Il modello classico come archetipo e canone, il concetto del tempo, la sua identità, l’ineluttabilità e il suo disvelarsi nelle imperfezioni naturali (cristalli, cavità, fratture) delle pietre e dei marmi che Massimiliano Pelletti utilizza per le sue opere. Queste sono le dorsali della ricerca di un artista che scolpisce a mano con sapienza artigianale, o lavora con le più avanzate tecnologie, quarzi, onici, calcari e altre pietre, valorizzando ogni singolarità che la natura stessa gli mette a disposizione, lasciando spazio all’imprevisto.
L’imprevisto-difetto dei materiali impiegati diviene così il generatore di ulteriori e rabdomantiche possibilità espressive, formali e narrative. Nel continuo rimando tra un piano di manifesta naturalità, dove il tempo si racconta nei corpi scolpiti in una sorta di archeologia del sé, e il piano simbolico della trasfigurazione artistica della materia, della sua metamorfosi lirica in un suo regno interiore, risiedono la forza e il fascino del lavoro di Pelletti. Assumendo figurazioni diverse, supreme celebrazioni dell’umano, interpretando ruoli e immagini della mitologia, della storia, l’artista non compie una mera “testimonianza classica”.
Egli vuole che l’osservatore riconosca dapprima le immagini di partenza in quanto parte ben sedimentata della memoria collettiva, per poi risemantizzarle, manipolandole in assemblage scultorei, tra cristalli, cavità, fratture, in un originale meccanismo narrativo che riflette criticamente sulla storia. «L’origine è la meta», scriveva Walter Benjamin d’accordo con Karl Kraus. L’Origine è tutta la Storia, fino alla Fine, compresa la Fine. E compreso l’oggi, perché «La fine va intesa come tempo presente» (Jacob Taubes).
Alla stregua di Benjamin, Pelletti concepisce il passato come l’altra faccia del presente, derivante e prodotto da esso. Sulle soglie di un tempo pertanto indefinito, nello spazio-tempo dell’attesa di un futuro che mai si compie, ogni sua scultura nel prendere forma ripudia il limite della superficie su cui è impressa. E slitta, con un imprinting quasi performativo, nella vitalità di quell’estetica oscillante tra il non finito e il non finibile.
Il risultato, in una dimensione contemporaneamente fisica e metafisica, empirica e contemplativa, tra Kósmos/ordine e Kaos/disordine, è di straordinaria potenza e poeticità. L’attualità della polarità semantica di Kósmos/ordine e Kaos/disordine, dalle sue prime formulazioni mitiche fino all’attuale ricerca plastica di Massimiliano Pelletti, continua a esprimere la volontà del soggetto di conoscere il mondo, la natura, l’esperienza, rivelando «L’accordo intimo dell’uomo, del culto e del mito con la totalità dell’essere», come ricorda Paul Ricœur.
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