-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Il sogno lucido del Trento Art Festival, nello spazio virtuale di Kunstmatrix
Arte contemporanea
Cosa accade quando tre artisti che lavorano con il digitale sono invitati ad allestire uno spazio virtuale in occasione del Trento Art Festival? “Sogno lucido” è un progetto espositivo con lo scopo di avviare una riflessione sui limiti legati alle pratiche curatoriali applicate alle nuove tecnologie digitali. Nello specifico, gli artisti Domenico Barra, Claudia Chirianni e Rino Petrozziello sono intervenuti nello spazio virtuale riservato all’organizzazione ShowDesk in occasione dell’evento Trento Art Festival, fruibile dal 2 al 20 marzo 2022.
Barra, Chirianni e Petrozziello lavorano da anni nell’ambito dei new media sperimentando nuovi linguaggi e proponendo al pubblico modalità alternative di lettura della realtà e della contemporaneità. I loro lavori, nativi digitali, spaziano dall’arte generativa agli NFT, dalle installazioni glitch al coding. Domenico Barra, esponente della scena internazionale della (Dirty) New Media, lavora con i media digitali e internet. L’approccio critico, tattico e analitico alle nuove tecnologie prende forma in una produzione artistica che sfrutta l’errore (glitch) sia come materia prima che come chiave di narrazione su tematiche afferenti la temporalità, l’opportunità, le funzionalità e l’accessibilità, focalizzandosi su argomenti come il “failure”, i network, l’intelligenza, i linguaggi, la memoria e l’identità.
Claudia Chirianni è architetto e designer computazionale. Dal 2010 conduce un percorso di ricerca sui sistemi generativi sfociato in un dottorato di ricerca presso il Dipartimento di Architettura dell’Università Federico II di Napoli, e in una produzione artistica il cui focus è l’esplorazione delle potenzialità poetiche nei concetti di imprevedibilità, auto-organizzazione ed emergenza. I lavori presentati al Trento Art Festival sono parte del corpus di opere La Belle Noiseuse, realizzato tra il 2016 e il 2018, utilizzando un processo computazionale rule-based che genera pattern visivi.
Rino Petrozziello mostra una forte versatilità artistica caratterizzata dall’uso simultaneo di diversi linguaggi. Suono, video, elettronica e interazione tra uomo e macchina sono gli elementi sui quali basa la sua ricerca. Espressività, attitudine fai-da-te e innata passione per la creazione di artefatti sperimentali delineano il carattere di quest’artista dedito allo sviluppo di app, software e hardware musicali, installazioni multimediali, net-art e performance audiovisive.
Nell’ambito dell’evento online, i tre artisti partenopei si sono confrontati – e scontrati – con le modalità di allestimento proposte dalla piattaforma digitale Kunstmatrix, che simula spazi fisici tentando di replicare l’esperienza reale sul monitor del personal computer. Ne è scaturito un progetto provocatorio e grottesco dove le opere sono posizionate sul pavimento e l’allestimento impedisce una fruizione “convenzionale” della mostra. L’azione curatoriale ha l’obiettivo di far emergere il cortocircuito dato dalla trasposizione degli ambienti espositivi reali in dispositivi digitali che si limitano a emulare la realtà, costringendo lo spettatore in dinamiche a metà tra i videogiochi tipo “sparatutto in prima persona” e le gallerie fotografiche tipiche dei siti web.
Gli artisti-curatori sovvertono la possibilità di fruire facilmente le proprie opere, evidenziando quanto l’user experience possa trasformarsi in un goffo tentativo di agire nello spazio virtuale come se ci si trovasse in quello reale. Un’acuta riflessione sulle nuove possibilità – e impossibilità – di smaterializzare gli eventi espositivi, ponendo l’accento sulle pratiche che tentano di anticipare il metaverso pur restando ancorati alle modalità percettivo-fisiche stereotipate. Il pubblico è davvero pronto ad abbandonare (e superare) l’idea di un’opera attaccata al muro?