Stefano Bartezzaghi ha descritto il gioco come “un’insopprimibile esigenza dell’uomo”. Nella poetica di Vettor Pisani (1935-2011), la presenza del gioco ha caratteristiche di dimensioni fondamentali. Artista fuori dal sistema dell’arte, ha lasciato un segno indelebile, invece, nella sua storia. Lo strettissimo rapporto e il riferimento ad alcuni dei maggiori artisti mondiali – da Duchamp, di cui si carica sulle spalle la pesante eredità , a Beuys e Klein, da Khnopff a Wittgenstein, da Böcklin a Bellmer -, le amicizie con Michelangelo Pistoletto e con Gino De Dominicis, l’indagine sulle strutture alchemiche, soprattutto una cultura che, dalla storia delle religioni e i presupposti del sacro, spazia nella filosofia, nella gnosi, nella psicanalisi, nella letteratura, nel teatro, estendendosi a tutta la storia dell’arte, sono i margini entro cui si dispone l’intensità di una vasta e complessa produzione di cui è ancora aperta l’interpretazione.
Diversi sono stati i tentativi, nell’ultimo decennio, per risvegliare le dimensioni sopite della storia dell’arte che la damnatio memoriae su questo artista portava con sé. Tra questi, la mostra antologica Eroica/Antieroica: una retrospettiva presso il Madre – Museo d’Arte Contemporanea Donna Regina di Napoli (dal 21 dicembre 2013 al 24 marzo 2014), a cura di Andrea Villani ed Eugenio Viola e con la supervisione scientifica di Laura Cherubini, si proponeva di insistere sul ruolo giocato da Vettor Pisani nella seconda metà del Novecento. E attualmente la mostra alla Fondazione Pino Pascali di Polignano a Mare, Vettor Pisani. L’Enigma e il Segreto, curata da Giovanna Dalla Chiesa e Carmelo Cipriani e aperta dal 2 dicembre 2023 al 28 aprile 2024, ne ripercorre l’iter attraverso un corpus importante di opere e comincia a far luce sugli anni baresi dell’artista, con i suoi tentativi, sino a ora, ignorati per svecchiare un ambiente ancora provinciale con attività che già pongono le basi per la sua futura carriera.
Entrambe le mostre hanno permesso di vagliare la complessità di questo artista, per sua natura, poco avvezzo a limitarsi a medium specifici e, al contrario, spericolato e in anticipo sulle attuali sperimentazioni nella contaminazione fra tecniche, generi, e discipline. Pisani concentra la riflessione sulla trascendenza stessa della pratica artistica, proiettandosi sull’eternità . Convoglia tutto in un unicum, il doppio nel singolo, l’irreale nel reale, giocando però su uno scacchiere fisso e su uno spartito situato tra le polarità di terra e cielo, mettendo in scena un cosmo capace di riverberarsi attraverso sottili riflessi e rimandi. Per non essere sottoposti alla corsa interminabile di un progresso in cui stentiamo a riconoscerci e che ci trascina verso un futuro tormentato dalle parole dei fantasmi dei morti nel corso inesorabile del tempo, è necessario, dunque, fermarsi a riflettere sulla profondità intensa delle cose della realtà .
Direttrice dell’Archivio Vettor Pisani, coautrice, insieme a Carmelo Cipriani, della mostra alla Fondazione Pino Pascali, amica e compagna di Vettor e Mimma Pisani, intervistiamo Giovanna Dalla Chiesa per riuscire a ricomporre la galassia infinita dell’opera di Vettor Pisani.
Come è possibile salvare un artista importante come Vettor Pisani dalla damnatio memoriae che in certi momenti sembra averlo colpito? Mi riferisco al fatto che, a tratti, sembra sparito dalla programmazione di mostre e, forse, dalla nostra percezione della storia.
«Scriveva Montale “la storia ha i suoi nascondigli” in una poesia che mi piacerebbe leggessi per intero, perché è di una grande sapienza. Ciò che non vediamo, comunque, non è detto non esista, anzi. L’ombra è un ottimo scudo, soprattutto, per i grandi, quelli che qualche volta, sono ben oltre le categorie della Storia con le sue cesure, i suoi prima e i suoi dopo, i suoi cataloghi dalle cui maglie troppe cose sfuggono, le sue cronologie e i suoi primati, spesso fallaci – e certo Vettor non era interessato a questi derivati parziali e importuni della storia.
I suoi parametri e le sue ricerche erano rivolti a ben altre riflessioni, profonde e radicali. Ho già sentito parlare di damnatio memoriae per Vettor, ma non credo questo sia vero, neanche riguardo ai momenti più silenti della sua stagione post mortem. Nessuno ha cercato di obliterare la sua presenza in vita, tranne nel momento della cruciale esclusione dalla mostra Identité italienne, nel 1981 al Centre Pompidou di Parigi, non tanto per volontà di Germano Celant, quanto per conflitti di tipo ideologico fra lui e altri artisti. Vettor era solito rifiutare tutte le mostre collettive non in sintonia con i suoi principi e le sue scelte, e non ha mai accolto le ripetute proposte e offerte di mostre antologiche, sino alla fine, per quanto abbiamo già detto sulle sue concezioni. Come artista che agiva in una prospettiva cosmologica, non poteva smentirsi.
Questo è un punto nodale, con cui oggi bisogna cominciare a fare i conti. Un punto, difficile da digerire per chiunque si sia occupato di lui e abbia tentato di valorizzarlo, attraverso i “sistemi” di promozione che l’Occidente ha inventato. Posso testimoniarne personalmente. Ma nessuno ha cercato di annullarlo, tanto meno dopo la sua morte.
Quello che manca ancora, semmai, è la giusta prospettiva da cui fornire una lettura dell’evoluzione del suo lavoro. All’inquieto panorama mondiale degli Anni Novanta – quelli dell’inizio delle guerre prima sul Golfo Persico e poi in Jugoslavia, che fecero seguito alla caduta del muro di Berlino – la risposta immediata di Vettor fu con la mostra Mania (cui facevano eco le allusioni di Mimma nel testo La parola perduta), ossia il richiamo alla divinazione profetica che porta Apollo sulla strada dell’ebrezza di Dioniso – e il passaggio da un Theatrum Rosacroce, platonico e ideale, a uno scenario dionisiaco di caos e follia, con le note esasperate di sesso estremo da trivio, delle mostre sulla Trivial Art o del Peep Show.
Poi, appena gli fu possibile, nel 1995, volse il suo sguardo altrove, scegliendo la casa di un guardiano delle cave di travertino di Serre di Rapolano, come Teatro della Vergine (Virginia Art Theatrum) o Museo della Catastrofe, una “Dimora filosofica”, al pari di quelle di Wittgenstein, Goethe, Khnopff e Malaparte a Capri, che lì, diventava metafora del lavoro incessante dell’Opus, per estrarre da un fondo “catastrofico”, la chiarezza trasparente della Pietra filosofale o Sapienza.
Secondo te la svolta cruciale che il mondo covava di cui solo oggi cominciamo a capire la portata e che Vettor Pisani iniziava a denunciare, è stata capita e interpretata correttamente? Direi, il contrario, non ti sembra? Questa svolta è un pò come la Guernica di Picasso. ll mondo, però, ha preferito girarsi dall’altra parte, e scambiare la follia propria, in cui non aveva alcun desiderio di riconoscersi, per quella dell’artista. I cosmologi non vanno solo alle origini dell’universo, seguono anche la sua evoluzione. Ebbene, Vettor seguiva questa evoluzione ed era in grado di predirne le conseguenze. Pochissimi, credo, si siano posti il problema dell’ossessiva citazione delle bambole martoriate di Bellmer, in questa fase, che per l’artista polacco erano una denuncia contro il culto dei corpi perfetti prediletti dal nazismo, ad esempio».
Kundera, ne L’Immortalità , diceva che gli artisti ormai hanno preso una strada diversa dall’unica via che li legava gli uni agli altri. Tuttavia, esiste una via, quella della storia dell’arte, che continua a proseguire inesorabilmente. Si vede, e ciascun artista assume il testimone dei suoi maestri precedenti. Come nel caso di Vettor con Duchamp, ma anche nella correlazione tra Vettor e Beuys. Come si può fare allora a preservare la memoria di un’opera così complessa per riuscire a garantire l’importanza che Vettor Pisani merita? Quali strategie si possono adottare?
«Un archivio, ad esempio, che non abbia fra i suoi obiettivi la semplice erogazione di certificati di archiviazione, come d’altronde avviene per tutti gli Archivi seri – oggi ce ne sono tanti – può servire molto. Direi, anzi, che deve servire proprio a questo. Quello di cui c’è bisogno ora, è lo studio. E la catalogazione, con i dati e i riferimenti necessari alla precisa identificazione di ogni opera, sarà il primo passo. L’archiviazione ha come suo punto di approdo quello di un catalogue raisonnée dell’opera di Vettor Pisani. E mentre si cataloga si scopre un’infinità di cose importanti. Vettor, comunque, aveva strategie di lungo periodo. Ricordo che circa un mese prima della sua morte si parlava. Mimma diresse i propri occhi verso Vettor con una certa aria di sfida, dicendo che era venuto il momento di fare un serio lavoro storico. Lui si girò verso di me e con la solita nonchalance, dichiarò che non si preoccupava: Van Gogh, Cezanne, molti altri artisti importanti, infatti, erano diventati famosi solo dopo la loro morte. Come vedi siamo perfettamente in linea con quanto ti dicevo.
Le strategie? Direi che, concentrando in poche mani di amici, galleristi o collezionisti tante opere, la strategia, con la solita preveggenza, l’ha dettata Vettor e lentamente questa sta dando i suoi frutti. Beppe Morra, è il primo sino ad ora, ad aver creato a Caggiano (Salerno) sul Vallo di Diano, nel Parco del Cilento, un Museo con la maggior parte delle opere affidategli o acquistate da Vettor del suo ultimo periodo, Mario e Dora Pieroni – suoi storici galleristi dalla fine degli Anni Settanta alla morte – possiedono lavori tra i suoi più importanti degli anni Settanta e ottanta e l’avvocato Tomassoni, che alla fine di maggio, aprirà al CIAC di Foligno, la mostra Vettor Pisani. Viaggio ai confini della mente, possiede altri significativi nuclei di opere. Se come spero, sarà possibile riaprire la casa di Serre di Rapolano la cui proprietà è di altri collezionisti che ne avevano lasciata piena disponibilità in vita, a Vettor e Mimma, sarà possibile avviare un’intensa collaborazione fra l’Archivio, questi gruppi, e l’Associazione Virginia Art Theatrum creata da Giovanni Pugliese e Serafino Maiorano per tutelare la casa filosofica e il museo di loro proprietà .
Dal 1995 al 2006 quello è stato il centro attorno al quale hanno preso vita progetti di respiro internazionale che hanno coinvolto artisti mondiali da Mario Merz a Sol Lewitt, da Pistoletto a Karel Appel, da Boltanski a Ettore Spalletti e Marco Bagnoli, grazie agli amici Civitelli dell’Associazione, dalla storia secolare, La Grancia, e all’opera assidua di Mario e Dora Pieroni».
Come è composto l’archivio? Quali sono le figure coinvolte?
«L’Archivio è nato nel luglio del 2016, per volontà di Mimma Pisani. Sotto la sua Presidenza, sono state realizzate mostre, performance ed eventi. Non si riuscì però a renderlo operativo sotto il profilo delle archiviazioni, lavoro molto oneroso, a causa delle condizioni di salute sempre più fragili di Mimma. Oggi la Presidenza è affidata a Luciana Pisani, sorella di Vettor, l’unica nella famiglia ad aver seguito la vicenda del fratello che la scelse, infatti, come protagonista della celebre performance di Documenta V a Kassel nel 1972 – dove ebbe il coraggio di farsi esporre nuda appesa al cavo de Lo Scorrevole.
La fortuna di questo Archivio sta nell’essere formato da persone che non hanno soltanto “conosciuto” Vettor, ma che hanno collaborato e lavorato strettamente con lui e con Mimma, dunque, che sanno dove mettere le mani all’occorrenza e possono attivamente cooperare. In questa fase, avremo un comitato peritale composto dal Presidente, da me, come storico dell’arte – cui è affidata la Direzione dell’Archivio – e da esperti che sono stati collaboratori di Vettor.
A seconda delle diverse esigenze, il comitato si avvarrà , poi, di altre personalità della storia dell’arte, o di tecnici in grado di facilitarne il compito complesso. Si dovrà pensare, inoltre, a un Comitato Scientifico di livello internazionale che coordini il catalogo ragionato, come con grande lungimiranza fece Anne Marie Sauzeau-Boetti, affidandosi a Jean Christophe Amman, con cui è riuscita a realizzare, quello che dal punto di vista scientifico e metodologico, io reputo sia il miglior catalogo ragionato di un artista contemporaneo italiano».
Vettor Pisani è un artista che ha per me un’intensità poetica a cui è impossibile sottrarsi. Quale è stata l’idea della mostra di Polignano a Mare alla Fondazione Pino Pascali?
«La mostra è il frutto dell’armoniosa collaborazione con il Direttore della Fondazione Pascali, Giuseppe Teofilo, con uno staff consapevole e preparato come non mi sarei aspettata di trovare e, quanto alla curatela, tra me e Carmelo Cipriani, che ha indagato soprattutto gli anni baresi di Vettor, quelli della giovinezza, con i suoi tentativi ancora poco conosciuti tutt’altro che irrilevanti, per sprovincializzare la cultura locale attraverso esperienze innovative sul fronte artistico come su quello del teatro. Anni che approdarono, prima della definitiva partenza per Roma, alla presentazione di una delle pièce di maggiore successo del Living Theater, Mysteries and smaller pieces.
Fra i testi pubblicati nel catalogo di Sfera/edizioni, oltre alla ricerca di Cipriani e a due saggi d’interpretazione sulle concezioni di Vettor Pisani applicate alle singole opere a mia cura, troviamo l’apporto prezioso della giovane studiosa Asia Benedetti che ha analizzato R.C. Theatrum di Vettor Pisani in base alle teorie semiotiche dello strutturalista russo Jurij M. Lotman, una favola rosacroce di Vettor Pisani sul tema del Segreto del 1990, poesie di Mimma Pisani da L’Angelo dell’Occidente del 2004. Inoltre, la ripubblicazione di due saggi emblematici di Achille Bonito Oliva e di Mimma Pisani. Ogni testo presenta a fronte la traduzione inglese. L’apporto dell’Archivio è tangibile soprattutto nella prima biografia sintetica, ma ben documentata su Vettor Pisani, nelle schede di ogni opera con tecniche, dati e misure, che speriamo introducano questa abitudine oltremodo necessaria per trattarne l’opera, in un aggiornamento sino ad oggi della già vasta bibliografia da me curata per il catalogo del MADRE.
Quando osservai lo spazio della Fondazione Pascali completamente vuoto, notai la specularità delle sue stanze, le une simmetriche alle altre, dinanzi e ai fianchi del grande salone centrale: un sistema crociato di sette sale – coincidenza numerologica con la filosofia dell’artista – che sarebbe piaciuto molto a Vettor Pisani. Oltre il salone, una parte della stessa larghezza si affaccia su vetrate che guardano il mare: il mare di Pascali con l’isolotto dell’Eremita e la luce cristallina di quella Puglia che Pisani ha sempre portato con sé. Così ho lavorato sui rispecchiamenti. Alla destra di un ingresso che ha come orizzonte l’Isola dei morti con un putto capovolto – la nascita – e un violino vero, il suono che allude al doppio passaggio tra la vita e la morte – troviamo le opere che appartengono agli esordi e che parteciparono anche alla mostra del Premio Pascali, di cui l’artista fu insignito nel 1970, mentre alla sinistra quelle della sua ultima mostra all’estero Il mio cuore è un cupo abisso, presso la Galleria di Mario Iannelli nel 2010 a Berlino. L’ideologia e la politica, elementi cardinali nelle concezioni di Vettor Pisani, rappresentati dall’installazione GER MANIA – otto lettere capitali, rosso lacca, a grandezza d’uomo, disposte a corolla dinanzi a tele che alludono ai crimini del nazismo e all’enigma sfingeo-freudiano di tanto orrore – abitano lo spazio opposto e simmetrico alla Stanza del Sogno con l’installazione AnimaAnimale del 2008 e la maschera dell’Estasi di Santa Teresa, sospese nel blu, due componenti inalienabili del pensiero dell’artista.
Nel grande Salone Centrale è ospitato il cuore dell’Enigma e del Segreto cui allude il titolo. L’insieme qui si dispone a raggiera dispiegando le sue variegate valenze e finzioni, intorno agli assi cardinali paralleli della doppia semi-croce di ferro della Biennale di Venezia del 1976, il Coniglio non ama Joseph Beuys, irrorata dal rosso acceso delle lampade rosacroce, poste l’una verso l’altra a segnare un acme d’intensità : fratelli erranti in doppio cerchio con mele, labirinti e semicroci, Signorine Rosacroce, Sfingi e Piramidi, R.C.Theatrum con rose e violini o di pura trasparenza, omaggi a Duchamp con le figure storiche di Maria Pistoletto allo Scorrevole e degli scapoli Voyeurs, Paoline Borghese e teste di Hypnos capovolte, che guardano le cave di travertino di Serre di Rapolano e il Museo della Catastrofe ideato da Vettor e Mimma Pisani, il tutto raggiunto dal suono di musiche originali, o da note di Satie e della Norma di Bellini, dei video di Mimma Pisani, che provengono da una stanza adiacente e accompagnano l’emozione dello stupore visivo.
Nell’ultima sala i temi di Eros e Thanatos, l’enigma di una Gioconda tra Freud e Leonardo, gl’ibridi di una bambola meccanica e la Ruota del Destino si confrontano con il Concerto invisibile di Gino De Dominicis, i suoi Tentativi di Volo, vicino a un doppio pianoforte che si chiude su un quadro de la Gioconda infilato tra i due, mostrando sul fondo dello strumento capovolto uno stuolo di mele verdi Granny Smith. Lo spazio dell’ex-chiesetta nel centro storico visibile solo dall’esterno, è occupato felicemente dall’opera di sola luce: Batteria Rosacroce del 1989».
Non mi hai detto ancora quando hai conosciuto Vettor e come è nata e si è sviluppata la vostra amicizia?
«Ho conosciuto Vettor nel 1973 durante la III Sezione della X Quadriennale Nazionale d’Arte, La Ricerca Estetica dal 1960 al 1970, un’esperienza memorabile che ha segnato la mia vita mettendomi in contatto, in un colpo solo, sia con la critica più agguerrita di quel momento – Menna, Boatto, Trini, Celant, Calvesi – che con tutti gli artisti che avevano rivoluzionato la scena dell’arte in quegli anni. Silenzioso, gentile, più appartato degli altri nella sezione Allargamento dell’esperienza e proposta di modelli alternativi, quella più ruggente, Vettor Pisani era presente con due suoi capisaldi: Maschile femminile androgino. Incesto e cannibalismo in Marcel Duchamp del 1970, e L’Eroe da Camera. Tutte le parole dal Silenzio di Duchamp al Rumore di Beuys, la sua celebre azione performativa del 1972. Ma già ai primi di maggio, avevo visto alla Marlborough, che frequentavo abitualmente, la sua mostra Plagio con Pistoletto. L’emozione delle sue immagini applicate su vetro era stata determinante. E non smisi più di frequentare le sue mostre a La Salita, a L’Attico, da Sperone e in seguito, soprattutto alla Galleria Pieroni di via Panisperna, dove alle mostre seguivano cene che cementavano i rapporti.
Certamente i miei studi su De Chirico che presupponevano ampie frequentazioni dalla Storia delle Religioni di Rudof Otto e Mircea Eliade e attraversavano la filosofia di Nietzsche e Schopenhauer, i Presocratici, la conoscenza della mitologia, le strutture di Segni e Simboli attraverso Jung, il pensiero di Ernst Cassirer e Gombrich o di Erwin Panofsky, la lettura di Elémire Zolla, René Guénon e Marius Schneider, per citarne solo alcuni, mi avevano preparato sia alle metafore che ai tranelli visivi in cui anche il sentimento visionario poteva imbattersi. Mi è già capitato di dire che ci sono incontri a cui si è destinati, perché si trovano sul nostro cammino.
Non solo il nome di Vettor fu il primo che proposi a Diane Waldman, appena arrivata dal Guggenheim a Roma per organizzare la mostra Italian Art Now a cui collaborai nel 1983, ma in una Pasqua caprese, dove Mimma e Vettor erano ospiti di Giuliana Setari, in quel capolavoro di Casa La Solitaria, costruita a picco sui faraglioni di Capri da Edwin Cerio, si consolidò, nel 1989, la mia amicizia con Mimma, custode dei suoi segreti, mia amica di letture, di arte, di cinema e di teatro. Un’amicizia che è vissuta del continuo scambio di idee, conoscenze, letture, nella condivisione come nella polemica con immensa, reciproca generosità d’animo per me indimenticabile e insostituibile.
Ed è proprio a Mimma, autrice dei meravigliosi saggi critici sull’opera di Vettor Pisani, contenuti ne Il lettore capovolto, che l’Archivio deve dedicare presto una riedizione di questa pubblicazione, avvenuta troppo frettolosamente, nel clima agitato che precedette di poco la morte di Vettor».
Che cosa, può aiutarci a capire in questa nostra contemporaneità davvero desolata, frammentaria, l’opera di Pisani alla luce di tutto quello che ci siamo detti? Quali pensi sia il suo valore nella storia?
«Hai accusato il colpo della “frammentarietà ”, vedo. Bene. Allora la mia risposta dovrebbe piacerti, perché quello che ci insegna Vettor è il richiamo all’Unità , che non è solo un andare oltre le apparenze, ma lo scavo per trovare le radici delle cose, dei saperi, delle conoscenze, secondo quanto hanno provato a fare i grandi sapienti, per cui le apparenze sono soltanto manifestazioni differenti del Tutto che invece è UNO (EN TO PAN) e indissolubile.
Qualche giorno fa, l’occhio mi è caduto su questa frase di Nietzsche nelle sue Considerazioni inattuali: “non saprei che senso avrebbe mai la filologia classica nel nostro tempo, se non quello di agire in esso in modo inattuale – ossia contro il tempo, e in tal modo sul tempo e, speriamolo, a favore di un tempo venturo”. Ecco la funzione di straordinaria ri-invenzione che ha avuto l’enorme quantità di studi di Vettor Pisani su Marcel Duchamp. Questo deve insegnarci che ogni rivoluzione, esclude l’improvvisazione e lascia una traccia solo laddove sia riuscita a compiere quell’ “aggiramento delle apparenze sensibili” di cui parla Elémire Zolla, che è simile al balzo controcorrente del salmone, simbolo vivente della conoscenza nelle Scritture norrene.
Bisogna ristabilire il rispetto che si deve a ogni grande opera, nel modo di trattarla come in quello di guardarla, con la distanza che Vettor Pisani aveva persino da sé stesso. L’ironia criptica, a volte beffarda delle sue frasi era come un’ulteriore protezione nei confronti della profondità del suo lavoro, destinato a un dopo e a una sedimentazione che viene solo dalla conoscenza, una conoscenza delle cose che può imporre persino il silenzio.
In apertura del sito dell’Archivio si legge un manifesto di Vettor Pisani che potrei definire “pseudo Rosacroce”, una sorta di apocrifo che riesce a dire la verità , mentre la falsifica e la deforma, ma i documenti che seguono la premessa, invece, sono il frutto di un’accurata analisi per poter certificare la loro verità storica».
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