“Incubazioni Oniriche” è il progetto di arte diffusa che l’artista e performer Laura Cionci ha portato a Firenze durante l’edizione di quest’anno dell’Estate Fiorentina. Con la cura di Non Riservato, il contributo del Comune di Firenze e il supporto di Base Digitale, il progetto ha avuto il suo concreto inizio presso Murate Art District. È in questo spazio che Laura Cionci ha coinvolto un gruppo di partecipanti in un processo creativo condiviso. Così, esplorando i temi dell’onirico, il tentativo è stato quello di tessere un filo che collegasse le esperienze personali di ciascuno alla natura.
Una serie di fiere e di bestie, elementi naturali e antropomorfi, immagini legate al simbolismo della natura, alcune direttamente riferite all’opera di Dante Alighieri. Questo il repertorio visivo che ha ispirato la creazione, per mano dell’artista, di diversi manifesti coi toni del rosso e del blu, a evocare il sacro e il mitologico. In questo modo, “Incubazioni Oniriche” si è inoltrato nelle vie della città, dove tutti hanno potuto interfacciarsi con queste visioni fantastiche. Suggestionati – anche inconsciamente – da queste immagini sui manifesti, i passanti potevano scoprire come queste opere fossero state realizzate inquadrando un qr code che dava l’accesso a video e foto. Laura Cionci è solita impiegare pratiche relazionali nel suo lavoro, dando forma a nuovi processi creativi legati alle energie delle persone ma anche al territorio. L’artista ce ne ha parlato in maniera approfondita in un’intervista, a partire dal progetto “Incubazioni Oniriche”, che porterà in diversi luoghi del mondo.
L’onirico, l’esperienza personale, la natura…questi i temi principali della tua opera, che hai affrontato nell’episodio fiorentino. Ci racconti come hai articolato la tua pratica artistica con “Incubazioni Oniriche”?
«”Incubazioni oniriche” (ha origine dalla pratica antica delle incubazioni di Asclepio – 293 a.C. isola Tiberina) non è altro che una tappa del percorso che ho ormai intrapreso dal 2018. Nella lingua italiana, il termine incubazione definisce «Un periodo in cui un avvenimento importante si va preparando». Invece, Maurizio Gasseau lo ha definito così: “Era ciò che noi potremmo chiamare una psicoterapia immaginale, dove non si trattavano separatamente l’anima e il corpo del malato e dove era richiesta una posizione attiva dell’incubante, atta a produrre le immagini trasformative”.
La cura del sé ed il valore della ritualità, l’identità formata attraverso l’esperienza, sono i fondamenti non solo di una ricerca personale ma anche di una necessità che sento fortemente collettiva. Quando ci si incontra per condividere i propri sogni e raccontarli, si innesca una rete di connessioni che amplifica le immagini, le rende forti e genera empatia. Man mano che si lavora, ci si rivela. I partecipanti non si conoscono tra di loro, si affidano però alle immagini corali con confidenza, per liberare alcune tracce nascoste del vissuto, del desiderio, del trauma. In questo processo è importante il gruppo che si crea come lo spazio in cui si agisce, un altro focus principale è quello sulle frequenze Hrz.
La questione importante della pratica è lavorare sulle soglie degli stati di coscienza. Vivere un intero giorno nel dormi-veglia è decisamente fuori dalle nostre condizioni quotidiane ed è faticoso. Nel farlo, il tempo acquista una forte componente di relatività ed è soggettivo per ogni partecipante, mentre generalmente siamo tutti immersi in una unica velocità. Inoltre, creiamo un equilibrio degli emisferi cerebrali insolito in cui ci sentiamo liberi di sperimentare la nostra immaginazione, facendoci sorprendere da elementi immaginifici inattesi. Io mi rendo portatrice di un’esperienza che vivo in prima persona, metabolizzo e infine ripropongo attraverso i miei mezzi. Non si tratta di una seduta analitica o sciamanica, ma di una riappropriazione personale di uno spazio per lo più sconosciuto, che vive e si alimenta dentro di noi. Uno spazio in grado di offrirci informazioni nonché soluzioni, ed è lì, alla portata di tutti. Il grande scambio tra me e i partecipanti viaggia tra le immagini scaturite dall’esperienza: luoghi incredibili, incontri, animali, piante, esseri di fantasia, culture, persone, oggetti e simboli. Un gigantesco contenitore di “opere” che vengono generate all’infinito, se si hanno le giuste condizioni per farlo».
In occasione del settecentenario dantesco, hai immesso una nuova componente nel tuo lavoro, legandolo, in parte, ai testi di Dante Alighieri. Come hai realizzato questa intenzione e quali sono state le suggestioni che hai ricevuto dalla sua opera?
«In realtà sono andata solo a specificare e a sottolineare la similitudine del progetto con uno stato alterato della coscienza che Dante conosceva molto bene. Si diceva fosse affetto da narcolessia. Questo lo portava spesso ad una bassa frequenza cerebrale, la stessa che cerco di richiamare durante gli incontri delle Incubazioni (4-7 Hrz). È proprio in quegli spazi mentali, citati più volte nell’opera, che Dante si trovava quando raccontava dei suoi incontri. Così, il sommo poeta miscelava ciò che voleva esprimere politicamente e socialmente con ambientazioni, forme naturali e situazioni fantastiche.
Riportando questo esercizio di cura onirica che ha avuto dei sorprendenti risultati su di me, mi sono avvicinata al cosiddetto “mondo di sotto”, (attraverso il tamburo e quindi una vibrazione legata alla terra) un viaggio che lega le esperienze personali a rappresentazioni e simbologie naturali, immaginando lo stesso stato che portò Dante nel viaggio più incredibile della sua vita. Come se anche lui avesse vissuto un’incubazione di Asclepio per arrivare a conoscenza dei tre mondi ultraterreni.
“Io non so ben ridir com’i v’intrai/tent’era pien di sonno a quel punto/che la verace via abbandonai”, e anche “ciò ch’io attendo e che il tuo pensier sogna», nel canto di Gerione, possa spiegarsi come segue: «Ciò che Virgilio si aspetta di vedere, e che sta per emergere, e si manifesterà alla vista dello stesso Dante, è il prodotto della mente di Dante che sta sognando”. “E caddi come l’uom cui sonno piglia”. “Ruppemi l’alto sonno ne la testa / un greve truono, sì ch’io mi riscossi /come persona ch’è per forza desta; / l’occhio riposato intorno mossi”.
Anche la presenza degli animali nella Commedia è incredibilmente ampia. Si tratta di una presenza continua e variatissima, che si apre nel primo canto dell’Inferno con le “tre fiere” (la lonza, il leone e la lupa) e arriva sino alle api, cui sono paragonati gli angeli nell’Empireo. I partecipanti dei miei workshop incontrano una serie di animali-guida, come accade nell’opera di Dante. Ogni animale rappresenta uno stato particolare, una caratteristica, sono animali dalle forme arcaiche che accompagnano e che portano un messaggio per l’interlocutore».
L’utilizzo dei manifesti come arte diffusa nei luoghi della città segue la scia di una tendenza in Italia rilevante soprattutto a partire dagli anni Settanta ma che arriva anche ai tempi più recenti. Perlopiù, sono stati intenti di carattere ideologico o politico a muovere questi interventi. Invece, tu hai deciso di richiamare l’attenzione sul personale, a partire dalla relazione con se stessi e con l’altro, da una prospettiva più intimista. Perché questa scelta?
«Perché il sogno riguarda tutti e viaggia attraverso la vita quotidiana. Incameriamo informazioni mentre siamo svegli e corriamo da una parte all’altra: incontriamo persone, riflettiamo, ridiamo, piangiamo, ci arrabbiamo, agiamo. Durante la notte prende vita il nostro doppio che elabora il vissuto, lo trasforma per restituirlo e in qualche modo costruisce chi siamo nel diurno. Il manifesto è una realizzazione fisica di quello spazio/soglia tra l’essere svegli e il dormire. È simile alla pubblicità occulta, dove incameri senza volerlo l’immagine o la frase, la parola e la porti dentro di te, influenza la tua psiche. In questo caso sono immagini e parole che provengono dai sogni di altri individui. Mi piace pensare che le persone così, si possano connettere come accade durante gli incontri di Incubazioni Oniriche.
Un’altra motivazione alla scelta della diffusione urbana attraverso i manifesti è stata dettata dall’utilizzo di pratiche relazionali che anche Non Riservato porta avanti con artisti e progetti diffusi. L’obiettivo comune è quello di creare infiltrazioni d’arte contemporanea assolutamente fuori dal suo contesto classico elitario, partendo già dal processo, passando per l’esecuzione, per poi arrivare al risultato finale».
Incubazioni Oniriche ha così avuto inizio ma in realtà si tratta di un progetto più grande. Quale sarà il suo futuro?
«Come accennavo all’inizio, “Incubazioni Oniriche” è parte di un percorso più grande. Partiva con “Stato di Grazia” ed ora prosegue in questa veste. Al momento sto avendo un bellissimo riscontro sui workshop e molte persone sono interessate a vivere l’esercizio onirico. Per fare un buon lavoro posso concentrarmi su un massimo di dieci persone alla volta. Spesso mi capita di “suonare” fuori dai contesti progettuali, si tratta di interventi utilissimi per raccogliere esperienze che si stanno costituendo in un piccolo archivio narrativo fondamentale per la mia ricerca.
Diciamo che il processo creativo e il mezzo (l’incontro) portano il progetto ad avere molteplici realizzazioni finali: quello che, appunto, si è visto a Firenze oppure quello che si vedrà a gennaio alla Fondazione Pini di Milano con la cura di Valeria Cantoni Mamiani dal titolo “DI RADICI E FREQUENZE: Memorie di un attraversamento”, altra tappa italiana delle Incubazioni, che poi voleranno all’estero in diversi paesi continuando a cambiare forma.
Chi non è curioso di conoscere se stesso attraverso l’animalità e la simbologia della natura?».
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