelangelo Pistoletto. Durante questo dialogo registrato da RAM e disponibile sul nostro sito www.radioartemobile.it, Pistoletto afferma: “Io sono qui come politico” perché sente il suo progetto artistico globale come un fatto politico.
DS: Bisognerebbe forse rinnovare anche la parola “politica”.
Cos’è per voi oggi veramente contemporaneo?
MP: Il lavoro dell’artista.