Contro il logorio del narcisismo autoriale, niente di meglio di un bel blocco di ghiaccio, un iceberg alla deriva tra divani, poltrone e tappeti, insomma, in interni di living room preferibilmente dal design ricercato. “Iceberg on chinese carpet” è un progetto avviato alla fine degli anni ’80 da Ivo Bonacorsi e che, traslato nella dimensione virtuale di Instagram – sulle cui pagine sono state diffuse le immagini, tutte raccolte nell’hashtag #icebergonchinesecarpet – è approdato infine negli spazi di MUSE GALLERY, spazio espositivo monegasco della più ampia piattaforma MUSE. Inizialmente interpretato come antidoto in funzione antinarcisistica, il progetto ha assunto via via altre definizioni, affinandosi come esercizio quotidiano e, quindi, come base gestuale del pensiero, sulla quale costruire e decostruire altre operazioni.
I lavori sono tutti disegni originali di una collezione più ampia composta da collage, polaroid, libri, realizzati a mano nel corso di tre decenni. La condizione di lockdown ne ha accentuato e definito l’aspetto seriale. Punctum della rappresentazione è chiaramente un iceberg, ritratto nei contesti nei quali meno si potrebbe aspettare la sua presenza ghiacciata, a diversi gradi di trasparenza. Simili agli iceberg che affondarono il Titanic o a quelli del poema di Hans Magnus Enzensberger, questi di Ivo Bonacorsi emergono ossessivamente in una successione di interni inquietanti o di situazioni insolite. Un’unica manifestazione di solastalgia in cui le paure contemporanee sprofondano non certo comodamente su un tappeto cinese.
«Come osservato dagli antropologi le popolazioni Inuit confrontate a condizioni meteorologiche estreme – quali luce abbagliante del sole o fitte nebbie artiche – considerano spesso la vista un senso inefficace», spiega Bonacorsi. «Tuttavia di fronte a una cattedrale occidentale, l’iceberg è stato evocato come unico elemento di confronto.
Nei resoconti di viaggio nel paesaggio nordico dei primi esploratori artici la metafore architettoniche ricorre spesso alla vista sublime di un iceberg. Un effetto di inversione delle qualità spaziali e cromatiche», ha continuato l’artista, nato a Bologna nel 1960, passato per Parigi e attualmente a Oslo, capitale della Norvegia che è sulla costa ma anche all’interno di un fiordo profondo più di 80 chilometri. E visto che l’uomo è la somma delle sue esperienze climatiche, ecco una rapida escalation geografica che potrebbe giustificare in parte la presenza e la persistenza dei grandi frammenti di ghiaccio, sospesi e sorpresi in una singolare fase domestica del loro processo di ineluttabile scioglimento.
«Simile alla serie di cattedrali dipinte a Rouen da Claude Monet, questi sono edifici abitati dall’assenza di religione, se non quella del sublime nelle quali #icebergonchinesecarpet registra solo il passaggio ad una luce concettuale», conclude Bonacorsi, citando una poesia di Henry Michaux dal titolo Icebergs (che è anche il nome di un acuto saggio di Le Clézio sulle esperienze mescaliniche e lisergiche del grande poeta appassionato di viaggi di vario tipo): «Iceberg, iceberg, cathédrales sans religion de l’hiver éternel, enrobés dans la calotte glaciaire de la planète Terre. Combien hauts, combien purs sont tes bords enfantés par le froid».
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