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Inferno: commedia con vista sull’umanità
Arte contemporanea
A Roma, alle Scuderie del Quirinale, la mostra “Inferno” a cura di Jean Clair con la moglie Laura Bossi, è un’incursione nell’Ade degli umani inferni, che fagocita lo spettatore dentro l’iconografia dell’immondo, del mostruoso, che immaginiamo attraverso oltre duecento opere tra antiche, moderne e contemporanee dal Medioevo cristiano al Novecento, provenienti da più di 80 musei d’Europa.
Insieme al viaggio dantesco nelle sue rappresentazioni nel corso dei secoli, in dieci sale ripercorriamo gli inferni che produciamo, passando dal nichilismo alle mattanze del Novecento segnato da totalitarismi, guerre religiose e ideologiche, campi di sterminio, persecuzioni, genocidi e altri orrori umani, includendo la follia come presupposto di riflessione sulla banalità del male, direbbe qualcuno.
Sala dopo sala si ripercorrono le visioni dei luoghi dell’Inferno; tutto ruota intorno all’opposizione tra luce e tenebre, apocalisse e redenzione individuale e collettiva in un grande mostra ideata come un metaforico affresco dell’orrore trasfigurato dall’arte che rispecchia quello della realtà.
Dante è il primo a immaginare l’inferno come un cono rovesciato suddiviso in nove cerchi discendenti, nei quali i dannati sono disposti secondo la gravità crescente delle colpe, in un ordine nuovo che non corrisponde al settenario classico dei vizi capitali (che sarà invece rispettato nel Purgatorio); è luogo dell’orrore di ieri e di oggi, che segna una geografia e un’architettura del Male immaginaria prima descritta che si fa pittura.
E in questo luogo oscuro e polveroso dove i morti non hanno avuto degna sepoltura, dal IX secolo come si vede nelle lunette delle chiese romaniche, segna la topografia dell’Inferno anche se è la mitologia greca a stabilire i canoni classici dei luoghi infernali come metafora del male.
Dall’apertura del percorso espositivo, varcata la copia in gesso della monumentale Porta dell’Inferno di Auguste Rodin, alla quale lo scultore lavorò per trent’anni fino alla sua morte (1880-1917), sala dopo sala si vive in un crescendo emotivo, in cui lo spettatore si avventura dentro l’universo infernale nel regno delle passioni profonde dell’uomo in un buio minaccioso nell’iconografia di una cantica di straordinaria potenza visiva, fino alla decima sala, dove “uscimmo a riveder le stelle”.
Questo in sintesi è l’excursus espositivo, oltre l’agiografia dantesca nel climax espressivo dell’immaginario infernale del mondo dei dannati, ideato per celebrare i settecento anni della morte di Dante Alighieri.
In questa “architettura” visiva si va oltre la Commedia, sezionata in luoghi, temi e scenari. La storia dell’arte, scriveva Jean Clair nel suo saggio Méduse del 1989, rispecchia quella dell’uomo, e questa mostra ci turba perché racconta il nostro culto del sangue, l’abitudine di produrre orrori, perché non c’è storia senza conflitti, distruzioni e a volte rinascite.
L’inferno secondo il curatore presenta una immersione nella fenomenologia dell’immondo basata sulla ricerca di fonti scientifiche rilevanti, avvalorata dal catalogo approfondito di 480 pagine (edito Electa).
Le mostra procede per accostamenti colti, inediti, aperte a nuove letture ardite dell’iconografia infernale, soprattutto non è una parata di presenze demoniche, centauri, dannati, intrecci di copri nudi, arpie, meduse, eccetera, avviluppate dalle tenebre e risucchiati in paesaggi inquietanti, ma indaga sulla fabbrica del mostruoso, per estensione sul Male che generiamo; il contrario del Bello, come categoria estetica dominante dal Novecento.
Suddivisa per macrotemi in sezioni, compresi in due atti, nel primo si riconoscono i luoghi e personaggi dell’Inferno con intento filologico in relazione alla cantica dantesca, ed è questa la parte più didattica, in cui prevale la rappresentazione del dolore fisico. Una delle prime rappresentazioni dell’Inferno secondo il curatore, è una bocca enorme e lorda, intenta a divorare anime brulicanti per l’eternità. E in questa fogna dell’umanità dolente e puzzolente, gli “abitanti dell’inferno” si mostrano nelle loro orrende sembianze, dove si trova un campionario dell’immaginazione, visioni di presenze infernali, animali bizzarri e di Giuda che viene tormentato da torture indicibili.
L’incursione nell’Ade di forte suggestione visiva configurata tra gli altri maestri da Beato Angelico, Botticelli, il visionario Bosch, Brughel il Vecchio, Pieter Huys, Monsù Desiderio, fino a Dante e Virgilio nel Nono Cerchio dell’Inferno di Dorè, poi Kircher, Dix e Lucifero la monumentale tela (oltre 4 metri) di Franz von Stuck (1890).
Nel secondo atto, l’inferno è mentale, psichico, diventa metafora e profezia del Male generato dalla civiltà moderna con guerre, stermini, il lavoro alienante, la malattia mentale e la follia che trova nella città la culla della corruzione e dannazione nel Novecento. Così dall’inferno letterario immaginato a quello storico vissuto nel Novecento, è un salto visivo immediato e scioccante negli abissi della “Banalità del male”, direbbe qualcuno.
Tanti gli interpreti, Balla, Valloton, Ernst, i fratelli Chapman, le illustrazioni della Divina Commedia di Barcelò, fino alla prima bozza di Se questo è un uomo (1947) di Primo Levi. Dopo le drammatiche visioni di Memoriale Dachau di Fritz Koelle, un bronzo di un copro scheletrico che rappresenta un sopravvissutodell’inferno nazista dall’espressione afflitta, difronte al cadavere di un bambino che stringe tra le sue braccia. Superato il transfert, fra l’Inferno dantesco e l’abisso dell’inumanità generata dai Lager, il viaggio iconografico si conclude con le visioni cosmiche notturne di Gerhard Richter e di Thomas Ruff, e le opere di Anselm Kiefer che sconfinano in qualcosa di sconosciuto verso il mistero dell’infinito.