Il chiostro è per antonomasia il cuore di ogni convento o abbazia. Collega la chiesa, la sala capitolare, il lavabo, le celle dei monaci. Vi si miscelano energie diverse, materiali e metafisiche. Vi è auspicato il passeggio, la riflessione, lo scambio di impressioni. È il luogo in cui tutte le sfaccettature dell’individuo si incastrano, si uniscono, dalla parola al pensiero, dalla fede alla conversazione. Non un caso dunque che la mostra “INTERACTION – NAPOLI 2022”, prima edizione di una rassegna a cadenza biennale, curata da Demetrio Paparoni, sia stata ospitata nell’antico chiostro cinquecentesco di Santa Caterina a Formiello, un luogo meraviglioso, rinato grazie alla Fondazione Made in Cloister su iniziativa di Davide de Blasio e Rosa Alba Impronta nel 2012.
Questa mostra si esprime infatti su più livelli concettuali e visivi, emanando segnali molteplici, forme complesse e articolate, nata come è dalla collaborazione di numerosi artisti e artigiani del luogo. L’esordio, esplosivo e avvolgente, sembra risucchiare l’occhio e l’anima. Un enorme cuore di stoffa, realizzato a mano dall’artista portoghese Joana Vasconcelos attraverso un articolato lavoro di bendaggi, di pesi e contrappesi, poggiato solo visivamente e idealmente, sull’antico essiccatoio borbonico, gioiello di architettura industriale della struttura. Il tutto sembra dar pulsazione all’organismo cromatico, armonico e ambientale che gli altri 27 artisti hanno realizzato in questo magnifico ambiente.
Così ecco un secondo livello di appercezione, che ci accompagna nel passeggio claustrale. Le pareti olografiche di Peter Halley, che sembrano accogliere negli stessi spazi forme simili ad antichi alfabeti o segnali dallo spazio. L’oleografia posturale e magnetica di Nicola Samorì, con la sua illusione bidimensionale prossima a una fuoriuscita dalla parete di senso e di materia. Il colore pesante, irregolare, di personalità, di Jason Martin, depositato con furore e atletismo, che racconta una sfida alla gravità, nelle forme e nei metodi di deposizione. Fino alla strisce di colore esangui di Julian Schnabel, che cancellano e compongono confini di antiche mappe dimenticate, da sempre fragili e delicate come la pennellata di un pittore.
L’interaction prosegue così su livelli più silenti, che richiedono maggiore attenzione e concentrazione. Opere che non si lasciano cogliere a un primo sguardo grazie alla loro verticalità narrante e ambientale. Come la colonna degli scarabei pixellati del digital artist Frederik De Wilde o le legature nodificanti delle corde di Wang Guangyi, delicatamente poggiate a terra. O come le tubature in perfetto stile Piano-Rogers di Sergio Fermariello, mimetizzate tra le la grondaia in metallo del chiostro. Lavori più immanenti, risucchiati dall’atmosfera sospensiva e apparentemente inerte che il chiostro trasmette. Fino ai piccioni tassidermizzati di Maurizio Cattelan, camuffati dal loro piumaggio in simbiosi con la pietra in piperno del chiostro, perfettamente a loro agio sotto le volte e lì di passaggio, pronti a spiccare il volo.
Venerdì 23 settembre sarà l’ultimo giorno per visitare la mostra con il Closing Party (orario prolungato fino alle 23) e con la presentazione del catalogo della mostra con i testi degli artisti e del curatore Demetrio Paparoni.
Per i prossimi appuntamenti, la Fondazione Made in Cloister ospiterà nei propri spazi la quarta edizione di EDIT Napoli (6-9 ottobre), fiera del design editoriale e d’autore, dedicata quest’anno ai designer olandesi e a cura di Piet Hein Eek.
In dirittura d’arrivo poi altri due progetti: la direzione artistica degli spazi di gastronomia e mixology della Galleria Navarra, meraviglioso giardino in Piazza dei Martiri, di prossima apertura e nel giro di qualche mese l’inaugurazione di “Casa Cloister”. In collaborazione con la facoltà di Architettura di Napoli, la Fondazione Made in Cloister ha restaurato alcuni immobili all’interno dell’ex Lanificio – suggestivo esemplare di archeologia industriale immediatamente contigua al Chiostro – che ospiteranno le future residenze d’artista.
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