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Il sogno di una collezione rediviva, finalmente aperta al pubblico
Arte contemporanea
Che cosa sognano le opere d’arte chiuse nei depositi di un museo? Che vita vivono lontano da occhi indiscreti? Sono forse questi alcuni degli interrogativi che sottendono alla mostra “Il sogno delle cose. Quadri e sculture moderne dalle collezioni civiche di Pordenone”, in corso fino al 27 febbraio prossimo alla Galleria Harry Bertoia di Pordenone e curata da Alessandro Del Puppo e Luca Pietro Nicoletti. Circa 130 pezzi tra dipinti, sculture, disegni, incisioni e fotografie, realizzati fra la fine dell’Ottocento e gli esordi del XXI secolo e provenienti dai depositi delle raccolte d’arte della città friulana. Ci sono tanto i grandi nomi nazionali ed internazionali ormai nei libri di scuola – da De Chirico a Savinio, da De Pisis a Sironi, da Vedova a Zigaina, da Crippa a Fontana, passando per Chagall e Delvaux – quanto gli artisti autctoni nostrani – da Bottecchia a Tramontin, da Zavagno a Basaglia, da Massimo Poldelmengo a Roberto Kusterle.
«Le opere conservate nei musei si parlano anche se i più non le odono; è giunto il momento di presentare il loro dialogo al pubblico», afferma il co-curatore Alessandro Del Puppo, docente di storia dell’arte contemporanea all’Università degli Studi di Udine nel pregevole catalogo (Silvana Editoriale). Proprio il dialogo è il filo conduttore con il quale è stato pensato ed impostato l’allestimento (o riallestimento) di lavori «inutilizzati ma non inediti», per dare forma ad un percorso espositivo in sezioni tematiche e non pedantemente cronologiche, travalicando date, epoche, correnti per preferire nuove associazioni di idee e di artisti: insomma sparigliando decisamente le carte. Lontana da qualsivoglia forma di spettacolarizzazione e sensazionalismo, impossibilitata a inseguire l’originale e il mai visto, la mostra punta sulla ricerca di correlazioni impreviste, di giustapposizioni insolite tra media, tecniche, autori, stili, epoche, sull’individuare possibilità di tangenza o sottolineare differenze incomponibili. Non è quindi la storia (dell’arte), ma il modo della narrazione – o come si direbbe oggi lo storytelling – a dettare la linea. Ecco allora che come in un romanzo, vediamo avvicendarsi dieci coinvolgenti capitoli: ‘Figure di artisti’, ‘Miti, amori, gran dame, allegorie’, ‘Volti’, ‘Paesaggi, nature’; ‘Territori friulani’, ‘Nature morte, tavole imbandite’, ‘Figure del lavoro’; ‘Spazi’; ‘Tensioni’ e ‘Gli uomini illustri’. Dieci capitoli di un grande affresco collettivo che mette in scena soprattutto la storia degli artisti attivi in Friuli Venezia Giulia tra Otto e Novecento insieme ad alcune significative presenze nazionali e internazionali, e la storia – tra acquisizioni, lasciti, donazioni – del collezionismo privato (uno su tutti quello dell’ingegner Ruini) e pubblico di un territorio.
Ad un artista contemporaneo, il triestino Alessandro Ruzzier, è stata invece affidata a contrappunto dell’esposizione un’opera nuovissima Non v’è alcun luogo che non ti veda (2021), un suggestivo lavoro fotografico che mette in quadro la magia misteriosa e senza tempo dei depositi museali, allusione allegorica o forse elegiaca a operazioni di spoglio, sballi, apertura di casse, luci radenti, controlli idrometrici, regesti ed inventariazioni, che si compiono segretamente in quei luoghi inaccessibili: proprio là dove le cose sognano.
Per molti pordenonesi e non solo, per molti appassionati d’arte, questa mostra è stata occasione oltre che di piacevoli (ri)scoperte, soprattutto di nostalgici dejà vù, opportunità per rivedere finalmente pezzi che da troppo tempo erano sottratti alla vista del pubblico ed al suo legittimo godimento.
Questo percorso espositivo è soprattutto la prova provata della necessità che queste collezioni d’arte contemporanea, nella loro piena dignità di opere e di testimonianza del divenire storico, escano dai caveu e tornino a vivere, ad essere fruite ed interrogate da molti occhi, ad avere cittadinanza in un luogo loro deputato. Magari nella sede originariamente pensata per questa funzione, la già Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea “Armando Pizzinato” troppo prematuramente soppressa per fare posto a qualcosa sentito come forse più à la page o più mainstream, in una non spiegabile logica di aut-aut invece che di et-et. Perché come scriveva Indro Montanelli, «un popolo che ignora il proprio passato non saprà mai nulla del proprio presente». E ciò vale per tutta la storia, anche quella dell’arte contemporanea.
Foto
01.Tancredi Parmeggiani, Scritture,1953
02.Toti Scialoja, Natura morta n° 2, 1949
03. Nane Zavagno, Ombre nello spazio, 1999
04. Alessandro Ruzzier, Non v’è alcun luogo che non ti veda, 2021 © all Rights reserved
05. Carlo Ciussi, Cardi selvatici con lanterna, 1959