Un pallium si agita, respira e poi lentamente scompare. Una lunga colonna, esile composta di migliaia di corpuscoli d’acqua poi si scioglie. Una palla di fuoco che divampa poi svapora. È un vocabolario ricco di assenze e scomparse questa mostra, come effimero, sfuggente è il “segreto del tempo” di Fabrizio Plessi in mostra, fino al 29 settembre, nei sotterranei delle Terme di Caracalla, luoghi riaperti proprio per l’occasione. Dopo un anno di lavoro, la consolidata sintassi di Plessi non si snatura ma si allarga e si dipana in 12 video installazioni per abbracciare, insieme agli elementi primordiali da lui sempre trattati, come l’acqua e il fuoco, anche gli oggetti più rappresentativi delle stesse Terme e dell’antica Roma: colonne, tuniche e volti dell’Impero, fusi insieme dentro un universo fluido.
Grazie all’impiego dell’altissima qualità della tecnologia utilizzata, la resa finale è davvero di grande impatto emotivo. Sotto il calidarium, il cuore pulsante del sistema delle Terme di Caracalla, Fabrizio Plessi installa le sue immagini evanescenti. Visioni veloci che, come ologrammi, risalgono per un breve battito d’ali dalle sue viscere.
Ed ecco allora riemergere acqua, fuoco e poi il vento che scuote i capelli dell’imperatore, Caracalla. Qui, dal lontano 217 d. C., lui ancora rappresenta il vero volto dell’Impero, un volto ossessivo che si ripete come un loop distopico. Tra gli imperatori più ambiziosi e sanguinari dell’antica Roma, Caracalla, figlio di quel Settimio Severo a cui si deve la promulgazione della constitutio antoniniana (una legge a favore del diritto di cittadinanza!) non poteva che rimarcare la riflessione centrale della mostra, soprattutto per la sua esistenza breve e apparentemente dissennata.
Ecco allora che scorrono lungo un pannello in ferro anche i suoi capelli trattati con i ricci del trapano che diventano acqua, un mare che poi si liquefà, in fretta come la sua esistenza. E anche l’acqua, elemento già utilizzato a Roma da Plessi, che come una marea monta e si ritrae, risale dalle viscere del sottosuolo, riempie, inonda le edicole effimere e poi si prosciuga.
L’accogliente progetto di Fabrizio Plessi per le Terme di Caracalla, a cura di Alberto Fiz, include anche simboli e tecniche per cui i romani sono rimasti celebri o primi inventori. La tecnica del mosaico, insieme ai bizantini portata da loro al massimo grado, torna a vivere con quelle tessere lucenti che si assemblano in qualcosa di nuovo. Emozionante è il rosso accecante di Roma stessa, le cui quattro lettere vengono incise su un totem che vira fino a mostrare il suo vero volto: “Amor”. Ma ‹‹il fiume della storia non si ferma e attraversa impaziente altre storie››, come sostiene lo stesso Plessi, fino ad arrivare alla fine del Settecento e toccare la follia di Piranesi che, catturato dalle riscoperte dell’antico, si cibava di solo riso per correre agli scavi. Plessi lo rievoca con una nuvola di fumo, simbolo della sua pazzia, che avvolge una delle sue incisioni. Ci sono, poi, due punti luce, proiettati dall’alto in basso come fossero due orecchini nei lobi di Giulia Domna, che qui rischiarano gli angoli più reconditi dell’ipogeo. Lei, la madre di Caracalla, dall’alto della sua dignità di imperatrice si rivolge al suicidio pur di non finire nella condizione di suddita dopo la fine del regno dei Severi.
Ma al di là delle storie che le immagini mutevoli e veloci raccontano, se per un attimo, per magia si spengono le luci, gli interruttori switchano off, se cala il sipario sul passato, tutto scompare e non sfilano più una dopo l’altra sotto le volte del calidarium, né il volto dell’imperatore, né le colonne di acqua, le parole, le nubi di fumo o le meteore infuocate. È tutto un gioco di luce e immagine effimera il lavoro di Plessi, nulla esiste davvero, qui sotto. E cosi, tra qualche giorno, quando verrà smontato “Il segreto del tempo”, una mostra che è piuttosto un viaggio sensoriale, negli odori, i profumi, e le energie sopite del luogo, gli ipogei saranno riabbracciati dalle tenebre, e questo luogo tornerà a vivere dei suoi soli silenzi e dei suoi spazi bui.
Può sembrare crudele il destino di un luogo antico quando non c’è più un racconto ad animarlo: tornare a comporre un semplice tassello di un glorioso passato che per un po’ è riemerso alla luce ma poi di nuovo avvolto nelle pieghe della Storia, per fare spazio ad altre storie, altri segreti.
È cosi che agisce sull’antichità l’arte contemporanea? Non violenta un luogo pregno di storia, non svuota di senso un sito archeologico ma per un po’ soltanto le ruba l’anima. Si sa, ogni scavo archeologico che si rispetti e qui, anche il lungo lavoro di restauro e consolidamento che lo ha interessato, a volte è soprattutto un’occasione di rinascita, dove il senso del restaurare significa ridare nuova vita e nuovo senso, significa rigenerare non soltanto la forza primigenia delle antiche rovine ma rimettersi a costruire un futuro dal passato. La via sembra quella indicata dal poeta Novalis: ‹‹L’antichità non ci è data in consegna per sé. Non è li a portata di mano, al contrario, tocca proprio a noi saperla evocare››.
Ne abbiamo parlato con Alberto Fiz, curatore della mostra di Fabrizio Plessi alle Terme di Caracalla.
Quale lo scarto di questo percorso sensoriale rispetto ai suoi precedenti lavori? Mi riferisco in particolare a Roma (1987), la serie di monitor su cui scorreva l’acqua virtuale del Tevere, e a Mediterraneo (2000), dove le anfore di scavo erano in dialogo con i loro riflessi ai Mercati di Traiano.
‹‹Rispetto ai precedenti, “il segreto del tempo” è un lavoro totalmente nuovo, anche strutturalmente. È una narrazione completa in cui entra in gioco la relazione con lo spazio. Nonostante l’elemento acqua sia una costante, qui alle Terme di Caracalla cambia la liturgia del luogo e la sua funzione. Lo spettatore è chiamato a percorrere un tragitto lungo una serie di gallerie, mettersi in rapporto con le video sculture e con l’istallazione cangiante dei basamenti. Ogni opera poggia su una base d’acqua, chiaro riferimento alla vocazione del luogo in cui si muove. Fa un percorso circolare, che inizia con la serie di capitelli e finisce con uno di essi. È la pietra quindi ad aprire e chiudere il cerchio. In questi termini Plessi afferma con forza la rinuncia ad imporre la sua firma che è secondaria al capitello, emanazione diretta della collezione di capitelli delle Terme››.
Perché è stato affidato proprio a Plessi questo progetto?
‹‹Il suo linguaggio artistico cosi profondamente poetico era in assoluto il più adatto, non tanto perché idoneo ad inaugurare uno spazio finora chiuso come i sotterranei, quanto perché evocativo di una memoria proiettata a guardare verso il futuro, cogliendo cosi a pieno lo spirito dei Severi ed il nostro››.
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